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Luigi Cadorna? Era un bravo generale e Caporetto non fu colpa sua

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Gli si imputano la disfatta dell’esercito e il rigore inumano, ma da tempo gli storici hanno rivalutato la figura storica del Maresciallo d’Italia, che in realtà non fu quel gran fucilatore di disfattisti e disertori. Grazie alla sua guida l’Italia ebbe meno perdite rispetto agli altri belligeranti, anche se il nostro fronte era più difficile. Arrivò a un passo dallo sfondamento delle linee austriache e, se non fosse stato per l’intervento tedesco, la guerra sarebbe finita prima…

Luigi Cadorna, il capo di stato maggiore dell’esercito italiano dal 27 luglio del 1914 sino all’8 novembre del 1917, è tuttora oggetto di giudizi contrastanti. Un breve esame obiettivo della sua figura e del suo operato consente però di capire come le sue effettive capacità siano state misconosciute.

Su questo militare si sono diffusi stereotipi falsi: una disciplina troppo dura ed una giustizia militare disumana; l’incapacità tattica; le perdite di vite umane eccessive; una sostanziale incapacità militare ed il fallimento nella conduzione del conflitto. Nessuno di questi punti regge ad un esame critico.

Il generale Cadorna al fronte

Il primo dei falsi miti che ancora aleggiano sul capo dello stato maggiore italiano riguarda la presunta estrema ferocia disciplinare, che avrebbe provocato un numero esagerato di condanne a morte.

In realtà la magistratura militare italiana fu complessivamente meno severa di quella di altri paesi e comunque nelle medie dell’epoca. L’esercito francese fucilò 600 uomini in seguito a decimazioni o comunque per dare l’esempio, 563 per disobbedienza, un numero ulteriore imprecisato mediante esecuzioni sommarie: cifra minima 1163, di fatto superiore, perché non tiene conto di altre esecuzioni capitali ancora, come quelle di Pétain durante le repressioni seguite agli ammutinamenti causati dalla fallita offensiva di Nivelle (coperte per un secolo da segreto di Stato) e quelle di lavoratori coloniali militarizzati. Il numero di sentenze capitali eseguite nell’esercito imperiale della Duplice Monarchia (Austria-Ungheria) fu di 1148. Questo però escludendo le migliaia di sentenze capitali emesse da tribunali militari dell’impero contro civili e le innumerevoli condanne a punizioni corporali, che comprendevano fustigazioni e la tortura del palo. Per fare un confronto, i condannati a morte giustiziati nell’esercito italiano furono 750.

Le macerie di Caporetto

Inoltre, le concezioni tattiche di Cadorna erano all’incirca quelle dominanti presso i generali di quegli anni e soltanto le esperienze della prima guerra mondiale stessa indussero ad un loro lento mutamento. Con l’eccezione di quello tedesco, nessun esercito riuscì realmente ad innovare la conduzione tattica. Va detto però che Cadorna, ufficiale d’artiglieria, seppe comprendere prima e meglio di molti altri suoi colleghi in che modo si potessero impiegare grandi concentrazioni di cannoni in quella che era una guerra d’assedio di dimensioni inusitate. Due storici militari assai diversi come Piero Pieri e John Schindler riconoscono ambedue le grandi capacità del Cadorna nel complesso impiego di un’arma dotta come l’artiglieria, il cui utilizzo su larga scala richiedeva (richiede) un’ottima preparazione teorica specifica e buone capacità organizzative. [Fonti: Pietro Pieri, L’Italia nella prima guerra mondiale, Torino 1965; J. R. Schindler, Isonzo. Il massacro dimenticato della Grande Guerra. Gorizia 2002].

I soldati italiani in ritirata

È altrettanto inesatto sostenere che le operazioni di Cadorna avessero portato a perdite di vite umane proporzionalmente superiori a quelle degli altri eserciti, anzi la verità è l’opposto. Alla conclusione del conflitto, in cui il Regio esercito aveva combattuto per tre anni su quattro sotto la guida di questo generale, esso aveva subito perdite in proporzione minori a quelle di tutte le altre maggiori potenze belligeranti.

Le perdite per uomini mobilitati per i principali eserciti erano così distribuite: la Francia aveva perso il 16,5 %, la Germania il 15,4 %, il Regno Unito il 12,5 %, la Duplice Monarchia il 12,2 %, la Russia l’11,5 % e l’Italia il 10,3 %. È vero che l’Italia aveva combattuto un anno in meno delle prime quattro, ma essa aveva anche tenuto quasi sempre l’offensiva ed in più era stata molto sfavorita dalla geografia, che faceva sì che le sue truppe si battessero dal 1915 al 1917 in condizioni di netto svantaggio.

