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Una bandiera borbonica

De Crescenzo e i “suoi” briganti, tra polemiche e botte di sole

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Il presidente del Movimento Neoborbonico tenta di stroncare un libro che non gradisce. Ma Il Mattino non lo ha pubblicato. Lui per tutta risposta, grida al complotto massonico e invita i “suoi” a intasare l’e mail del quotidiano napoletano. Non sarebbe stato meglio un po’ di silenzio da parte sua?

Possibile che un libro dia tanto fastidio? Evidentemente sì, visto che per contestare (criticare è davvero un’altra cosa…) Brigantaggio italiano (Interlinea, Novara 2020) di Marco Vigna, si sono mossi in due: il giornalista Gigi Di Fiore seguito a ruota da Gennaro De Crescenzo, il presidente del Movimento Neoborbonico, che ha dedicato al volume di Vigna due note fiume su Facebook.

L’articolo di Massimo Novelli su Il Mattino

Ricostruiamo un po’ la sequenza di questa paradossale polemica agostana, che riguarda non solo Brigantaggio italiano ma tocca Il Mattino.

Infatti, tutto è cominciato il 2 agosto sulle pagine della gloriosa testata partenopea, con una recensione («I briganti? Criminali, altro che Robin Hood», pag. 11) dedicata da Massimo Novelli al libro di Vigna.

L’articolo, in sé, è piuttosto innocuo, perché Novelli si limita a esporre correttamente le tesi del libro, in cui lo studioso piemontese sostiene che il brigantaggio fu essenzialmente un fenomeno criminale di massa e, sulla base di questo assunto, confuta le due visioni (il brigantaggio come banditismo sociale o protolotta contadina e il brigantaggio come resistenza all’invasore) care all’immaginario neoborb.

Fin qui nulla di strano: è giusto che il più importante quotidiano napoletano si occupi di un libro che parla di brigantaggio e ne descriva le tesi.

Ed è legittimo dissentire dalle tesi del libro, come tra l’altro ha fatto, a stretto giro di stampa, Di Fiore, con un articolo pubblicato sulla medesima testata il 3 agosto («I briganti criminali? Una tesi di 160 anni fa»), in cui il giornalista partenopeo, notoriamente vicino ai neoborb, ha tentato maldestramente di criticare, più che il libro, la tesi in esso sostenuta (come tra l’altro abbiamo dimostrato: leggi qui).

Ad ogni buon conto, Il Mattino ha fatto il suo: ha dato notizia di un libro e ha dato spazio alle voci critiche. Perciò si è messo a posto coi doveri di imparzialità che deve avere la stampa degna di questo nome.

Gennaro De Crescenzo, il presidente del Movimento Neoborbonico

In tutto ciò, che ci azzeccano le due note pesanti di Gennaro De Crescenzo?

La prima delle due, apparsa sul profilo del lider neoborb il 19 agosto, è un pistolotto di 13.468 caratteri in cui don Gennarino punta il dito contro la redazione del Mattino, colpevole di non aver pubblicato la sua esternazione (leggi qui).

In altre parole, ’o Professore aveva redatto il pistolotto come replica alla recensione di Novelli e, non vistosi pubblicato, ha ripiegato su Facebook.

Che sia così, lo tradisce innanzitutto il titolaccio, che è un minipistolotto nel pistolotto:

«I briganti? Altro che criminali… la replica che “Il Mattino” non ha avuto (ancora) il coraggio e la correttezza di pubblicare (sollecito del nostro ufficio legale appena inviato)».

Al di là della perentorietà (un po’ volgarotta, per giunta) dei toni, ciò che colpisce è il riferimento all’ufficio legale: di grazia, quale sarebbe la colpa del giornale napoletano? Per caso l’omesso “revisionismo”?

Massimo Novelli

Sorvoliamo sul contenuto della nota, che riassume (si fa per dire…) il repertorio a cui Gennarino Settebellezze ci ha abituati da un po’ d’anni, appena aggiornato dalle illazioni personali su Vigna, reo tra le altre cose di aver ottenuto una prefazione da Alessandro Barbero, che è notoriamente la bestia nera della galassia sudista.

Semmai, è più opportuno concentrarsi sulla chiosa finale, con cui ’o Professore invita i suoi seguaci a praticare un mail bombing sulla redazione del Mattino:

«Per comunicare a “Il Mattino” il vostro dissenso basta una mail a lettere@ilmattino.it».

Come a dire: se l’avvocato non basta, linciamoli a botte di e mail. L’invito si commenta da sé e riflette il modus operandi di chi non accetta i no e detesta i contraddittori.

