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Vita avventurosa: Andrea Scarabelli racconta Julius Evola

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Una biografia densissima, da cui emergono tutte le complessità del pensatore romano di cui lo studioso milanese traccia un ritratto biografico documentatissimo, rigoroso e avvincente

Ci sono almeno due buone ragioni per leggere Vita avventurosa di Julius Evola (Bietti Milano 2024), la corposa biografia dedicata al pensatore romano da Andrea Scarabelli.

Innanzitutto perché quello di Scarabelli è il classico libro che colma un vuoto. Poi perché lo colma bene.

Attenzione su un punto: questa biografia evoliana, a un’impressione superficiale, potrebbe essere la classica storia dell’oste che dice il suo vino buono. Infatti, Scarabelli, studioso di Storia della filosofia per la Statale di Milano e collaboratore della Scuola di Filosofia politica di Roma, è vicesegretario della Fondazione Evola e membro della sezione italiana del Grece. Insomma, la sua Vita avventurosa potrebbe essere una specie di Evola visto da destra con annessa apologia.

Per fortuna non è così, altrimenti non leggereste queste righe. Anzi, non si può dare torto a Scarabelli quando dice che il suo libro è «la biografia di qualcuno che non voleva essere biografato, la periodizzazione di un pensiero che ha fatto di tutto per liberarsi al di là della Storia, salvo poi scommettere sulla Storia stessa».

Infatti, Evola ha parlato di sé solo ne Il cammino del cinabro (ultima edizione Mediterranee Roma 2018) l’autobiografia spirituale in cui raccontava solo l’evoluzione del proprio pensiero, eliminando il più possibile l’aspetto umano.

La copertina di Vita avventurosa di Julius Evola

Scarabelli fa quasi il contrario: non elimina il pensiero, ma mette in primo piano il vissuto. Usa senz’altro come traccia Il cammino del cinabro – che contiene comunque una periodizzazione precisa del pensiero evoliano – ma confronta tutto con una mole impressionante di documenti, reperiti un po’ dappertutto.

Da questa ricerca esce un ritratto sincero e veritiero di Evola, da cui emergono senz’altro le contraddizioni della persona ma anche la coerenza interna del pensiero, che ha seguito un filo conduttore robusto, capace di tenere anche nelle fasi più difficili. La pretesa graniticità evoliana risulta intaccata non poco, a tutto vantaggio della complessità, che è poi ciò che davvero conta nell’esperienza di vita di un personaggio che ha scritto e studiato tanto, ma ha vissuto altrettanto. Soprattutto, ha attraversato alcune delle fasi più tragiche della storia contemporanea.

Evola non era nobile

Scarabelli conferma ciò che Wikipedia aveva già divulgato da anni: Julius Evola, al secolo Giulio Cesare Evola, non era barone, tantomeno nobile.

Era figlio di due piccoloborghesi siciliani trapiantati a Roma: il telegrafista Vincenzo la casalinga Concetta Mangiapane. Li deluderà entrambi, a dispetto del successo raggiunto da giovane, sia come artista sia come studioso e filosofo: non raggiungerà mai la laurea in Ingegneria, sebbene avesse studiato con buon profitto fino a un certo punto.

Sin da ragazzo, il filosofo fu ribelle a modo suo: si diede all’arte e affrontò esperienze estreme, come la Grande Guerra. E visse tutto con grande intensità. Ma anche mondanità: era un frequentatore assiduo dei circoli artistico-letterari ed esoterici di Roma ed era un protagonista della vita notturna della Capitale, dove visse praticamente sempre, tolti i soggiorni estivi all’estero, specie nelle Alpi austriache, o a Capri.

Andrea Scarabelli

Uno così, coltissimo, carismatico, mondano e persino donnaiolo, non poteva fare una vita borghese (come invece fece il fratello) solo per far contenti i genitori…

Evola e Reghini: uno strano rapporto con la Massoneria

Uno degli aspetti più meritori della biografia di Scarabelli è il coraggio con cui l’autore fa luce sul rapporto complesso tra Evola e il matematico ed esoterista pitagorico fiorentino Arturo Reghini. Soprattutto, il coraggio con cui chiarisce i rapporti (che comunque vi furono e furono in parte piuttosto ambigui) tra il pensatore romano e i circoli massonici.

