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Proteste all’Unical… Ma quante storie per un ministro

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Protestare è un diritto, ma esistono anche le regole

Il precario lamenta: comportamenti antidemocratici. Ma che c’entra un convegno sull’intelligence coi problemi della scuola?

Quel che è accaduto all’Unical durante il convegno sul decennale della riforma dei Servizi Segreti merita più di una riflessione attenta.

Soprattutto, non può essere liquidato nei termini banali dell’ordine pubblico da difendere o in quelli, contrapposti e altrettanto banali, della libertà denegata e repressa.

È opportuno chiarire due cose. La prima: i ragazzi che manifestavano fuori dall’aula magna contro il ministro Minniti sono comunque più simpatici del ministro. Sono quel che resta di una sinistra che, grazie anche a Minniti che viene dai ranghi del vecchio Pci, non esiste più. La seconda: il professore precario di Storia e filosofia che ha tentato di intervenire nel dibattito poco prima del ministro, esprimeva comunque una grave situazione di disagio, professionale e plurigenerazionale, vissuta da molti operatori, anche accademici, dell’istruzione e della cultura.

Detto questo, occorre dire che i due tentativi di dissenso sono stati due fuor d’opera. Il prof si è lamentato di essere stato allontanato in malo modo dall’aula e ha tacciato il comportamento del ministro di scarsa democrazia. Siamo con lui. Ma ciò non impedisce di rilevare che un convegno accademico, qualunque ne sia l’argomento, non è un confronto politico o sindacale. È un dibattito tra esperti su uno specifico argomento, in cui la democrazia non c’entra niente.

Nessuno vuol difendere l’antipatico Minniti, che a volte riesce nel miracolo di aver torto anche quando ha ragione. Però occorre ricordare che il convegno non era dedicato ai problemi della scuola e che Minniti non era arrivato all’Università per discutere della linea politica del suo governo, ma dei problemi di sicurezza e della riforma dei Servizi.

Stesso discorso per la manifestazione nei pressi dell’aula magna. Qualcuno ha criticato la carica della Polizia in tenuta antisommossa. Forse non a torto, perché i ragazzi che contestavano il decreto Minniti, ormai legge, erano tutto sommato innocui.

Ma è fuori luogo l’altra critica, rivolta alla presenza stessa delle forze dell’ordine e alla consistenza del cordone di sicurezza: un esponente del governo ha il dovere di tutelare sé stesso e le persone con cui si confronta da pericoli più gravi della presenza di pochi dissidenti. Vale per Minniti, dunque, quel che vale per qualsiasi parlamentare, magistrato o rappresentante a vario titolo delle istituzioni che ricopre ruoli dedicati quando si mostra in pubblico. Si può criticare la Polizia perché reagisce in maniera dura, non perché c’è.

Non è il caso di entrare nel merito della protesta dei giovani dissidenti, che in buona parte è fondata e coerente, visto che molti di loro non hanno manifestato per dar sfogo agli ormoni ma in piena coerenza con un’attività sociale di tutela dei più deboli degna di ammirazione. Tuttavia, il convegno sull’intelligence non c’entrava niente coi problemi dell’immigrazione. Non era il momento né il luogo, insomma.

Semmai il problema vero, che ha spinto il precario a protestare contro il ministro sbagliato e i ragazzi a contestare il ministro giusto nel luogo e nel momento sbagliati è la scarsa disponibilità dimostrata dal governo Gentiloni alla dialettica democratica. Logico, quindi, che le persone protestino contro i propri governanti quando li hanno sottomano. Ma la scarsa democraticità può rendere comprensibili certi comportamenti ma non giustificarli.

In questo Paese (ancora) nessuno nega a nessuno il diritto di manifestare. È solo una questione di regole. Che devono essere osservate da tutti, ma soprattutto da chi ha il sacro fuoco della passione: in fin dei conti, molti dei ricercatori e degli studenti che seguivano il dibattito in aula magna non sono messi meglio del professore precario che ha tentato d’intervenire e molti studenti di oggi si preparano ad essere i migranti di domani. Protesteranno anche loro? Probabilmente sì. Ma a tempo e luogo debiti. La cultura non c’entra. Preserviamola dal malessere.

Saverio Paletta

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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