Vincenzo Li Causi, la strana morte di uno 007
A ventisei anni dalla misteriosa scomparsa in Somalia, il giornalista Massimiliano Giannantoni fa il punto nel suo interessante “Skorpio. Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto”
A novembre è pieno inverno. Ma in Somalia, in quella porzione del Medio Scebeli che dà sull’Oceano Indiano fa caldo.
Nel 1993 fa ancora più caldo e non solo per la meteorologia: il Paese africano è in piena guerra civile, dopo l’esilio di Siad Barre, che l’aveva governato col pugno di ferro per 22 anni.
È il pomeriggio del 2 novembre, un veicolo militare rientra precipitosamente nella base militare italiana alle porte di Balad, il popoloso capoluogo della regione somala. A bordo c’è un ferito in condizioni gravissime: è il maresciallo Vincenzo Li Causi. È stato colpito durante uno scontro a fuoco.
Il personale medico della missione Ibis II non fa in tempo a soccorrerlo e spira in pochi minuti poco prima di compiere quarantun anni.
Li Causi, che è specializzato in telecomunicazioni, non è un militare qualunque. Il maresciallo siciliano (è originario di Partanna) affianca alla sua carriera visibile di ex incursore della Marina ed ex allievo della Scuola sottufficiali dell’Esercito un curriculum ancora più corposo nei Servizi Segreti.
A 22 anni entra nei Servizi militari, prima nel Sid e poi nel Sismi, dove viene incorporato nella Settima divisione, quella che gestisce la Stay Behind italiana, cioè Gladio. Inoltre, secondo altre autorevoli fonti, Li Causi aveva dei ruoli di peso nei Servizi: innanzitutto sarebbe stato un Ossi, cioè un operatore speciale e avrebbe fatto parte anche della cosiddetta Sezione K, che conferiva la famigerata licenza d’uccidere. Conosciuto con diversi nomi di copertura (Sirio, Livio, Vinicio, Domenico, ma anche Maurizio Vicari e Salvatore Bortone), lo 007 siciliano aveva preso parte a diverse, spericolatissime missioni, tra cui la liberazione del generale Dozier sequestrato dalle Br, l’appoggio al presidente peruviano Alan Garcia contro Sendero Luminoso e il monitoramento costante dell’organizzazione palestinese di Abu Abbas.
Non proprio roba leggera. L’incarico più prestigioso è anche quello più delicato: la riorganizzazione di un centro Stay Behind a Trapani, il cosiddetto Centro Scorpione.
È proprio qui che il destino di Li Causi incrocia i grandi misteri della storia contemporanea d’Italia, perché il Centro è considerato vicino all’associazione Saman, che fa capo a Franco Cardella e Mauro Rostagno, quest’ultimo ucciso in maniera misteriosa e per circostanze mai chiarite nel 1988.
Il 13 novembre del 1993 il maresciallo sarebbe dovuto rientrare in Italia per riferire al giudice Felice Casson su Gladio e sui presunti traffici di armi e scorie radioattive. E c’è dell’altro: nel luglio precedente, viene scoperto ad Alcamo, sempre nel trapanese, un enorme arsenale di armi gestito da due sottufficiali dei carabinieri. Si ritiene che siano riconducibili allo Scorpione. Ma c’è di più: uno dei due sottufficiali è stato più volte in missione in Somalia.
Torniamo a quel maledetto 12 novembre: a bordo del veicolo militare, assieme a Li Causi c’è Giulivo Conti, altro agente segreto dal curriculum consistente e ci sono altri tre militari.
Dalle prime ricostruzioni emerge che Li Causi e i suoi compagni sarebbero stati di ritorno da una missione informativa. Ma le successive testimonianze intorbidano la vicenda: c’è chi dice che in realtà i due 007 e gli altri militari sarebbero usciti per una battuta di caccia e chi afferma che, invece, scortassero un convoglio di civili.
