Concorso Dsga, la Camera dice no ai facenti funzioni
Cala la pietra tombale sulle richieste dei sindacati (e di parte della classe politica): per diventare Dsga servono comunque lauree specifiche e l’esperienza, comunque accumulata, non basta. Ma restano ancora scoperte molte scuole. I candidati al concorso rilanciano: assorbite tutta la graduatoria e lasciate stare il resto
Con il voto del 2 dicembre la Camera dei Deputati ha messo la classica pietra tombale su quella parte del Decreto Scuola (o, più volgarmente, salvaprecari) con cui si è tentato di bandire un concorso riservato ai Dsga facenti funzioni.
Per arrivare al niet dei deputati c’è voluto prima l’altolà di Mattarella, che aveva respinto il decreto a novembre per sospetti di dubbia costituzionalità. Poi è stato necessario anche il no della Ragioneria dello Stato, secondo la quale non ci sarebbero i fondi per bandire il concorso riservato.
La vicenda, per quanto mal raccontata, è piuttosto nota: il governo gialloverde ha bandito nel 2019 il concorso per Dsga (ovvero, direttori dei servizi generali e amministrativi) dopo circa venti anni dall’istituzione di questa figura delicata e importante sia per le singole scuole sia per la tenuta delle autonomie scolastiche.
In questi venti anni senza concorso la categoria dei Dsga si è assottigliata fisiologicamente e i posti vacanti sono stati ricoperti da assistenti amministrativi nominati dai dirigenti scolastici. Una soluzione tampone, che purtroppo si è protratta a lungo, fino a scatenare il conflitto a cui si è assistito a partire da settembre.
Infatti, è palese la contraddizione tra i requisiti minimi richiesti dai contratti collettivi, dalla normativa e, più di recente, dal bando del 2019 per partecipare al concorso (laurea vecchio ordinamento o magistrale, in Giurisprudenza, Economia, Scienze politiche, Scienze dell’amministrazione o equipollenti) e la situazione di fatto, per cui le scuole sono state gestite per lo più da diplomati (gli assistenti amministrativi nel ruolo di Dsga facenti funzioni).
Il concorso ordinario, tuttora in svolgimento, risente di questa contraddizione, poiché riserva il 30% dei 2.004 posti messi a bando ai facenti funzioni anche se privi del titolo purché avessero ricoperto questo ruolo per almeno tre anni.
Come si sia arrivati a questo strano compromesso è quasi un mistero, tanto più che il concorso ordinario copre solo una parte del fabbisogno del personale, che secondo dati parziali provenienti dagli Uffici scolastici regionali sarebbe di oltre 3.500 unità. In alcuni casi la lacuna è gravissima: si pensi alla Lombardia, dove per coprire i posti vacanti (parrebbe 630) i dirigenti scolastici hanno dovuto reclutare semplici laureati.
Se le cose stanno così, e c’è davvero da dubitare che al Miur ignorassero questi dati, non sarebbe stato più semplice mettere a bando tutti i posti con un solo concorso?
Tutto lascia pensare che in questo caos il sindacato abbia fatto la sua parte, perché nel frattempo il numero dei facenti funzioni era aumentato. Ed erano quindi aumentate le aspettative di stabilizzazione nel ruolo di dirigente di molti assistenti amministrativi.
A fare la differenza, per i sindacati è una cosa sola: il possesso di una tessera, che i facenti funzioni hanno, nella loro qualità di dipendenti della pubblica amministrazione, e i semplici concorsisti no. In assenza di prove è difficile dire altro, sebbene secondo i bene informati l’ex ministro Bussetti avrebbe voluto coprire in un primo momento tutti i posti vacanti. Ma allora, perché complicare quel che non si doveva, considerata soprattutto la situazione di emergenza, probabilmente destinata a crescere con l’istituzione della quota cento? Ci fermiamo qui.
La sanatoria prevista dal concorso ordinario non ha tuttavia funzionato, perché molti facenti funzioni sono stati falcidiati alla preselezione di giugno, a cui avevano partecipato oltre 40mila candidati. Ed è a questo punto che è sorto il problema: come far rientrare dalla finestra chi non è riuscito a entrare neppure dalla confortevole porta di servizio prevista dal concorso.
E proprio per questo, è esplosa la polemica furibonda tra i concorsisti ordinari, che si sono sottoposti a prove pesanti senza alcuna corsia preferenziale, e i facenti funzioni, molti dei quali pretendevano una stabilizzazione tout court pur non avendo i titoli dei loro competitors. Il sindacato ha fatto il resto: un gran baccano, culminato in una manifestazione un po’ grottesca davanti a Montecitorio. E ha rimediato una figuraccia, perché si è messi sotto i piedi i contratti collettivi (a cui pure aveva preso parte), le normative e la Costituzione.
Un segno dei tempi: la Costituzione è un valore da difendere solo quando si tratta di sbatterla in faccia a qualche bersaglio politico, come ad esempio Berlusconi, Renzi o Salvini. Diventa negoziabile, invece, quando si tratta di difendere interessi di fazione consolidati.
Il tutto, quel che è peggio, nel sostanziale silenzio dei media, che hanno di fatto messo la sordina alla protesta dei concorsisti ordinari in due modi: o raccontando poco e per sommi capi i motivi della loro rabbia; oppure mettendoli sullo stesso piano dei facenti funzioni, che pretendevano dalla politica la stessa ipertutela che in questa vicenda hanno avuto dai sindacati.
La Camera dei Deputati ha optato per una soluzione parzialmente salomonica: ha ammesso il concorso riservato, ma solo per i facenti funzioni dotati di laurea. Il che è quasi come bocciare del tutto l’idea, visto che secondo una stima approssimativa di fonti autorevoli questi ultimi sarebbero circa 200.
Ora, alcuni di loro beneficeranno già della riserva del 30% prevista dal concorso ordinario e tutto lascia pensare che del concorso riservato beneficeranno cento persone a malapena.
Ma tutto questo non sposta di una virgola il problema reale: le scuole non saranno comunque coperte a sufficienza, perché avanzeranno più di mille posti.
Come rimediare, dato che non potrà essere bandito un altro concorso per tre anni?
Una soluzione la hanno proposta i concorsisti ordinari, costituitisi nel comitato spontaneo Difendiamo il concorso Dsga: assorbire tutti gli idonei non vincitori (che, dati la durezza delle prove e l’alto numero dei partecipanti, rischiano di essere davvero tanti).
Il tempo per una decisione di questo tipo, di sicuro meno irrazionale del concorso riservato, è poco, perché il termine per la conversione del decreto scade il 29 dicembre.
Nel frattempo, il braccio di ferro continua.
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Grazie per avere evidenziato con lucidità, le storture messe in atto da presunti attori della vita politica e sindacale che hanno messo sotto i piedi, concetti come legalità e meritocrazia.