Ma è così indifendibile? La Russia secondo Chiesa
In Putinfobia l’ex corrispondente da Mosca spiega: i russi vogliono solo difendersi
Un nome una garanzia, non del tutto in positivo per i benpensanti: Giulietto Chiesa è sinonimo senz’altro di anticonformismo, ma lo è anche di dietrologia. E ha dimostrato entrambe le attitudini in una produzione sterminata, che ora comprende anche Pandora Tv, una emittente online dedicata alla controinformazione sui temi della guerra e della globalizzazione.
L’ex corrispondente da Mosca delle principali testate italiane – dall’Unità (quella vera) ai tg nazionali, senza distinzione tra Rai e Mediaset – non si smentisce neppure con Putinfobia, il suo ultimo (e diciamolo subito: riuscitissimo) libro, pubblicato da Piemme a ridosso delle presidenziali Usa.
Va da sé che questo attaccamento alla cronaca, tipico della politica commerciale di Piemme, sia anche il principale limite di Putinfobia, altrimenti ricco di riflessioni che vanno ben oltre la passata scadenza elettorale. La stessa sorte, per capirci, capitata tre anni fa a Vaticano Massone di Ferruccio Pinotti, edito sempre da Piemme in concomitanza con l’ascesa al Soglio Pontificio di papa Francesco e con la terribile crisi vaticana che causò le dimissioni di Benedetto XVI. Anche in questo caso la forzatura era evidente, perché il libro era pieno di dati e notizie sulla Libera Muratoria che superavano la contingenza. Tuttavia va detto che il doversi sacrificare nella produzione di istant book quando si potrebbe fare ben altro fa parte della mission dei giornalisti: essere, per ripetere la felice espressione di Umberto Eco, storici dell’istante.
Detto questo, i motivi per leggere e meditare Putinfobia non mancano, anzi: Chiesa racconta con rara efficacia e con dovizia di riferimenti colti e utilizzati al meglio (da Tjutcev e Dostoevskij a Toynbee, Fukuyama e Tagore e chi più ne ha, ne metta) la cosiddetta russofobia 2.0, che è la versione riveduta e corretta della psicosi della guerra fredda, che a sua volta è stata la riedizione di un pregiudizio antirusso vecchio di secoli, coltivato, a giudizio di Chiesa, dalle élite occidentali per legittimarsi attraverso la paura dell’altro. Ora, cos’è una fobia, fa capire Roberto Quaglia nella sua prefazione a Putinfobia, se non una paura inculcata a tal punto fino a diventare quasi un riflesso condizionato?
Ora, che la divisione amico-nemico sia una sostanza della politica (peccato solo che Chiesa non abbia citato Carl Schmitt) non ci piove. Ed è altrettanto chiaro, in questo contesto, che la paura, specie quella suscitata ad arte, sia funzionale alla creazione del nemico, contro il quale si costruisce la propria identità. E allora tutto può fare davvero brodo: dallo spauracchio antisovietico dei “cosacchi che avrebbero abbeverato i propri cavalli a piazza San Pietro” alla diffamazione sistematica (autentica e virulenta) di Putin, descritto dai media mainstream occidentali, in particolare da quelli angolosassoni, come un tiranno, degno erede di una specie di dispotismo orientale.
Già, il dispotismo orientale, come se despoti in Occidente non ce ne fossero mai stati in Occidente e come se, ed è il punto più ardito della critica di Chiesa, il fatto che in Oriente (o nel non-Occidente, fate voi) la democrazia e il liberalismo non abbiano mai attecchito del tutto o veramente fosse un segno di minorità.
Chiesa, al riguardo, ripete in maniera spicciativa ma efficace tutto il repertorio orientalista, senza tuttavia diventare fazioso nel senso opposto. E la chiave di lettura di Putinfobia in questo specifico settore è piuttosto chiara: l’Oriente ha prodotto altrettanta civiltà dell’Occidente, sebbene il più delle volte al di fuori dei canoni della democrazia liberale. È ancora altrettanto chiara la descrizione del ruolo problematico della Russia: un paese non occidentale, che tuttavia ha aspirato a far parte della civiltà europea.
Perché, allora, tanta paura e tanto – malcelato – disprezzo per un paese che, comunque, vive una nuova giovinezza e, sotto la guida di Putin, aspira a riprendere un ruolo di grande potenza e in buona misura ci riesce? Perché, per dirla con Chiesa, tanto livore nei confronti di un leader che, a prescindere dai problemi interni del suo paese, gode di un consenso che i suoi omologhi occidentali nemmeno sognano? E che differenza c’è tra la russofobia tradizionale, che include anche quella antisovietica, e quella 2.0, che si basa essenzialmente sull’iperattivismo geopolitico di Putin?