Al riguardo, sono innegabili sia la forte amicizia tra Reghini ed Evola, di cui resta traccia anche ne Il cammino del cinabro, sia il carattere aperto del Gruppo di Ur, in cui militavano esoteristi e spiritualisti di diverso orientamento, massonico e non.

Ora, mentre è sicuro che Evola non è mai stato massone (e d’altronde non fu iscritto a partiti o associazioni, neppure al Pnf, al Partito fascista repubblicano o, successivamente, al Msi), Reghini fu un esponente di vertice di Piazza del Gesù. Come riporta correttamente Natale Mario Di Luca nel suo Arturo Reghini. Un intellettuale neopitagorico tra massoneria e fascismo (Atanor Roma 2003) firmò come plenipotenziario l’autoscioglimento della Gran Loggia d’Italia, a cui il regime concesse di mettersi in sonno in massa, a differenza del Goi, che fu sciolto con le cattive.

A sinistra, Arturo Reghini, a desta, la lapide della tomba di Reghini

Proprio in questo frangente (il giro di vite del fascismo, che si preparava a concludere il Concordato con la Chiesa, sulla massoneria) si consumò lo strappo tra Evola e Reghini. Su questa storia controversa Evola ha sempre sorvolato, e gli evoliani hanno spesso taciuto. I biografi di Reghini (il già citato Di Luca e Roberto Sestito), invece, hanno sparso un bel po’ di veleno sul pensatore romano. Allo scopo, si sono basati su due elementi. Il primo sarebbe la presunta rivalità erotico-sentimentale tra Evola e Giulio Parise, allievo di Reghini. Com’è noto, l’oggetto del contendere era la scrittrice Sibilla Aleramo, ex amante del barone e – al momento del fattaccio – amante di Parise.

Ora, è vero, come hanno riportato tutti i biografi, che Parise ed Evola vennero alle mani per via di alcune espressioni poco riguardose di quest’ultimo nei confronti della Aleramo. Ma è altrettanto vero che la scrittrice non fu motivo di contesa tra i due, che, anzi (come riporta correttamente Scarabelli) le avevano scritto una cartolina poco prima della rissa.

Il secondo elemento sarebbero le accuse di plagio rivolte da Reghini a Evola, colpevole di aver plagiato nel libro Imperialismo Pagano un omonimo articolo del fiorentino.

Anche questo aspetto avrà avuto senz’altro il suo peso. Ma non tale da determinare una rottura così forte, visto che Evola aveva sostenuto in prima fila la polemica anticristiana e anticattolica assieme al matematico toscano.

Insomma, il non massone Evola si era esposto in prima persona nella battaglia contro il Concordato cara a molti massoni. L’approvazione del Concordato fu una mazzata per quasi tutti i circoli esoterici

In questo clima incandescente, in cui i residui gruppi massonici filofascisti furono costretti all’immersione e i neopagani ridotti a nicchie irrilevanti, è legittimo pensare che Evola si sia sentito strumentalizzato e Reghini e i suoi abbandonati.

Una foto giovanile di Tristan Tzara, papà del Dada e maestro di Evola

Ad ogni buon conto, la polemica, iniziata a mezzo stampa e finita nelle aule giudiziarie, fu un episodio bruttissimo. Sia per chi, da seguace di Pitagora, avrebbe dovuto mantenere un certo distacco, sia per chi si definiva barone…

E il fatto che alcuni gruppi fascisti vicini al mondo neopagano intervennero per sedare il conflitto non depose bene per nessuno.

Evola: un impolitico tra fascismo e neofascismo

Il volume di Scarabelli dà una lettura chiara e non scontata dei rapporti tra Evola e il fascismo, che sono la croce e delizia del pensatore romano.

Infatti, quello evoliano è un pensiero superpolitico che si incontra attraverso la politica. Ma è, allo stesso tempo, un pensiero così impolitico da risultare inutilizzabile, anche a scopi propagandistici. Troppo per la politica, ma quasi inavvicinabile al di fuori di essa.