Ma purtroppo don Gennarino ha fatto di peggio: il 22 agosto ha pontificato di nuovo sui suoi canali Facebook con pistolotto per fortuna più breve (appena 4.073) caratteri ma carico di veleni conditi da allusioni e infarciti dal solito complottismo (leggi qui).

Già il titolo è un programma:

«Qualche pensiero su quello strano libro e quella strana recensione, tra piemontesi, rinnegati, ascari, qualche dubbio e una domanda: siete massoni?».

Segue una sequela incredibile di illazioni borderline rivolte un po’ a tutti.

Innanzitutto a Novelli, l’autore della recensione del 2 agosto e al Mattino:

 «Piemontese l’autore del libro, piemontese il giornalista autore della recensione, piemontese l’autore della prefazione, piemontese il direttore del giornale». Val la pena, al riguardo, di ricordare a don Gennarino che Novelli, ancorché piemontese, è un eccellente professionista di lungo corso, autore di una bibliografia notevole, per quantità e qualità, sul periodo napoleonico e sul Risorgimento. Per caso non è titolato a intervenire?

Una parata neoborbonica

Secondo ’o Professore è proprio così, perché Novelli, come il suo direttore, come Vigna e come Barbero è piemontese:

«Sarebbe (quasi) tutto normale se Il Mattino non fosse il maggiore quotidiano del Sud e soprattutto se il libro non evidenziassse la tesi che, come ha già giustamente rilevato Pino Aprile, possiamo sintetizzare in: “terroni di m…”. ». Detto altrimenti: Il Mattino non dovrebbe dare tutto questo spazio a chi mi contraddice.

Ma perché si dà torto a don Gennarino? La risposta è banale: perché si è parte del famoso complotto plutonico declinato in chiave antimeridionale.

Infatti:

«Per cose simili 150 anni fa qualcuno avrebbe parlato di “complotti massonici”, oggi forse non è il caso anche se resta qualche dubbio: se noi siamo pubblicamente, platealmente e fieramente “neoborbonici” o “neoterroni”, sarebbe interessante (e corretto) sapere se qualcuno, da quelle parti, è o no massone».

Fin qui siamo ancora alle solite. Ma Gennarino Settebellezze è capace di superarsi in curva, con illazioni ancora più pesanti, che, a dirla tutta, sfiorano l’insulto:

«Nella premessa l’autore ringrazia, tra gli altri, due “meridionali” (oltre ad un paio di tizi allontanati dal nostro movimento): uno è responsabile di una rivista legata alla storia dei giacobini del 1799 (quelli che massacrarono oltre 60.000 meridionali) ed è collaboratore di una rivista della massoneria di oggi; un altro è conosciuto nel mondo borbonico: calabrese, disoccupato (almeno fino al 2014) e ricercatore volontario presso l’Archivio di Torino».

In questo passaggio non colpiscono tanto i toni aggressivi e i sottintesi beceri (chi è con don Gennarino è meridionale, chi non lo condivide è “meridionale”) ma il non fare i nomi e il limitarsi ad alludere.

La copertina di Brigantaggio italiano

Ora, se davvero ’o Professore è sicuro dei fatti suoi tiri fuori la cazzimma e faccia questi benedetti nomi, come facciamo noi quando polemizziamo con qualcuno, perché siamo sicuri dei fatti nostri.

Altrimenti, taccia e non pretenda più le attenzioni (fin troppo generose) di cui ha goduto finora, per il motivo che ha colmato la misura e ormai inizia a traboccare.

Passi che ’o Professore, pur di polemizzare in prima persona con un libro che non ha letto per davvero e con un autore che non conosce, non si sia accorto dell’intervento di Di Fiore (che come “revisionista” è più credibile di lui e, a differenza sua, scrive da Dio), ma tutto il resto è davvero inaccettabile.

Su, tiri fuori gli attributi, ’o Professore, e dica chiaramente con chi ce l’ha. Lo deve fare soprattutto lui, che promette querele al prossimo ogni tre per due.

Già: magari i suoi bersagli sono meno suscettibili di lui (soprattutto, meno convinti di avere la verità in tasca) e si limiteranno a rispondergli in maniera più o meno pepata ma senza ricorrere alle autorità giudiziarie, che al Sud hanno cose più serie di cui occuparsi.

Certo, un’alternativa valida ci sarebbe: il silenzio, che non fa male a nessuno e una volta tanto gioverebbe anche a De Crescenzo. Ma forse nel suo caso sarebbe chiedere troppo…

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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