La Voce del Ribelle. Otto anni di anticonformismo
Massimo Fini è andato via, ma la Voce del Ribelle continua alla grande. E senza di lui forse è meglio
Secondo giro di boa in otto anni. Quando nacque, la Voce del Ribelle era una testata essenzialmente cartacea. Era il 2008 e i numeri della crisi dell’editoria erano forti ma non erano quelli attuali. C’era ancora spazio per iniziative non conformiste.
Poi la decisione di passare del tutto sul web. E il sito ilribelle.com inglobò la rivista. Da due mesi a questa parte, il cambio di rotta: la Voce del Ribelle torna su carta (ma anche in pdf ed epub).
I motivi di questo cambio di rotta sono spiegati nell’introduzione al numero 76 dello scorso novembre: «L’approfondimento vero si accompagna molto meglio all’editoria di impianto tradizionale. Più in particolare, a quel tipo di editoria che pur essendo periodica è molto più affine ai libri che non ai quotidiani e ai rotocalchi».
Il prodotto, come sempre, è ben fatto ed è in linea con i temi forti e i contenuti di questi otto anni.
È cambiata solo una cosa: Massimo Fini, il direttore politico originario della rivista, si è chiamato fuori in maniera a dir poco inelegante: ha disconosciuto, con un comunicato sul proprio sito web, l’antologia di editoriali a sua firma scritti per la Voce.
Per il resto, è tutto come prima: il direttore Valerio Lo Monaco e il caporedattore Federico Zamboni continuano a tenere la barra della rivista, che si muove tra gli abituali confini dell’approfondimento e della controinformazione.
Certo che Massimo Fini poteva evitare quell’uscita. Ma voi non ne sembrate turbati più di tanto.
Federico Zamboni: Io sono quello meno toccato, sul piano personale, perché non ho mai avuto dei contatti assidui e, quindi, nulla che potesse anche solo avvicinarsi a un’amicizia. Di sicuro resta il dispiacere per un attacco così violento e ingiustificato – che sminuisce solo lui e che fatalmente mi porta a stimarlo molto meno sul piano umano – ma per il nostro lavoro non cambia assolutamente nulla.
Valerio Lo Monaco: La Voce del Ribelle prescinde da molto tempo dall’apporto diretto di Massimo Fini. La “scuderia” degli autori è cresciuta tanto, in termini di sostanza, e la cosa è finalmente riconosciuta dai lettori che ormai sono diventati, adesso, molto più “nostri” di quanto non lo fossero all’inizio.
La vicenda cui alludi invece mi tocca personalmente, e mi addolora. Non sono arrabbiato, né intimorito (le cose stanno come ho raccontato, e ho i documenti, nel caso servissero, per dimostrarlo: non esiste un accordo tradizionale, per la pubblicazione del suo libro, ma diversi altri elementi che di fatto lo testimoniano). Più che altro sono amareggiato perché rilevo l’incedere del tempo nell’uomo Massimo Fini. Un conto sono alcuni libri che ha scritto a suo tempo – formidabili ancora oggi – un conto è l’uomo che ho conosciuto. Un altro conto, ancora, è l’uomo che è diventato.
Voi siete critici nei riguardi del cosiddetto mainstream. Tuttavia, la controinformazione è riuscita, negli anni, ad ottenere numeri importanti. Si pensi alle pubblicazioni di Chiarelettere o a testate come Il Fatto Quotidiano. Insomma, il confine con l’editoria ufficiale si è assottigliato perché certi modi di informare sono entrati nel lessico del giornalismo di consumo. È tutto oro quel che luccica?
FZ: La tua domanda prefigura già la risposta. E in effetti penso che sia proprio così: non è tutto oro, quello che luccica. La differenza, come sempre, la fanno le motivazioni, sia di chi scrive, sia di chi legge. Da un lato è naturale che nei giornali e nei libri si cerchi una rivalsa nei confronti dello strapotere dell’establishment, ma bisogna stare molto attenti a non fermarsi a questa gratificazione emotiva. Altrimenti si risolve tutto in una protesta a scartamento ridotto e in una emancipazione fittizia, o quantomeno incompleta: una specie di microcosmo separato in cui ci si sente migliori, ma che di fatto è autoreferenziale. Mi fa venire in mente quello che è successo col rock: ai fan sembrava di essere alternativi al sistema, ma i dischi e tutto il resto glieli vendevano le major.
VLM: Il mainstream per decenni ci ha raccontato delle storie e una visione del mondo, e ha dato spazio a personaggi che hanno puntualmente mistificato la realtà del fatti. È vero che raccontano il mondo che abbiamo attorno, ma è quel mondo che contribuiscono essi stessi a (in)formare. Dunque, a mio avviso, sono colpevoli. E non più degni di fiducia e attenzione. La generalizzazione è forzata, ma non troppo lontana dalla realtà, anche se esistono elementi di differenza tra caso e caso.