Chiesa non fornisce una risposta univoca, ma si limita a un’espressione in apparenza vaga: «La Russia è percepita come un ostacolo». Ovviamente alla volontà di potenza dell’Occidente a guida Usa incapace di storicizzarsi. L’Orso Siberiano, in altre parole, continua a sparigliare le carte, ma non sulla spinta di una volontà di potenza di segno contrario a quella occidentale, ma sotto il pungolo di una necessità di sopravvivenza.
L’ordine mondiale multipolare, vagheggiato da molti dopo la fine della Guerra Fredda, dove la Russia avrebbe dovuto avere un ruolo importante, non è mai nato. In compenso, gli esponenti del movimento neocon, transitati dall’epoca del confronto bipolare all’America odierna, si sono riciclati nelle file democratiche dopo i flop dell’era Bush e hanno continuato a condizionare in chiave antirussa la politica estera Usa. Anche con esiti a dir poco pericolosi.
Su questo punto Chiesa scrive delle pagine di magistrale controinformazione sui rapporti pericolosi tra alcuni segmenti importanti dell’appena passata amministrazione Obama – in particolare quelli che facevano capo alla famiglia Clinton – ed esponenti degli ambienti neocon. Rapporti pericolosi ed, è il caso di aggiungere, disastrosi, visti alcuni esiti, tra cui la guerra civile in Ucraina, tuttora in corso e irrisolta. L’ostilità perenne contro la Russia da parte delle repubbliche baltiche – Estonia, Lettonia e Lituania -, dei paesi immediatamente confinanti con l’ex impero sovietico, soprattutto la Polonia, la crisi interna dell’Ucraina, le precedenti crisi, soprattutto quella georgiana, avrebbero la medesima matrice e la stessa dinamica.
In tutti questi casi la Russia sarebbe intervenuta, anche giocando con abilità le armi della guerra ibrida, per ragioni di sopravvivenza politica. E per ricordare che l’era degli esperimenti liberali e occidentalizzanti dell’era Eltsin, tradottisi in una svendita colossale della dignità nazionale, è archiviata.
A tutto questo deve aggiungersi il dettaglio, piuttosto saporoso per gli amanti della dietrologia, che molti dei fremiti antirussi di questi paesi non hanno in realtà matrici liberal, tutt’altro: nei confini meridionali e nell’area caucasica russa ha premuto non poco l’estremismo islamico; nella parte occidentale del paese, invece, ha avuto un ruolo importante nella putinfobia la riscoperta del vecchio ultranazionalismo filonazista degli anni ’30, rilanciato proprio dalle agenzie americane.
Il tutto per accerchiare la Russia. Ma è fatale che i mostri (cioè gli etnonazionalismi e gli integralismi religiosi, soprattutto quelli islamici) sfuggano di mano agli apprendisti stregoni e si trasformino in altrettante minacce per la pace, il cui esito potrebbe essere un nuovo conflitto planetario, più facile a scoppiare e più distruttivo nei risultati.
La lettura di Chiesa è convincente, ma con un solo limite: l’ex europarlamentare è innamorato della Russia e imposta molte sue considerazioni su una chiave più sentimentale che realistica.
Infatti, la medicina politica per evitare il disastro sarebbe un nuovo ordine internazionale basato su un modello di coesistenza non più basato sui consumi e sul relativo prepotere finanziario, bensì su un’alternativa ecocompatibile, di cui la Russia dovrebbe diventare il campione. La suggestione c’è tutta e a tratti diventa seduzione. In realtà, l’analisi geopolitica (notevole quella fatta di recente da Limes) rende alla Russia putiniana altrettanta giustizia del vigore morale del potente j’accuse di Chiesa. Una diagnosi piuttosto cinica? Sarà. Ma la prognosi, alla fin fine, somiglia tantissimo a quella dell’ex supercorrispondente da Mosca: un nuovo equilibrio che includa con pari dignità il paese più grande del mondo e restituisca all’Europa la libertà di scegliere il proprio destino al di fuori dell’ingombrante protezione a stelle e strisce. Un programma minimo difficile ma irrinunciabile.
Altrimenti il disastro è già dietro l’angolo.
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