Aprile contro Macry. E un Desiderio nel mezzo
Prosegue la polemica sul busto di Cialdini. Stavolta interviene Pino Aprile, che se la prende con Paolo Macry ma omette di commentare il libro di Giancristiano Desiderio, che smonta la tesi secondo cui il generale sabaudo sarebbe stato il boia di Pontelandolfo
C’è modo e modo di imbastire le polemiche (e di gestirle). Il peggiore, e per questo più abusato, è appigliarsi ad alcune espressioni e ricamarci sopra, tralasciando l’argomento principale, che risulta spesso imbarazzante o inaggirabile (o entrambe le cose).
Un esempio da manuale di questo modo di procedere, diffuso ma tutt’altro che corretto, lo offre Pino Aprile nella sua replica a un post dello storico Paolo Macry,
Macry, che insegna Storia contemporanea alla Federico II di Napoli, ha pubblicato, il 22 marzo sul sito Nagorà, un breve articolo di presentazione del libro Pontelandolfo 1861. Tutta un’altra storia (Rubbettino, Soveria Mannelli 2019) in cui lo scrittore Giancristiano Desiderio smantella punto per punto la narrazione neoborbonica sulla strage di Pontelandolfo.
(Chi volesse leggere la nota di Macry può cliccare qui).
Al riguardo, è doveroso ricordare tre cose.
La prima: il lancio del libro di Desiderio è stato preceduto da una polemica esplosa tra Natale e Capodanno sui giornali e sui social tra lo stesso autore e due esponenti del filone revisionista antirisorgimentale (il giornalista de Il Mattino Gigi Di Fiore e il presidente del Movimento neoborbonico Gennaro De Crescenzo).
Seconda cosa: la polemica culturale scatenata dal libro di Desiderio si incrocia con la polemica politica, scatenata dalla decisione dei vertici della Camera di Commercio napoletana di rimuovere il busto del generale Cialdini, bestia nera dell’immaginario neoborbonico secondo cui sarebbe stato l’istigatore della strage del 14 agosto 1861, dai locali della Camera.
Terza cosa: dopo i feroci battibecchi di dicembre, sul libro di Desiderio è calata una sorta di congiura del silenzio da parte degli ambienti neoborb. Un osso troppo duro anche per loro, che pur di polemizzare si appigliano alle virgole?
Il quadro della situazione è questo.
Torniamo a Macry: nel suo brevissimo articolo (appena 167 parole, cioè 1.071 parole spazi inclusi, quel che nel gergo delle redazioni si definisce un box o una breve), intitolato Le fake news dei filoborbonici, lo storico napoletano parla della vicenda di Pontelandolfo, difende Cialdini e chiama in causa Pino Aprile.
Ecco i passaggi chiave:
«Il fatto è che l’Italia è nata da pochi mesi. Il brigantaggio ne minaccia la stessa sopravvivenza. Il ceto di governo è incerto. E la linea dura del generale Cialdini non è apprezzata neanche dal premier Ricasoli.
Ma Cialdini ha ragione. La sua repressione inflessibile spingerà le comunità locali a non appoggiare più i briganti. La ribellione del Sud verrà sconfitta militarmente».
E, a proposito di Aprile:
«Le vittime della punizione di Pontelandolfo sono tredici, non le millecinquecento di cui parla Pino Aprile con una fake news».
Il giornalista pugliese ha risposto sul suo blog il 24 marzo con una lenzuolata (sempre per usare il gergo delle redazioni) di circa tre cartelle, in cui riesce a far di tutto, persino attacchi personali al prof della Federico II («Mai avrei pensato capace di affermazioni così rozze» e «il post del professore è così sgangherato che sorge il dubbio non lo abbia scritto lui») ma non menziona l’oggetto dell’articolo, cioè il pamphlet di Desiderio.
(Chi volesse darci un’occhiata clicchi qui).
Evidentemente, Aprile ha cose più serie (per lui…) a cui pensare, cioè difendere la propria narrazione, dipanata in Terroni e Carnefici che gli ha consentito di ritagliarsi uno spazio di primo piano tra i malumori spacciati per meridionalismo.
E quindi ritorna la tiritera su Cialdini, definito per l’ennesima volta «il boia di Pontelandolfo e di Casalduni» e «il macellaio di Gaeta». Ritornano anche le tirate antimassoniche (ma gli hanno fatto qualcosa i grembiulini?), e la dietrologia sulla distruzione sistematica dei documenti scomodi operata dall’entourage sabaudo su ordine dei re, a partire da Vittorio Emanuele II (peccato solo che i documenti riemergono, a patto di saperli cercare).
Ma, soprattutto, Aprile ripete il calcolo su cui ha basato la tesi dei 1.500 morti di Pontelandolfo:
«In “Carnefici” cito i dati della “Statistica delle Provincie napoletane”, con il numero di abitanti di Pontelandolfo pochi giorni prima della fraterna e patriottica mattanza sabauda: 5.747; e quelli del ministeriale “Calendario generale del Regno d’Italia”, che indica quanti fossero quattro mesi dopo la strage: 4.284. La differenza è di quasi 1.500».
Soffermiamoci su questo passaggio, perché può far capire come mai Aprile non abbia proprio menzionato il libro di Desiderio, che non solo smonta la tesi secondo cui l’intervento di Pontelandolfo sarebbe stato un «massacro per rappresaglia» ma conferma anche la tesi, rilanciata in tempi recenti dallo studioso Davide Fernando Panella, secondo cui i morti del 14 agosto 1861 sono stati solo 13.
Nulla di originale in questa operazione, che si basa sulla comparazione dei metodi usati da Panella (che, tra l’altro, è un religioso e, a quanto ci risulta, non è massone) e quelli utilizzati da Aprile.
Secondo Desiderio, che riprende le tesi di Panella e dello storico Ugo Simeone, Tutti le fonti utilizzate da Aprile contengono dati incerti, sia perché ricavati con metodi diversi (e il caso della Statistica rispetto al Calendario), sia perché, fino al Censimento dell’1 gennaio 1862 tutti i documenti demografici erano in contraddizione l’uno con l’altro. E non è provato che lo fossero per occultare tra le pieghe delle inesattezze (tra l’altro difficili da rilevare) il genocidio denunciato in Carnefici. Ci fermiamo qui. Chi volesse seguire la puntigliosa argomentazione di Desiderio può consultare I numeri incredibili di Pino Aprile, il capitoletto dedicato all’argomento in Pontelandolfo 1861.
Le polemiche possono essere cose serie e utili – e non a caso ne abbiamo fatta una anche noi in queste righe – a patto che siano gestite con la voglia di arrivare a una verità.
Non pare questo lo scopo di Aprile, che attacca Macry, si affissa su Cialdini ma scansa l’argomento principale dell’articoletto dello storico napoletano, cioè il libro sulla strage di Pontelandolfo.
Forse perché l’argomentazione (e la documentazione) di Desiderio risultano davvero invalicabili. O forse perché il giornalista di Sant’Agata dei Goti, quindi un beneventano che vive e conosce la realtà e la storia della sua zona, è considerato un pesce piccolo a cui dar retta potrebbe essere inutile. E persino pericoloso a livello polemico, come hanno potuto sperimentare Di Fiore e De Crescenzo.
Ma anche in questo caso preferiamo fermarci, perché a differenza di chi pesca a piene mani nelle teorie del complotto per sostenere le proprie tesi, non amiamo i processi alle intenzioni, che tra l’altro non saremmo neppure in grado di celebrare: forza della disabitudine.
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