Quelle vecchie lettere da Fenestrelle…
Sei documenti d’archivio contribuiscono a smentire la leggenda nera sull’ex fortezza punitiva dei Savoia che secondo i revisionisti antirisorgimentali sarebbe stata una specie di Auschwitz sabauda in cui i “piemontesi” avrebbero decimato i prigionieri di guerra meridionali…
Il Forte di Fenestrelle, un imponente complesso di fortificazioni nel cuore della Val Chisone, in pratica tra Torino e la Val di Susa, è diventato una specie di bestia nera dell’immaginario neoborbonico e antirisorgimentale.
In disuso dalla Seconda Guerra Mondiale, l’ex Forte, utilizzato a lungo come bagno penale militare e antica sede dei Cacciatori Franchi, corpo punitivo dell’Esercito di Sardegna, ha riacquistato una nuova fama all’inizio del decennio in seguito alla riscoperta particolare di alcuni scrittori revisionisti diventati di grido in vari ambienti.
Parliamo dell’ex presidente dell’Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca, dell’ex direttore di Gente Pino Aprile e di Gigi Di Fiore, inviato e firma prestigiosa de Il Mattino.
Grazie ai loro libri Fenestrelle è diventato uno dei tre racconti forti su cui ruota la narrazione neoborbonica, riesplosa con una certa virulenza in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Gli altri due, che menzioniamo per completezza, riguardano Cesare Lombroso, il padre dell’Antropologia criminale, diventato nel racconto revisionista una specie di Mengele sabaudista, e la strage di Pontelandolfo, riletta come esempio di un presunto comportamento protonazista del Regio Esercito nei confronti delle popolazioni meridionali durante la repressione del brigantaggio.
In pratica non c’è testo revisionista che non tratti almeno uno di questi tre episodi.
L’affaire Fenestrelle si è rivelato piuttosto delicato, perché, sempre secondo la narrazione neoborbonica, sarebbe l’esempio lampante delle tendenze concentrazionarie della classe dirigente del Regno di Sardegna. Tendenze tutt’altro che latenti, visto che in questo Forte sarebbero morti a migliaia i prigionieri degli eserciti preunitari, in particolare quelli del Regno delle Due Sicilie.
Uno sterminio vero e proprio, dovuto sia alle cattive condizioni – climatiche, igieniche e ambientali in senso ampio – della detenzione, sia alla volontà deliberata dei responsabili del Forte, che si sarebbero lasciati andare ad eccessi piuttosto novecenteschi: esecuzioni sommarie di interi gruppi di prigionieri, torture di massa ecc.
Le cifre dei revisionisti, abbiamo accennato, sono tanto imprecise quanto iperboliche.
E non è proprio difficile intuire lo scopo di questa ricostruzione, tanto urlata quanto inconsistente: introdurre la categoria del genocidio, alla fine teorizzata in maniera piuttosto esplicita da Aprile nel suo Carnefici (2016) nel racconto dei difficili anni dell’Unità d’Italia.
C’è da dire che sulla vicenda di Fenestrelle la risposta della cultura ufficiale, accademica e non, è stata piuttosto repentina. Il primo a cimentarsi nella polemica è stato il torinese Juri Bossuto, a inizio decennio consigliere regionale di Rifondazione Comunista e autore di Le catene dei Savoia (2012), uno studio approfondito sulla storia del Forte, da cui le iperboli revisioniste risultano ridimensionate non di poco: i militari duosiciliani deceduti a Fenestrelle non sono stati 40mila ma solo quattro, per malattie polmonari e non per maltrattamenti.
Con I Prigionieri dei Savoia di Alessandro Barbero (2014) la polemica approda finalmente nel mainstream, sia per la statura dell’autore, storico di vaglia e divulgatore di rara efficacia, sia perché per la prima volta un editore forte, Laterza, prende in carico la risposta e il duello con le varie Piemme, Utet ecc. è finalmente ad armi pari.
A questo punto occorre chiarire la portata di questo duello, che non è tra partigiani di opposte visioni (quella terronista o neoborbonica contro quella risorgimentalista o sabaudista) ma tra i fautori di una concezione rigorosa e imparziale della storia e quelli di un suo uso (ed eventuale abuso) politico.
