Most read

Il Veneto alla secessione? Lo dice solo Patruno

5/5 - (1 vote)

Il giornalista pugliese, punta di diamante del fronte sudista, va alla carica contro il governo a trazione leghista sull’autonomia del Nord e punta il dito contro il mondo accademico da cui ha ricevuto incarichi

No, purtroppo non è il celebre jazzista, suo omonimo per una questione di soprannome, altrimenti ascoltarlo sarebbe stato solo un piacere.

Lino Patruno, già direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, docente universitario e fiancheggiatore della causa sudista, ha intonato una canzone non bellissima sul suo quotidiano, dove mantiene un non indifferente potere di firma: dal 22 ottobre, scrive nel suo editoriale Italia finita per l’egoismo del Nord (uscito appunto sulla Gazzetta il 12 ottobre) il nostro Paese non esisterà più, a causa del ddl sull’autonomia del Veneto, che in quella data sarà licenziato dal Consiglio dei Ministri su iniziativa leghista (e, parrebbe, senza che i soci pentastellati ne sapessero niente) e poi sottoposto al Parlamento senza possibilità di emendamenti.

Il giornalista Lino Patruno (foto Arcieri)

Il Nord, a partire da questo ddl, il primo di una serie con cui si vorrebbe disegnare il cosiddetto federalismo differenziato (gli altri dovrebbero riguardare Lombardia ed Emilia Romagna), si staccherebbe di fatto dal resto del Paese e celebrerebbe il proprio egoismo, sociale e quindi politico, per l’ennesima volta.

Il quadro tracciato dal giornalista pugliese è tra l’inquietante e l’apocalittico: «Il Veneto, anzi la neonata Repubblica autonoma del Veneto, discuterà i dettagli direttamente col governo di Roma: da Stato a Stato. Addio Costituzione e nazione “una e indivisibile”».

Efficace come sempre a toccare gli istinti più rudi del lettore, Patruno si scorda di dire che la secessione paventata potrebbe essere al massimo un esito del procedimento messo in moto dal governo e dalla maggioranza per compiacere i desiderata della Lega. Anzi, preme sull’acceleratore: «Definire autonomia quella del Veneto è come dire che l’Italia muore, ma solo un po’. Non soltanto quella regione ex-italiana gestirà per conto suo le 23 materie finora in condominio con Roma, dai trasporti, alla sanità, all’ambiente. Ma lo farà contando sia sui fondi nazionali finora ottenuti, sia su una integrazione che gli dovrà lasciare sempre lo Stato. E perché? Perché più ricca di altre regioni».

Secessionisti veneti in parata

Sarà vero? Forse. Peccato solo che Patuno, stando al suo curriculum, dovrebbe ricordare che per avere risultati così devastanti non basterebbe forzare il Titolo V della Costituzione ma occorrerebbe intervenire con una revisione della Carta Costituzionale.

Non parliamo di curriculum a caso, perché Patruno non è laureato in Lettere, ma in Economia. Il che forse gli dà diritto a evocare scenari pericolosi sulla base dei conti, ma non gli può dare alcuna giustificazione sul piano del Diritto costituzionale, che pure dovrebbe conoscere.

Detto altrimenti, il pericolo ci sarebbe ma è pur vero che il nostro sistema contiene dei contrappesi e delle valvole di sicurezza sufficienti a scansarlo.

L’economista Gianfranco Viesti

Non crediamo, in prima battuta, che l’attuale Parlamento sia composto da analfabeti di ritorno, sebbene sia certamente il peggiore della storia repubblicana.

Non crediamo, inoltre, che il mite Mattarella resti con le mani in mano e abdichi al ruolo di custode della Costituzione che gli assegna l’ordinamento.

Non crediamo, infine, che la Corte costituzionale sia un orpello o, peggio, sia egemonizzata da leghisti e grillini. Tutt’altro.

Al contrario, c’è da credere che con la doverosa sensibilizzazione istituzionale qualcosa potrebbe accadere.

Certo, se la catastrofe annunciata fosse quella descritta dall’ex direttore della Gazzetta, le accuse di insensibilità non sarebbero fuori luogo. Al riguardo, scrive ancora il giornalista: «Da noi il Paese serenamente si spegnerà un giorno di autunno, mentre un popolo indifferente riprenderà il lavoro dopo una fine settimana. Eutanasia col consenso di chi lo guida». Notevole anche la chiusura del pezzo: «Non una voce, come si è detto, si è levata. Non dalla ministra del Sud. Non dai Cinque Stelle votati soprattutto dal Sud. Non da Salvini, anzi lui d’accordo. Non dai resti della sinistra. Meno se ne parla, meglio è. Ci vorrebbe una “Marcia dei 40 mila” come quella che salvò la Fiat. Ammesso e non concesso che qualcuno voglia salvare un imbelle Paese chiamato Italia».

