Warp Speed Warriors: i DragonForce più eccessivi che mai
Virtuosismi e super velocità, ma anche simpatica tamarragine a iosa nell’ultimo album degli autoproclamati papà dell’extreme power metal
Un’avvertenza è perlomeno d’obbligo: se volete novità, quantomeno qualcosina di originale, evitate come la peste Warp Speed Warriors (Napalm 2024), l’ultimo album dei britannici DragonForce.
Al contrario, se vi piacciono i clichés tamarri, le melodie pacchiane, i virtuosismi fiume e la supervelocità, Warp Speed Warriors fa proprio per voi.
Già: passano gli anni e passa, persino, il Covid. Ma per i DragonForce non cambia nulla: chiudono un silenzio discografico che dura dal 2019, l’anno di uscita del precedente Extreme Power Metal, senza nessuna novità. Forse neppure qualche ruga.
Anzi, una novità c’è: la bassista losangelina Alicia Vigil, subentrata al francese Frédéric Leclercq (che ha mollato a fine 2019 per approdare al thrash metal dei teutonici Kreator). Ma questa novità riguarda più l’estetica (la Vigil è davvero un belvedere) che lo stile musicale.
Per il resto, la formazione resta stabile: accanto ai due fondatori, i chitarristi Herman Li e Sam Totman, continuano a militare il cantante inglese Marc Hudson e il batterista italiano Gee Anzalone (tra le varie, allievo del mitico Tullio De Piscopo).
Uguale la stabilità nella proposta musicale, ben calibrata dall’efficace produzione di Damien Rinaud e dei due superchitarristi.
DragonForce: (come sempre) più veloci della luce
Un tappeto di sintetizzatore introduce l’open track Astro Warriors Anthem. Hudson accenna un refrain melodico, poi si scatena la consueta sarabanda: tempo serratissimo con doppia cassa ultraveloce e molti stop and go, riff ipervirtuosistici, cori epici e ruffianissimi. Notevoli, ovviamente, le parti soliste e lo stacco centrale del pezzo, rallentato e carico di atmosfera.
Molto più allegra (quasi un happy metal alla Helloween vecchia maniera o alla Freedom Call) la seguente Power Of The Triforce, in cui fa capolino una passione della band: i videogame (infatti, il pezzo è dedicato alla serie Zelda). I tempi sono meno veloci, ma il riffing resta tosto e cori e refrain si fanno più ruffiani, quasi al limite della sigla da cartone animato.
Troppi brani veloci di fila non vanno benissimo e stancano un po’. Ed ecco che Kingdom Of Steel, una ballad epica dal refrain molto arioso, spezza un po’ la tensione.
Ma è solo la classica pausa per rifiatare: infatti la seguente Burning Heart rincara la dose con il tempo estremissimo della doppia cassa e il riffing super assassino. Insomma, i DragonHeart al quadrato.
Tempi più cadenzati e refrain decisamente marziale (gustosissimo lo stacco centrale che cita la marcia dei marines in stile Ufficiale e gentiluomo o Full Metal Jacket) per la tosta e simpaticamente tamarra Space Marine Corp, che si segnala anche per gli assoli di chitarra più eccessivi del solito (che è quanto dire…).
A proposito di tamarraggine: come non notare che il breve strumentale Prelude To Darkness, tutto synth e campionatori, sembra preso di peso da un telefilm anni ’80? Ma non mettiamo limiti alla tamarraggine dei britannici, che si superano in curva con The Killer Queen, un mixone tra Helloween (sempre vecchia maniera) e Sonata Arctica, però esageratamente velocizzato.
Con la danzereccia (e divertente) Doomsday Party i Nostri si inoltrano, piuttosto bene, nella dance metal con un bel po’ di citazioni, che vanno dagli Abba ai Kiss di Dinasty (che poi sono gli iniziatori di questo curioso filone).
Ma è solo un’altra tirata di fiato, perché con Pixel Prison i DragonForce picchiano di nuovo sull’acceleratore come si deve e rilanciano la consueta formula di melodione, coroni pomposi e riffoni.
Una citazione pop per chiudere: una cover di Wildest Dream, la hit di Taylor Swift, rivista e scorretta in chiave ultra power-speed.
Seguono, a seconda dell’edizione due o quattro bonus track. Tra queste, impossibile non segnalare una versione gustosissima di Doomsday Party, interpretata dalla fascinosa Elize Ryd degli Amaranthe e resa in chiave ancora più dance e meno metal.
Menzione a parte anche per la versione strumentale di Power Of The Triforce, più sobria e atmosferica della versione cantata.
Warp Speed Warriors: più la bravura che lo stile
Lo abbiamo già detto sopra: se non provate simpatia per le cose tamarre, state davvero lontani da Warp Speed Warriors. Viceversa, vi divertirete un mondo.
Certo, è inappropriato dire di una band come i DragonForce che o li si ama o li si odia: la band britannica non ha mai fatto nulla di disturbante o trasgressivo. Al contrario, è persino conformista nella fedeltà ai luoghi comuni del power speed metal. Perciò la maggiore negatività che possono ispirare è l’antipatia.
Troppo bravi e preparati per subire stroncature dal punto di vista tecnico-musicale, i DragonForce restano vulnerabili, e non poco, sotto quello artistico: non c’è nulla nella loro produzione che non si sia sentito già altrove. Forse non meglio, ma di sicuro con più sobrietà e stile.
Ma se buongusto e originalità latitano, lo stesso non può dirsi per la passione, che nel caso dei DragonForce riesce ad essere contagiosa. Ascoltiamoli e divertiamoci. E sì, ammiriamoli pure: tanta bravura non può proprio lasciare indifferenti.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei DragonForce
Da ascoltare (e da vedere):
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