Durante il regime, Evola si mantenne sempre su posizioni di nicchia. Da filosofo si legò prima ad Adriano Tilgher poi a Benedetto Croce, che lo protesse e promosse al massimo, e condusse una polemica senza quartiere contro il pensiero gentiliano.

Discorso simile per l’aspetto esoterico: allontanatosi dal magismo degli esordi e del Gruppo di Ur, Evola aderì al Tradizionalismo Integrale, ma si differenziò sempre da René Guenon, il pensatore capofila di questo filone, che teneva prudenti distanze dalla politica.

Al centro nella foto, Roberto Farinacci

Al contrario dell’esoterista francese, l’italiano non rifiutò mai la mischia e i relativi pericoli, forse per fedeltà alla sua equazione personale da guerriero più che da asceta.

Di nicchia in Italia, Evola si avvicinò ai circoli rivoluzionario-conservatori tedeschi e austriaci, a loro volta altra nicchia, non vista sempre di buon occhio (e spesso più maltollerata che accettata) dal nazismo.

Il pensatore romano riuscì ad affermarsi come giornalista grazie ai buoni uffici di Roberto Farinacci. In Germania, invece, ebbe la protezione di Himmler e coltivò rapporti con l’Ahnenerbe.

Il poco successo che ottenne, si sarebbe rivelato un boomerang, col senno di poi, perché era dovuto alla sua particolare interpretazione delle teorie razziste, che attirò l’attenzione di Mussolini in persona.     È vero che quest’interpretazione, fraintesa anche in Italia, era una confutazione forte delle teorie dei nazisti (che, infatti, non gradirono). Ma ciò non sarebbe bastato nel dopoguerra a dissipare l’alone mefistofelico che Evola si portò sempre addosso.

Anche la partecipazione alla Rsi (e, poco prima, al governo ombra ospitato dalla Germania nazista) fu volontaria. Ma non si trasformò mai in adesione. In piena coerenza con la sua impostazione, Evola non volle incarichi politici e si dedicò alle ricerche e alle battaglie culturali.

Nel dopoguerra, altro punto che emerge con chiarezza dall’analisi di Vita avventurosa, Evola non cercò allievi. Semmai, si verificò l’esatto contrario: vari giovani, scampati alla tragedia della guerra civile, avevano trovato quasi per caso i suoi libri e si erano rivolti a lui per avere un punto di riferimento.

Tuttavia, anche a dispetto del fatto che molti giovani missini lo considerassero una guida, i vertici della destra neofascista guardavano a Evola con sufficienza o con sospetto.

Troppo compromesso in alcuni aspetti non bellissimi del regime, poco inquadrabile a livello teorico e ancor meno utilizzabile nella lotta politica spicciola, il pensatore romano sopravvisse in una nicchia particolare, che lo protesse senz’altro ma ostacolò la recezione della sua opera.

Né, ovviamente, gli giovò il fatto che ai suoi testi si ispirò, a partire da Ordine Nuovo, una vasta fetta della destra extraparlamentare, sospettata (a torto o a ragione) di fatti inquietanti. Ma questa è davvero un’altra storia, di cui fondamentalmente Scarabelli non parla perché non ne avrebbe alcun motivo: Evola non fu responsabile dei gesti attribuiti ai terroristi neri, diversamente da quanto accaduto per tanti intellettuali di sinistra, che ebbero un’influenza diretta sui rossi.

Himmler passa in rassegna un reparto di SS

Non è un caso che il vero sdoganamento del barone sia iniziato con l’avvento della destra postfascista al governo, che ha implicato la storicizzazione dell’esperienza neofascista. Senza questa evoluzione particolare della politica italiana, Evola sarebbe rimasto un pensatore borderline e il libro di Scarabelli, forse non sarebbe stato possibile.

Evola e le donne: un dongiovanni in veste di dandy

Vita avventurosa di Julius Evola contiene molti dettagli del rapporto del barone nei confronti della metà rosa del cielo.

Agevolato da una grande eleganza e da un bell’aspetto, Evola fu quel che si dice un dongiovanni. Seduttore a tutto spiano, il Nostro rivela nelle lettere agli amici (ad esempio Tilgher oppure le sorelle Scalero) modi spicci insospettabili in un filosofo.

