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La prima eutanasia in un libro drammatico

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La scomparsa di Dj Fabio dona nuova attualità a “L’ultimo gesto d’amore”, l’autobiografia di Mina Welby

Un’avvertenza doverosa per il lettore: L’ultimo gesto d’amore, il libro tratto dall’intervista rilasciata da Mina Welby al giornalista Pino Giannini non è un’operazione commerciale né una speculazione politica. Non lo era la prima edizione, uscita nel 2010 per i tipi di Nobus, né lo è quella attuale, uscita circa un anno fa per i napoletani Marotta&Cafiero su licenza creative commons (simile, per capirci, a quella in uso per il software libero).

Il volumetto, circa 70 pagine arricchite da una bella prefazione di Emma Bonino e dalla drammatica lettera indirizzata nel 2006 da Piergiorgio Welby all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha un grande valore documentario, visto che ricostruisce la storia dell’ex copresidente dell’associazione Luca Coscioni.

Un calvario intimo, gestito dalla moglie Mina con l’aiuto dei medici e dei volontari. Inoltre un calvario militante: la lunga battaglia di Welby – ridotto dalla distrofia muscolare prima sulla sedia a rotelle e poi a letto – per ottenere, attraverso l’eutanasia, la liberazione dalla propria sofferenza, ha aperto in Italia il dibattito pubblico sulla libertà di autodeterminazione sulla fine della vita e sull’obbligatorietà delle cure. Che oggi, in seguito alla tragica scomparsa di Dj Fabo riacquista la sua attualità.

L’ultimo gesto d’amore racconta in maniera asciutta, senza enfasi e sentimentalismi, la vita quotidiana di una moglie accanto al proprio consorte malato e la metamorfosi della stessa malattia, dalle difficoltà sempre più gravi alla tragedia.

E racconta la durezza della battaglia morale, legale, politica e religiosa condotta con il solo aiuto dei Radicali per il riconoscimento dell’eutanasia, la morte opportuna, come la definiva Piergiorgio Welby.

«Ora lasciate che mi concentri: è la prima volta che muoio», disse Welby poco prima di chiudere gli occhi il 20 dicembre 2006. Da allora sono cambiate tante cose e non tutte in meglio. Non c’è più Marco Pannella, legatissimo all’attivista romano, e la stessa area laica, che sostenne le battaglie di Welby e di Eluana Englaro, è in arretramento, politico e culturale.

Ma ciò non deve lasciare perplessi o far disperare sul destino di certe lotte libertarie (perché quella per l’eutanasia è, a prescindere dal giudizio morale che se ne abbia, una battaglia di libertà): il fronte del sì per l’autodeterminazione e il consenso informato si è esteso anche in quell’area cattolica, percepita prima come un blocco quasi monolitico; la sensibilità dell’opinione pubblica è decisamente cambiata, grazie anche al battage della Welby e dell’associazione Coscioni, e il mondo politico inizia a dare qualche risposta concreta.

La stessa vicenda di Mina Welby riassume quest’evoluzione: lei accettò la malattia del marito sin da prima di sposarlo e poi accetto, dopo un’iniziale rifiuto, la scelta di Piergiorgio di farla finita per evitare non solo e non tanto le sofferenze fisiche, ma anche e soprattutto la condizione di degrado della malattia, giunta a uno stadio finale.

«Cosa c’è di naturale nel vivere attaccati a macchine per la respirazione e la nutrizione?», si chiedeva Welby e lo chiedeva a tutti attraverso la drammatica lettera indirizzata a Napolitiano meno di un mese prima di andarsene.

Proprio la malattia ha portato la politica nella vita, altrimenti normale e ripiegata in una dimensione privata, della famiglia Welby. Ma si tratta di una politica alta, intesa come riflessione pubblica sui problemi apicali dell’esistenza. E questa politica non si è interessata solo alla libertà di morire, che è una parte della corposa battaglia dell’associazione Coscioni. Ha toccato anche la libertà della ricerca scientifica e il diritto alla cura. Ha messo, anzitempo, il dito nella piaga delle inefficienze del Sistema sanitario e ha capito – e denunciato – per tempo le disparità che ne derivano: un malato meridionale di distrofia o di Sla ha meno possibilità di condurre un’esistenza dignitosa rispetto al suo omologo del centronord. Infine, questa politica, che ha rotto il blocco dei pregiudizi e crepato il muro dell’indifferenza, ha contagiato gli schieramenti parlamentari, dividendoli in maniera trasversale su questa tematica e non sui consueti blocchi di interessi.

Non è poco. Di tutto questo L’ultimo gesto d’amore reca una lucida testimonianza che lo rende tuttora attuale e interessante da leggere.

Per saperne di più:

l’intervista a Mina Welby

 

 

 

  

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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