Intendiamoci: le ricostruzioni rigorose e imparziali non sono mai mancate. Semmai è stata carente la divulgazione e gli spazi lasciati vuoti dal mondo accademico sono stati riempiti da divulgatori professionisti (cioè Del Boca, Aprile e Di Fiore) che, per meri motivi politici o di mercato, hanno ripreso le tesi dei vecchi autori borbonici alla de’ Sivo.
Torniamo a Fenestrelle. Al riguardo, il volume di Barbero ha fatto non poca chiarezza anche grazie ai suoi toni polemici: il prof di Torino, infatti, non solo ha ridimensionato i numeri dei revisionisti e ha aperto uno squarcio importante su una pagina importante ma dimenticata della nostra storia, ma ha rilanciato la sfida, grazie a una critica serrata degli autori revisionisti.
Ma l’arma vincente de I prigionieri dei Savoia è un’altra, forse la meno appariscente: il racconto delle vicende umane dei prigionieri di guerra borbonici, ricostruito grazie a un uso magistrale della documentazione d’archivio, da cui si ricava tutto, fuorché la volontà sabauda di sterminare i militari sconfitti con una sistematicità degna dei nazisti.
Molti sono documenti quasi banali, che tuttavia raccontano una routine quotidiana che poco ha a che fare con i campi di concentramento o i gulag.
Ne sottoponiamo alcuni all’attenzione del lettore.
Il primo documento risale al dicembre 1860. È una lettera al ministro della Guerra, redatta dal comandante del deposito di Saluzzo, che perora la causa di due prigionieri di guerra borbonici provenienti da Fenestrelle.
Si tratta di due persone piuttosto in avanti con gli anni, secondo i criteri dell’epoca: un 49enne che aveva prestato servizio nel Terzo Dragoni del disciolto Esercito duosiciliano e un 52enne, che aveva militato nel Secondo Dragoni.
Il comandante di Saluzzo si rivolge al ministro per chiedere il proscioglimento dei due e il loro rimpatrio sia a causa dell’età e delle condizioni di salute non proprio eccellenti sia perché i due prigionieri erano l’unica fonte di sostentamento delle loro famiglie. Non sappiamo come sia andata a finire, ma il documento testimonia l’attitudine tutt’altro che concentrazionaria dei militari sabaudi.
Il secondo documento è pura fureria: un verbale di consegna di indumenti a quattordici prigionieri napoletani del Forte di Fenestrelle, datato 11 giugno 1860. Al riguardo non c’è molto da dire, se non che i nominativi dei prigionieri sono riportati analiticamente.
Da ciò si può dedurre agevolmente che nessuno che miri a sterminare i nemici vinti agirebbe con tanta burocratica trasparenza: perché mettere dei nomi, che consentirebbero di risalire alle vicende dei singoli militari e, in ipotesi, di ricostruire un eventuale massacro?
Il terzo documento è il verbale di trasferimento di trenta prigionieri napoletani da Fenestrelle ad altre destinazioni. In questo caso valgono le stesse considerazioni espresse sopra: che senso ha indicare i nomi e le destinazioni di persone che si intende massacrare?
Giusto una precisazione: i trasferimenti non devono essere intesi come deportazioni, cosa che puntualmente fanno i revisionisti, ma erano una prassi più che normale perché quello di Fenestrelle era un corpo punitivo e non una destinazione definitiva (anche se, come ha raccontato Barbero, alcuni ex prigionieri borbonici firmarono per continuare il servizio militare al Forte). Questi trasferimenti significavano che i prigionieri avevano accettato di continuare la leva nel nuovo Esercito e quindi venivano inviati ad altri corpi oppure che avevano finito il periodo di riaddestramento ed erano riassegnati.
Tutte cose tipiche di un esercito normale e non delle SS-Polizei.
Il quarto documento è un altro verbale di fureria in cui è annotata la consegna di capi di vestiario (camicie e scarpe) a otto prigionieri di guerra, elencati nominativamente. Vale quanto detto sin qui.
Il quinto documento è una chicca: è una lettera confidenziale con cui il comandante del Forte chiede al ministro della Guerra di trasferire al Sud alcuni prigionieri napoletani che soffrivano di nostalgia. Nella richiesta dell’ufficiale si intravede non l’attitudine segregazionista denunciata dai revisionisti, ma la perenne tendenza italiana a schivare i problemi e a non assumersi responsabilità eccessive (quella, ad esempio, di disciplinare soldati scontenti che sognano casa e i maccheroni).