Poi certo, se vogliamo contrapporre un media che ha come mission quella di vendere pubblicità e tenersi buone le lobby che gli consentono di continuare a venderne in quantità, a un media come il nostro, dove l’unico sostentamento è dato dai suoi lettori, non c’è partita. Come dice un adagio in voga adesso, e più vero che mai: “se il media che segui non ti costa nulla allora vuol dire che la merce sei tu”.
La Voce del Ribelle si muove a metà tra approfondimento e controinformazione. In apparenza sono due binari paralleli, che però si toccano fino a coincidere sin troppe volte. Nel vostro caso, quand’è che il semplice approfondire genera la controinformazione e viceversa?
FZ: È il problema che richiamavo prima: non bisogna accontentarsi di dire delle cose giuste, oppure di leggerle. Il rischio è che si instauri un circolo vizioso del tipo “Ah, quanto siete bravi voi che scrivete” e “Uh, quanto siete intelligenti voi che ci leggete”, e perciò “Oh, che belle persone che siamo sia noi che voi”.
Per diventare controinformazione, l’approfondimento deve essere appunto “contro”. E deve sfociare in un atteggiamento costante, di avversione e rifiuto nei confronti dei modelli dominanti. Sennò è una specie di lavoro anomalo, o di hobby insolito. Un sacco di bellissime requisitorie, ma poi si vive all’incirca come tutti gli altri.
VLM: Se l’informazione mainstream è falsata, come abbiamo detto, allora delle due l’una, o si fa controinformazione oppure è meglio tacere (o accodarsi). Non è un partito preso, ma una missione. Del resto, noi rettifichiamo solo laddove altri fanno, con altri e ben più potenti mezzi, costante lavoro di disinformazione. L’approfondimento è soprattutto teorico, ma c’è un motivo preciso: oggi per via del concetto tutto sballato secondo il quale si deve guardare solo alla prassi si perde di vista il perché si deve fare una cosa o un’altra, si deve prendere una strada oppure quella opposta. Ecco, il nostro approfondimento parte sempre da una domanda implicita: quale è il criterio che dovrebbe guidare questa riflessione? Una cosa non molto frequente, si ammetterà.
La rivista comunque mantiene un livello piuttosto alto ed evita di scadere nella dietrologia. Paga questa politica?
VLM: A livello editoriale no, non paga. Perché noi ci riferiamo a persone che leggono, che studiano, che vogliono approfondire e che non hanno pregiudizi: insomma agli ultimi esemplari viventi di Homo Sapiens che ci sono in Italia. E questi sono pochissimi.
A livello personale e comunitario paga moltissimo: intanto perché fare in modo differente mi ripugna (cambierei lavoro, piuttosto), poi perché a livello di narrazione personale, noi siamo ciò che siamo in quanto elementi sociali riconosciuti dagli altri. La nostra comunità di lettori ci riconosce. E su questo, sul serio, non c’è denaro che possa bastare. Siamo qui da quasi dieci anni, un motivo ci sarà.
FZ: Infatti: dipende da cosa si intende per paga. I criteri ai quali ci hanno abituati sono di estrazione economica: se hai la quantità vai bene; se no, sei tu che sbagli. Invece, per noi che non abbiamo niente a che spartire col business, c’è questo bellissimo “rovescio della medaglia” di cui ha detto Valerio. La qualità dei lettori: che è qualità umana, oltre che intellettuale.
Quanto alla cosiddetta dietrologia, e al cosiddetto complottismo, sono termini dispregiativi coniati appositamente per screditare chi non si allinea alle verità ufficiali. Purtroppo quel discredito è giustificato, in più di qualche caso, ma c’è anche parecchia gente che fa sul serio e che merita rispetto. Premesso questo, noi non soffiamo mai sul fuoco della pura emotività. Invece di creare eccitazione ingigantendo le ombre, in stile “Vi sveliamo chi sono i padroni segreti del mondo”, miriamo ad accendere la luce sulle strategie dei potenti. Analisi, chiavi di lettura, le innumerevoli connessioni che il mainstream ignora, o mistifica.
Sempre sul formato rivista: sarà curioso, ma le riviste specializzate (penso a Limes, Micromega, Nuova Storia Contemporanea, ecc.) riescono a tenere in un mercato dove tutto il resto è in calo. Sembra che le persone siano più disposte a spendere per sapere di più che per informarsi. Voi che ne pensate?
VLM: Il motivo è molto semplice: informarsi non serve a nulla se non capisci il contenuto e il significato dell’informazione. Cioè se non capisci dove esso si inscrive, quali implicazioni ha, e perché. Ecco, noi non diamo informazioni (delle quali peraltro siamo inondati in ogni dove): noi offriamo chiavi di lettura. E lasciamo la risposta e l’opinione finale, come è giusto che sia, al lettore.
FZ: Bisognerebbe che sempre più persone capissero che la gratuità dell’informazione è una truffa. In un modo o nell’altro c’è sempre un prezzo da pagare, per quanto indiretto. Non soltanto dovendosi sorbire l’assedio della pubblicità commerciale, con i suoi spot idiotizzanti, ma soprattutto esponendosi agli infiniti ammaestramenti che mirano a fare di noi delle persone omologate.