Di fatto, resta confermato che i soldati italiani sarebbero finiti in un’imboscata. Ma i misteri non finiscono qui, perché la salma di Li Causi viene rispedita in Italia senza autopsia e c’è chi crede (è il caso dello scrittore Giulio Laurenti), che lo 007 sia ancora vivo e la sua, quindi, sia stata una morte simulata.
Ma la memoria del maresciallo siciliano si lega a un altro mistero ancora: la morte dell’inviata Rai Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin, avvenuta poco più di quattro mesi dopo a Mogadiscio. Già: Li Causi sarebbe stato amico e informatore della giornalista romana, che seguiva la pista del traffico delle scorie nucleari verso il Paese africano.
Ce n’è abbastanza per considerare la tragica vicenda del militare siciliano un cold case. A dispetto delle dichiarazioni ufficiali e degli insabbiamenti.
Tenta di dipanare questa matassa il giornalista romano Massimiliano Giannantoni, in forza a Sky Tg24 e specializzato nei casi complicati. Di più: se una cosa non è complicata, Giannantoni neanche ci si mette.
Skorpio. Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto (Round Robin, Fano 2018) è il volumetto densissimo che il giornalista di Sky ha dedicato all’affaire Li Causi.
È un viaggio di 214 pagine in una storia torbida, fatta di intrighi e depistaggi molteplici, nella migliore tradizione delle spy stories.
È una storia affollata, di personaggi di tutti i livelli: si va dai commilitoni del maresciallo, che ricoprì ruoli di responsabilità enorme per essere un sottufficiale, ad ex glorie politiche, come Falco Accame e Massimo Brutti.
È una storia fatta di reticenze e ingerenze, di inquirenti che avrebbero voluto e non hanno potuto far luce e di altri che, al contrario, non hanno agito, pur potendo.
È una storia vera, che ha il proprio epicentro nella più sfortunata operazione militare (non solo) italiana del dopoguerra ma si lega a più livelli carsici alle tante congiure della nostra storia recente, che forse sarebbe diversa se certe verità fossero venute a galla per tempo. Se in meglio o in peggio, faccia il lettore.
È una storia aperta, perché Giannantoni racconta la sua ricerca, anche in prima persona, senza risparmiare nulla al lettore: i tanti tentativi andati a vuoto, ad esempio, e gli spunti suggestivi ma non sufficientemente accertati perché era oggettivamente impossibile farlo.
È una storia onesta, raccontata senza dietrologie né preconcetti ideologici, ma con lo sguardo fisso sui fatti, anche quando è impossibile accertarli.
È lo è spesso.
È una storia da riscoprire, proprio a partire da questo libro. Perché questa storia apre uno squarcio sui nostri Servizi. Ma lo fa con il sangue freddo e la serenità di chi l’ha scritta, cioè di un professionista consapevole di far solo il proprio lavoro. E consapevole del fatto che se questo lavoro non dà tutti i suoi frutti, cioè non porta a una verità minima, non è colpa sua.
Già: è la croce, ma anche la delizia di tutte le spy stories, soprattutto di quelle intensamente vere come questa, in cui la ragion di Stato si incrocia con logiche incomprensibili e – spesso – moralmente ingiustificabili.
Ammoniva giustamente Winston Churchill, uno che vinse la guerra grazie pure all’opera dei Servizi, con una frase riportata in chiusura del libro: «I panni dei Servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri. Ma a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra».
Buona lettura.
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la fine di Li Causi e la fine dei suoi informati, come Rostagno , la Alpi , Di Palo,Dozier,L assicurazione sulla propia vita era stata stipulata con una polizza a scadenza come quelle persone che aveva informate.
Egregio Bonaventura,
Vogliamo approfondire meglio la sua affermazione piena di sottintesi interessanti?
Se sì, scriva a direttore@indygesto.com.
Intanto,
un cordiale saluto,
Saverio Paletta