Un dettaglio della missiva è degno di nota: il comandante specifica che molti di questi soldati sono artificieri o artiglieri, due specialità dell’ex Esercito borbonico di cui il costituendo Regio Esercito aveva un disperato bisogno. La perorazione dell’alto ufficiale lascia credere che forse la richiesta di trasferire questi militari nostalgici era un modo per convincerli a continuare la ferma militare nei corpi di un esercito che aveva bisogno di loro.
Anche questo sarebbe indice di un’attitudine tutta italiana che con certe presunte truculenze paranaziste ha poco a che vedere.
Il sesto documento è l’unica nota triste della serie: contiene l’annuncio del decesso di due ex soldati borbonici, avvenuto il 30 novembre nell’Ospedale del Forte. Anche in questo caso, la pignoleria burocratica smentisce l’intenzione stragista.
I sei documenti che abbiamo pubblicato raccontano la vita quotidiana di un corpo militare nella sua fisiologia, fatta di tante piccole cose. Soprattutto, testimoniano la comunicazione continua, ora in forma esplicita e ora in forma riservata, tra i vertici militari e quelli ministeriali del nascente Regno d’Italia. Uno Stato che provava a fare lo Stato in situazioni difficili e non a sterminare gli ex nemici.
La verità parla da sola anche attraverso il burocratese di soldati di poco meno di 160 anni fa. E parla meglio di chi enfatizza le proprie tesi, magari con la convinzione che i meccanismi delle fake news e della disinformazione funzionino senza problemi anche nella storiografia.
Le bufale hanno le gambe più corte delle bugie. E per fermarle basta davvero poco: in questo caso, saper togliere un po’ di polvere da vecchi documenti.
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Capito casualmente a leggere questi articoli sul forte di Fenestrelle in quanto è mia intenzione domattina andarvi per visitarlo e, soprattutto, ritrovarlo a circa 60 anni di distanza da quando, adolescente, con amici italiani e francesi, durante le vacanze estive lo percorrevamo in lungo ed in largo dal Chisone alla sommità in montagna. In quei primi anni 60 era in totale abbandono e disfacimento ma per noi ragazzi di 13,14 e 15 anni era avventura allo stato puro e non solo. E quello che era ancora possibile trovare nel forte, nei luoghi lasciati liberi dalla vegetazione, ancora oggi dopo tantissimi anni, mi fa venire i brividi. Non voglio dilungarmi ma da ragazzi se ne combinano di tutti i colori e noi ne combinammo tante. Quello che mi sento di dire ai vari storici blasonati o meno, pro Savoia o pro Regno delle Due Sicilie è questo : ma voi ci siete mai entrati in quel forte quando ancora era possibile trovarci di tutto? Senza andare a spulciare archivi ufficiali più o meno veritieri avreste trovato le risposte a tutte le vostre domande ed ai vostri dubbi e, con quei pochi che hanno toccato con mano le verità nascoste, evitereste di fare TUTTI figure ridicole. LA VERITA’ STA NEL MEZZO e fino a fine anni 60 la si poteva guardare e leggere sotto i pavimenti, ancora esistenti, dei cameroni e di un paio di ridotte. Per noi ragazzi curiosi era una avventura, una grande avventura a cui misero fine alcuni carabinieri e diversi graduati militari ma noi sappiamo bene cosa raccogliemmo in quantità impressionante.
Egregio Luigi (ma perché non si firma per esteso?),
La pubblico solo per la curiosità che mi ha suscitato. Detto questo, la invito nei limiti del possibile, a esibire i reperti trovati da Lei e dai suoi amici.
Altrimenti parliamo di niente…
Grazie per l’attenzione,
Saverio Paletta
Il Sig. Ciano non non si vergogna affatto , non conosce la vergogna , dopo la nota figuraccia di Pontelandolfo chiunque altro si sarebbe rinchiuso in un monastero per il resto della sua vita . Lui no , lui continua a raccontare menzogne
Caro Giorgio,
tranne che per il linguaggio, sono perfettamente d’accordo con lei: Ciano è impermeabile alle buone creanze e alla coerenza. Francamente non so che pensare, visto che so di tanti miei colleghi che hanno preferito subire processi (e, in alcuni casi, condanne) pur di non ritrattare.
Mi chiedo solo una cosa: queste esternazioni sono solo frutto del carattere, di sicuro non bellissimo, di Ciano, oppure costui è anche aizzato da qualcuno?