Ma purtroppo, nonostante il suo ruolo di giornalista di vaglia, maitre-a-penser della stampa meridionale e habituè della tv-che-conta, Patruno è poco credibile nel ruolo del sensibilizzatore.

Il post di Patruno sull’Università di Bari

Certo, gli farebbe onore aver aderito alla petizione lanciata quest’estate da Gianfranco Viesti, riguardo alla quale l’editoriale della Gazzetta è qualcosa a metà tra il tentativo di rilancio e il colpo di coda. Ma Patruno ha aderito a quella petizione nel suo ruolo di centravanti della cosiddetta Galassia sudista, di cui probabilmente è la firma più credibile perché ha mantenuto un profilo basso e si è limitato al ruolo di fiancheggiatore, senza occuparsi di storia e di revisionismo storiografico.

Ma il non essersi esposto come i vari De Crescenzo, Ciano e Aprile non lo legittima certo. Già: se c’è qualcosa che ha davvero nuociuto alla cultura, al senso d’appartenenze e all’orgoglio del Sud è proprio quel curioso mix di revisionismo storico, rivendicazionismo e piagnisteo condito di odio che, dal 2009 in avanti, ha invaso l’editoria mainstream e ha rischiato di prendere il posto del vero meridionalismo (per capirci, quello degli eredi dei Fortunato e dei Salvemini).

Sebbene non si sia avventurato nei deliri revisionisti, Patruno ha la grave responsabilità di averli appoggiati e divulgati. Una responsabilità pesante, non solo per la correttezza dell’informazione e il sano uso della storia, che pure un giornalista quotato come lui dovrebbe difendere a spada tratta. Ma anche e soprattutto perché il cosiddetto sudismo ha la colpa, imperdonabile, di aver spostato la visuale al passato e aver cercato in processi storici e protagonisti remoti le responsabilità dei mali presenti.

A male si aggiunge male, se si considera che questa impostazione si è rivelata deresponsabilizzante per le attuali classi dirigenti del Sud, che invece hanno molte colpe in buona parte dell’attuale degrado di mezza Italia (e non è un caso che molti amministratori meridionali abbiano civettato coi sudisti).

Quando accadeva tutto questo, Patruno c’era e non dormiva. Addirittura era in prima fila in questo movimento composito, chiassoso e decisamente picaresco. E ora, dopo aver contribuito a seminare odio e a distogliere quel po’ di opinione pubblica superstite del Mezzogiorno dai veri problemi, cosa pretende? Che le persone gli diano retta e scendano in piazza solo perché lui lo desidera?

Il jazzista Lino Patruno

Non pago, Patruno ha ribadito la propria militanza sudista in occasione di un recente dibattito sul brigantaggio svoltosi presso l’Università di Bari, dove è intervenuto dichiarando che parlare di briganti era tempo perso mentre il Veneto preparava la propria secessione. Di questa ulteriore perla del Patruno pensiero c’è traccia sulla bacheca Facebook di Gennaro De Crescenzo, il presidente del Movimento Neoborbonico. A De Crescenzo, che criticava il convegno in questione e le prepotenze del mondo accademico, così Patruno ha risposto:

«È l’accademia, Gennaro, che non solo non ama il dibattito culturale, ma che non trovi mai schierata a difesa del Sud, come ora che vogliono impoverirlo con l’autonomia ai ricchi del Nord. Assenti, hanno altro da fare. Sono passato da quel convegno, ovviamente infoltito da studenti col sistema dei crediti: insomma ci devi venire per forza, oppure non fai gli esami. Tre giorni, tre giorni a dire peste e corna dei briganti. Abuso di soldi pubblici, e di soldi dei ragazzi». Dette da lui, che ha avuto (e forse ha tuttora) un ruolo nella stessa Università in cui si è svolto il convegno, queste affermazioni sono enormi, a meno che anch’esse non siano ispirate da trame accademiche di cui non sappiamo nulla ma che saremmo, nel caso, lieti di apprendere.

Non ci siamo, la credibilità è tutt’altro. E, a proposito di credibilità, meglio ascoltare qualche bel brano di Lino Patruno, il jazzista di origine calabrese e di (meritata) fama internazionale. Il Patruno che ci piace.

 27,086 total views,  2 views today

Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

Comments

Be the first to comment on this article

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Go to TOP