Un ritratto di Cadorna

L’insieme delle operazioni militari guidate dal Cadorna dal 1915-1917 ebbero, in rapporto al contesto bellico, un indubbio successo. Nonostante il fronte fosse assai sfavorevole strategicamente (per la sua forma a S, che rendeva molto pericolose le controffensive austriache) e tatticamente (perché quasi per intero montagnoso ed in parte carsico, quindi propizio ai difensori), l’esercito italiano era avanzato più di quelli inglese e francese nelle aperte pianure di Francia.

Il feldmaresciallo Ludendorff

Anzi, l’esercito austriaco era giunto nel 1917 ai limiti del crollo. Come riconobbero gli stati maggiori dei due imperi centrali, quindi quello austriaco e quello tedesco, l’undicesima offensiva dell’Isonzo di Cadorna era andata vicinissima allo sfondamento e comunque le armate asburgiche erano ormai così usurate ed avevano perso posizioni così importanti che un altro attacco italiano avrebbe certamente fatto crollare tutto il fronte. È per questa ragione che il comando supremo austriaco richiese l’aiuto di quello tedesco ed assieme decisero per un’offensiva sul fronte italiano, non essendovi alternativa. Come disse il comandante di fatto dell’esercito imperiale tedesco Lüdendorff, bisognava attaccare prima che il Regio esercito attaccasse ancora, o le divisioni austriache sarebbero state travolte. Ancora, Cadorna non ebbe responsabilità sulla rottura del fronte di Caporetto. Un’ampia messe di studi storici ha chiarito che non vi furono suoi errori nella preparazione difensiva o nella gestione delle riserve. Il successo dell’attacco fu dovuto al ruolo assolutamente decisivo delle unità germaniche ed alla loro tattica innovativa dell’infiltrazione, che aveva già avuto successo sul fronte russo ed avrebbe portato l’anno successivo a ripetute vittorie contro inglesi e francesi. [Fonti: Pierluigi Romeo di ColloredoLuigi Cadorna. Una biografia militare, Genova 2011; Alessandro Barbero, Caporetto, Roma-Bari 2017].

Svetozar Boroevic von Bojna, l’avversario austriaco di Cadorna

Luigi Cadorna fu apprezzato sia dai suoi ex soldati, sia dagli stessi nemici e da molti storici di valore. La sua nomina a maresciallo d’Italia, voluta da Benito Mussolini, non avvenne per ragioni politiche, non avendo egli mai aderito al Pnf, ma per la richiesta dell’associazione dei reduci della Grande Guerra. Questo dovrebbe indurre a ricredersi sul modo con cui questo generale era giudicato dai suoi stessi uomini. Comandanti nemici, come Conrad von Hötzendorf (capo di stato maggiore austriaco), Alfred Krauss, Svetozar Boroevic von Bojna (l’avversario diretto di Cadorna sull’Isonzo), Konrad Krafft von Dellmensingen (uno degli artefici dello sfondamento di Caporetto) espressero tutti nelle loro memorie giudizi positivi sulle qualità del generale loro nemico.

Il genrale Konrad Krafft von Dellmensingen

Fra gli storici, esiste una lunga serie di autori che si sono espressi positivamente su Luigi Cadorna. Senza alcuna pretesa esaustiva, si possono  citare:  Basil Liddel Hart, l’illustre studioso inglese ritenuto uno dei maggiori storici militari mai esistiti; il generale Emilio Faldella, che nel suo saggio sulla Prima guerra mondiale sottopose ad analisi attenta la strategia di  questo generale, mostrandone il rigore logico e la coerenza con il quadro complessivo del conflitto e le azioni belliche  degli alleati; il già citato Pierluigi Romeo di Colloredo, che nella sua biografia del maresciallo confuta  le accuse a lui rivolte e ne evidenzia le doti, non ultime quelle caratteriali  di autocontrollo ed energia. Ma molti altri storici militari colti e documentati hanno difeso le qualità di Cadorna. [Fonti: B. Liddell Hart, La prima guerra mondiale, 1914-1918, Milano 1969; E. Faldella, La Grande guerra. 1915-1917, Milano 1965].

L’immagine simbolo della rivincita italiana

La figura di questo maresciallo d’Italia è quindi un esempio di come la realtà storica spesso diverga dall’immaginario collettivo.

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