In quest’ultimo caso, ci sarebbe davvero molto da riflettere…
Grazie per il contributo,
Saverio Paletta
Sig. Ciano non si vergogna ? questo articolo dimostra che su Fenestrelle sono state dette balle , lei non lo commenta ma risponde con altre balle ampiamente smentite . Perche’ lei non ha mai dimostrato quello che afferma !!! E a smentirno non sono ” massoni e negazionisti ” ma DUCUMENTI !!! Lei e’ in grado di capire la differenza che tra una balla , VERGOGNOSA , e una verita’ dimostrata da documenti ? Chi la paga per dire balle ?
Egregio Felice,
Capisco lo sfogo, ma consiglio un linguaggio più pacato. Ciano si commenta da sé non appena esterna… Non c’è bisogno di tanta aggressività verso una persona come lui.
Grazie per l’intervento!
Saverio Paletta
Credo che occorra molto rispetto per le sofferenze e le perdite di vite umane sopportate dalla popolazione di Gaeta durante l’assedio del 1861: e di certo chi le riduce a strumento di mera polemica dubito che ne nutra. Proviamo a fare chiarezza almeno su alcune cifre essenziali. Giuseppe De Luca, Il reame delle Due Sicilie, Napoli 1860, p. 304, quantifica in circa 12.000 il numero degli abitanti della città di Gaeta. Al censimento del 1861 (popolazione al 31 dicembre) gli abitanti di Gaeta risultarono 14.127. Lo scostamento dalla cifra fornita da De Luca, che era approssimativa e di certo risalente a qualche anno prima, depone a favore della attendibilità del rilevamento del 1861. E dunque la città non era affatto stata rasa al suolo come si afferma senza fondamento da alcuni storici “modello Ikea”. Sulle perdite tra i civili secondo la stima del maggiore Pietro Quandel, addetto allo Stato maggiore dell’esercito napoletano, – Giornale dell’assedio di Gaeta, A. Placidi, Roma 1863, p. 332 – “i cittadini di Gaeta uccisi o feriti [superarono] il numero di cento”: furono molti, certo, ma non si trattò di uno sterminio. Sul milione di morti e via Lepanto non val la pena replicare.
chi smentisce i crimini di guerra piemontesi o è un massone o un tifoso dei crimini di guerra.,andasse a via Lepanto , vi sono descrittte stragi, barbarie , un centinaio di paesi distrutti, la mia città Gaeta rasa al suolo senza dichiarazione di guerra, Barbero è andato solo una volta a via Lepanto, archivio piemontese e non ha letto ste cose ,o le ha lette e non vuole pubblicarle.hanno massacrato un milione di contadini, donne e bambini fucilati.
Nessuno meglio del Sig. Ciano dovrebbe sapere che su quelle vicende sono state dette e scritte balle colossali . Non a caso LUI ha dovuto chiedere scusa per avere pubblicato delle falsita’ in merito alla vicenda Lombroso
Ma io Sig. Ciano non ha no9ente da dire sui documenti qui pubblicati che sono l’evidenza di un’altra grottesca falsita’ , quella sul “lager” Fenestrelle ? Ciano scrive “chi smentisce i crimini di guerra piemontesi o è un massone o un tifoso dei crimini di guerra.” E chi come lui pubblica balle che cosa e’ ? Grazie per la risposta
Egregio Ciano,
La pubblico perché non amo le censure (quelle che voi dite di subire). Tuttavia, non amo le aggressioni, perciò mi permetto di ribadire ciò che ho già pubblicato su di Lei e che Lei, evidentemente, non ha letto.
Mentre non ci sono prove (e non possono considerarsi tali le argomentazioni inconsistenti e le mistificazioni Sue e dei suoi “colleghi”) su una presunta volontà sterminatrice del Regio Esercito – piemontese prima e italiano poi – emergono fatti recenti che dovrebbero far riflettere sul Suo modo di agire.
Al riguardo le chiedo: Lei è lo stesso Antonio Ciano che, trascinato in giudizio da un discendente del sindaco Melchiorre di Pontelandolfo, ha smentito le proprie tesi per non subire una condanna penale che La avrebbe esposta o all’onere di un appello o a quello di un risarcimento?
Se così non fosse, Le chiedo pubblicamente scusa. Al contrario, La prego caldamente di essere educato e di non dare surrettiziamente del criminale al prossimo (infatti, sono d’accordo con Lei che chi apprezzi i crimini di guerra è criminale a sua volta).
Saluti
Saverio Paletta