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The Mandrake Project: Dickinson torna a ruggire

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Dieci pezzi tirati tra classic metal e hard rock, pensati bene ed eseguiti meglio, nell’album solista del mitico frontman britannico. Esoterismo, fumetti e riferimenti colti. Ma anche riff durissimi e acuti micidiali. Che chiedere di più?

Bruce Dickinson ci ha messo diciannove anni per tornare con un album solista. Tanti ne sono trascorsi dall’ottimo Tyranny Of Souls (Mayan RecordsSanctuary Records 2005). Ma il recentissimo The Mandrake Project (Bmg 2024) compensa alla grande l’attesa, dei fans e dei semplici appassionati, esperti e non.

Ispirato, in parte, a una graphic novel concepita dallo stesso Dickinson, The Mandrake Project ha avuto una gestazione un po’ travagliata, iniziata nel 2014 e poi interrotta più volte. Per varie cause, una più seria dell’altra gli impegni del Nostro con gli Iron Maiden, i gravi, e per fortuna superati, problemi di salute (un tumore alla gola che ha costretto il frontman a uno stop forzato), i guai familiari (il secondo divorzio e la morte della ex moglie).

Bruce Dickinson con la sua live band

Ma questo non intacca di una virgola il valore di The Mandrake Project, che è il classico album che ci aspetta da Dickinson: colto, coerente e, allo stesso tempo, eclettico. E, va da sé, curatissimo oltre la maniacalità. Non a caso, la squadra che accompagna il cantante britannico è, più o meno, la stessa di Tyranny Of Souls.

È confermato, innanzitutto, il mitico e fido Roy Z nel doppio ruolo di produttore e polistrumentista (alle chitarre e al basso). E restano il batterista Dave Moreno e il mago italiano delle tastiere Mistheria. E fanno capolino, come guest stars, i chitarristi Chris Declerq e Gus G e il fiatista Sergio Quadros.

E ora tuffiamoci pure nell’intricato labirinto di riff pesanti, atmosfere intense, citazioni dotte e suggestioni esoteriche che costituisce la cifra dell’ultimo prodotto di casa Dickinson.

The Mandrake Project: i dieci ruggiti del leone d’Inghilterra

Si è parlato molto delle suggestioni esoteriche che caratterizzano (e, a volte, condizionano) l’immaginario dickinsoniano (e, quindi, spesso maideniano). Per non smentirsi, il Nostro apre la sua ultima fatica con il singolo Afterglow Of Ragnarok. Laddove il Ragnarok (alla lettera, oscuramento degli dei) è un palese riferimento all’età oscura della mitologia nordica, intesa anche come notte che precede la rinascita. Il brano, preceduto da una introduzione cinematica piena di richiami gotici, è un mix potente di heavy metal classico, con una strizzata d’occhio agli anni ’70, e di influenze doom. Tipicamente dickinsoniani i bridge urlati e i cori, orecchiabili ma non troppo, ottimo il riffing forte ma mai eccessivo che lega le varie parti del brano.

La copertina di The Mandrake Project

La più ariosa Many Doors To Hell, evoca atmosfere anni’80, a cavallo tra i Deep Purple di Perfect Strangers e gli Iron Maiden di Somewhere In Time. Di grande effetto la parte centrale rallentata, che introduce il finale del pezzo.

Con la cupa Rain On The Graves, secondo singolo estratto dall’album, si ritorna a lidi più esoterici. Il brano è un omaggio al poeta-pittore William Blake, già ispiratore del concept Chemical Wedding. E la musica non è da meno: gli echi doom e sabbathiani sono un degno trampolino per l’interpretazione sulfurea del frontman.

Resurrection Men, direttamente ispirata al fumetto di Dickinson, sembra fatta apposta per cogliere (piacevolmente) di sorpresa l’ascoltatore. La canzone, infatti, è una sorta di metal western, che miscela trovate alla Morricone (nell’intro), riff stoner e qualche suggestione southern. Il risultato è un bel pezzo torrido e potente, pieno di inquietudine.

Altrettanto articolata, la seguente Fingers In The Wounds, che si regge su un ottimo lavoro delle tastiere, che stanno in primo piano senza essere troppo invasive: disegnano, assieme alle chitarre, atmosfere cinematografiche che sfociano, a metà pezzo, in una sequenza orientaleggiante.

Eternity Has Failed, arricchita dai flauti di Quadros, non è solo la canzone più maideniana dell’album. È, in realtà, la versione originale di If Eternity Should Fail, ceduta da Dickinson ai Maiden come open track di The Book Of Souls (2015). Questa versione, godibilissima, risulta leggermente più breve, abbastanza più heavy e compatta della versione del 2015. Manca la cavalcata del basso di Steve Harris, ma il risultato è ottimo lo stesso.

Bruce Dickinson sul palco con gli Iron Maiden

Mistress Of Mercy è un pezzo pesante, forse il più heavy dell’album, che cita sfacciatamente, nel riffone portante, Freak, l’open track di Accident Of Birth, ed evolve in un crescendo epico classicamente Maiden-style.

Face In The Mirror è un’efficace ballad, per metà semiacustica con il pianoforte in primo piano, e per metà elettrica, caratterizzata da un crescendo garbato e ben interpretato da Dickinson, che rinuncia alle urla in favore dell’espressività.

Più varia e articolata, Shadow Of The Gods, si regge sul contrasto tra la parte iniziale, prevalentemente acustica e dominata dal piano, e la seconda metà, che sfocia in un metal classico dai riff cattivi e dal tempo sostenuto.

Chiude l’album Sonata (Immortal Beloved), una suite particolare, carica di echi prog e suggestioni sperimentali. Ottima e sentita l’interpretazione di Dickinson, che carica di pathos un bel crescendo. Notevole anche il lungo solo con cui Roy Z termina il pezzo.

Quasi dieci minuti, impegnativi ma mai ostici, che portano l’ascoltatore pian piano fuori dall’album.

Dickinson in uno scatto promozionale di The Mandrake Project

Il ritorno magico di Bruce Dickinson

The Mandrake Project ci riconsegna un Bruce Dickinson più convincente che mai: colto quanto basta per suggestionare ma senza mai tradire l’attitudine rock, originale nell’espressione e coerente senza risultare ripetitivo o scontato.

Il frontman britannico vive un’ottima maturità artistica che si traduce in grande esperienza, in notevoli capacità compositive e in una altrettanto notevole espressività. E pazienza se la voce non è più quella di una volta: Dickinson non è certo l’unico big che continua ad avere qualcosa da dire a dispetto degli anni che passano e di una forma non sempre (e non più) tanto smagliante.

E di sicuro non si può rimproverare a Bruce Dickinson di continuare ciò che gli riesce meglio. Anzi: se i risultati sono questi, gli si augura di proseguire a oltranza.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale di The Mandrake Project

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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