Quando si acquista un mensile come La Voce del Ribelle, invece, il costo è solo quello esplicito. Pagandolo, ci si assicura di leggere qualcosa che nasce dalla totale autonomia da qualsiasi potentato politico ed economico, più o meno occulto. E si contribuisce a darci modo di dedicare il nostro tempo a studiare come si deve le questioni di cui scriviamo.
Entrambi provenite da esperienze importanti. Quanto del vostro percorso ha inciso sulla Voce del Ribelle?
FZ: Alla fine incide tutto, in un modo o nell’altro. E non può essere che così, se in precedenza hai fatto delle cose di un qualche valore e se, nel farle, hai cercato di comprenderle a fondo, fino ad arrivare a padroneggiarle. In termini prettamente giornalistici, credo che faccia molto bene a chiunque imparare a scrivere anche di cose che non si amano un granché e dovendo riuscirci, per di più, nei tempi rapidi dei quotidiani o giù di là. Un vero professionista è questo: è uno che in qualsiasi momento è capace di fare (bene) quello che serve, quando serve, e nei tempi richiesti.
VLM: È un processo di destrutturazione da una parte e costruzione dall’altra. Dire, oggi, “faccio il giornalista” equivale a dire, per un atleta, “faccio lo sportivo”. Occorre naturalmente specificare. Chi opera nel campo degli editoriali e della saggistica, teoricamente, durante la giornata dovrebbe fare due cose sole, studiare e – poi, semmai – comunicare. Ecco, quando ho messo a fuoco ciò che potevo fare di importante, che avesse sul serio valore per qualcun altro, ho capito che avrei potuto fare questo mestiere solo in questo modo: studiare, cercare di capire, cercare di spiegare. E La Voce del Ribelle, ma anche gli interventi in audio e in video, sono gli strumenti adatti.
La ripartenza su carta si è basata su due argomenti importanti: la campagna referendaria e le tecniche di manipolazione di massa. Possiamo anticipare qualcosa sulle prossime uscite?
FZ: Intanto – cosa alla quale tengo tantissimo, perché è un progetto di vecchia data che si sta finalmente concretizzando – il mio lavoro sulla manipolazione continuerà per svariati mesi, sia nel prossimo numero che in quelli successivi. Per il resto, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. La crisi del 2008, come avevamo capito e scritto fin dall’inizio, non è affatto momentanea ma strutturale. A essere in crisi è l’intero modello liberaldemocratico, sia nella sfera economica che in quella valoriale. Esiste un enorme problema di legittimazione: la grande attrattiva è stata per decenni l’accoppiata tra benessere materiale, o presunto tale, e libertà individuali. Oggi cosa rimane? L’abbonamento a Sky e gli sproloqui sui social?
VLM: L’anticipazione più importante la posso fare riguardo ai collaboratori che entreranno periodicamente a intervenire sul giornale. Come Maurizio Pallante, o come Paolo Gila, autore di uno dei migliori libri degli ultimi anni, Capitalesimo edito da Bollati Boringhieri. I lettori veri conoscono questi autori del tutto non allineati, e dunque potranno facilmente cogliere quali saranno i temi ulteriori sui quali ci cimenteremo.
Otto anni non sono pochi. È possibile tracciare un bilancio?
FZ: Non ho paura di dirlo: da un lato c’è il grande rammarico di non aver potuto realizzare che una minima parte di quello che potremmo e sapremmo fare, se ci fossero i soldi necessari. In particolare penso a Raz24, la nostra web radio che abbiamo dovuto chiudere ma che secondo me rimane uno strumento dal potenziale enorme.
Dall’altro lato, invece, c’è la soddisfazione ancora più grande di essere entrati in rapporto con delle persone di valore. Lettori, e collaboratori, ai quali non ci accomuna solo un certo modo di pensare ma soprattutto un certo modo di essere e di vivere. Per quanto sparsi in giro per l’Italia, noi e loro siamo ormai una comunità. Dove è possibile, lavoriamo insieme. Dove non lo è ci sosteniamo a distanza. Sappiamo di esserci e di tenere duro, e questa consapevolezza reciproca ci fa un gran bene.
VLM: Il bilancio economico è presto detto: disastroso. Disastroso esattamente quanto il grado di analfabetismo funzionale, di incultura e di bruttezza intellettuale si è giunti in Italia.
Preferisco tracciare solo il bilancio umano: nettamente positivo. Esiste un gruppo editoriale che produce contenuti di qualità (cosa nient’affatto frequente, oggi) ed esiste un pubblico che questi contenuti vuole avere a disposizione. Si tratta di persone, in un caso e nell’altro. Dunque di relazioni, affetti, fiducia reciproca. In sintesi: di ciò per cui vale la pena vivere.
(a cura di Saverio Paletta)
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