Tolta qualche disavventura di gioventù – cioè la relazione con la marchesa Livia Picardi, che lo trattò peggio di un toy boy – probabilmente per Evola le donne non furono un problema. Semmai, come lascia capire Aleramo nel suo Amo dunque sono, fu lui un problema per molte.

Tuttavia, ciò non vuol dire che fosse insensibile o anaffettivo. Ad esempio, pagò la sepoltura di una sua amica tedesca morta suicida a Capri, che ricordò in maniera commossa. Oppure, nel dopoguerra, pagò un intervento di chirurgia estetica a una ragazza sfregiata al viso che frequentava le sue lezioni.

Infine fu una donna, la sua assistente Maria Antonietta Fiumara, ad assistere Evola nelle ultime ore di vita e a trasportarne le ceneri verso le Alpi per l’inumazione.

Sibilla Aleramo

Difficile dire quanto sia stato davvero amato, il barone (e a leggere Metafisica del sesso parrebbe non poco). Certo è che, a modo suo, riuscì anche a farsi voler bene.

Evola: il pericolo come paradosso

Piuttosto restio alle risse e alle scazzottate, Evola non si tirava indietro quando c’era da rischiare davvero.

E rischiò tanto: si diede all’alpinismo, di cui fu tra i pionieri, quando era attività non solo estrema ma comunque ad alto rischio.

Fece scelte sempre controcorrente, che gli procurarono non pochi guai: ad esempio fece l’agente segreto per i tedeschi nel periodo convulso tra il 25 luglio e l’otto settembre e poi, dopo una fuga rocambolesca, si ritrovò in Germania ad accogliere Mussolini liberato da Skorzeny

Da manuale del paradosso l’incidente che gli procurò la paralisi nel gennaio del ’45: col falso nome di Karl von Bracorens, Evola era a Vienna per studiare una raccolta di documenti sulla massoneria per conto delle SS. Ospite di una famiglia, il pensatore uscì durante un bombardamento alleato.

Il resto è storia nota: lo spostamento d’aria provocato da una bomba scaraventò lo studioso contro un muro e gli procurò le lesioni che lo portarono alla paralisi. Ma c’è un fatto meno noto (e che Scarabelli riporta nei dettagli): uno dei bersagli di quello stesso bombardamento fu proprio l’alloggio di Evola, che se fosse rimasto in casa, con tutta probabilità sarebbe morto.

Julius Evola in una foto degli anni ’60

Il cinabro secondo Scarabelli

Al contrario di quel che si pensa, lo sdoganamento di Evola iniziò quando il pensatore era ancora vivo.

Lo testimoniano, come riporta ancora Scarabelli, la riscoperta delle opere artistiche giovanili di Evola oppure la fama che si era costruito in alcuni circoli colti al di fuori del mondo neofascista (ad esempio, come traduttore dal tedesco o come esoterista sessuologo): a questa fama è legata la famosa intervista rilasciata a Playmen nei primi anni ’70.

Giusto una divagazione: prima della virata sul porno, l’editoria per adulti era piena di firme di destra

Questo sdoganamento subì uno stop nella seconda metà degli anni ’70 e riprese alla fine del decennio successivo, in coincidenza con la trasformazione della destra politica, da neofascista a postfascista.

La fine dell’uso improprio (e indesiderabile) di Evola in politica ha aperto la strada alla riscoperta di un pensiero unico, onnivoro ed esplosivo, come quello del filosofo romano. E la monumentale biografia di Scarabelli aggiunge un altro, importante tassello a questa recezione.

Infatti, Vita avventurosa ci restituisce un ritratto di Evola più umano e meno santone. Più complesso e meno rigido. E meno male perché, vale la pena ripetere, la complessità è una dei crismi della grandezza intellettuale.

Non può che fare bene, al lettore e al biografato, la riscoperta di un Evola non solo studioso (e che studioso…), ma anche viaggiatore, atleta, uomo di mondo e raffinatissimo dandy.

Occorre davvero aggiungere altro per far capire che quello di Scarabelli è l’unico ritratto di Evola di cui si aveva bisogno e che finora è mancato?

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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