Duello nella vecchia Cosenza: il doppio delitto degli strani pistoleri
Due giovani bulli litigano e si danno appuntamento nella Villa Comunale per chiarirsi. Ma qualcosa va storto e la discussione degenera in una tragica sfida da Far West, in cui i due si ammazzano a vicenda
A volte la violenza si percepisce nell’aria, che si satura fin quasi a esplodere.
Nella Cosenza del ’77 è proprio così. Da un lato (e per fortuna) la violenza politica degli anni di piombo inizia pian pano a evaporare.
Quella della malavita, invece, è in crescendo, a dispetto di un luogo comune duro a morire, secondo cui la città calabrese e il suo hinterland sarebbero un’oasi di pace nel territorio calabrese, che invece è ad alta densità criminale. Per usare il gergo di certa malavita, Cosenza sarebbe una città babba.
È il pomeriggio del 23 gennaio. Mancano poco più di undici mesi alla morte cruenta di Luigi Palermo, detto ’u Zorru, il mitico capo della mala locale, erede dell’altrettanto mitico Luigi Pennino, detto ’u Penninu.
Sono passate da poco le quattordici e Francesco Fotino, appuntato di polizia che presidia la guardiola della vecchia prefettura (che oggi è diventata la sede della Provincia), nel centro storico di Cosenza, sente alcuni spari e delle urla.

I pistoleri della Villa Vecchia
I rumori provengono dalla Villa Vecchia (la suggestiva villa comunale) già regno di Ciccio Scarpelli, alias Ciccio Fred Scotti, ex custode di questa struttura e tra i primissimi cantanti di malavita calabresi.
Fotino si precipita fuori e trova uno spettacolo agghiacciante: un ragazzo cerca di trascinare a spalla un coetaneo gravemente ferito a una gamba. Quest’ultimo si chiama Giuseppe Castiglia e ha 21 anni. Ma gli amici lo chiamano Nuccio.
Il poliziotto urla l’alt e poi spara un colpo di avvertimento in aria.
Il soccorritore molla Castiglia e scappa. Fotino rientra di fretta e furia nella guardiola e chiama il 113 per avere rinforzi. Poi va alla Villa Vecchia.
Lo spettacolo, stavolta, è peggiore: un altro giovane riverso per terra, davanti al cancello della Villa. Ha una grossa macchia di sangue all’altezza del cuore. Si chiama Carlo Mussari, ha 25 anni e anche lui ha il suo bravo nomignolo: Dipignano.
Per Mussari non c’è niente da fare: un proiettile gli ha attraversato il torace da parte a parte e i soccorritori lo trovano già cadavere.

Il soccorso inutile e la morte
Qualche speranza in più ci sarebbe per Nuccio: i suoi amici lo caricano su una Mini Minor Cooper 1.300 e tentano di portarlo in Ospedale.
Alla tragedia si aggiunge la sfortuna: l’auto è a rosso fisso e si pianta all’imbocco del ponte Mancini, che collega il centro storico all’Ospedale.
I soccorritori se la danno a gambe e abbandonano Castiglia, ormai agonizzante, per la seconda volta.
Anche l’arrivo di una volante della Polizia è inutile: gli agenti trasbordano il ferito e cercano di arrivare al Pronto Soccorso. Ma Nuccio è gravissimo: il proiettile gli ha reciso l’arteria femorale e fermare l’emorragia è impossibile. Il ragazzo arriva a destinazione già cadavere.
Le indagini
La prima pista degli inquirenti porta ad Alfredo Andretti. Questa pista parte dalla Mini Minor usata per soccorrere Nuccio, che appartiene alla sorella di Andretti.
Tra l’altro, i poliziotti hanno trovato dentro l’auto delle prove non proprio trascurabili: i documenti di Castiglia, una pallottola calibro 7,65, una bottiglia di brandy e un paio di guanti in pelle marrone.
Quanto basta ad Alfredo Serafini, il procuratore incaricato delle indagini, per fermare Andretti con l’accusa di concorso in omicidio.

Inoltre, spuntano dei testimoni, tuttora sconosciuti, e un’altra prova: un caricatore Mauser trovato in una tasca di Dipignano.
I questurini fermano altre due persone: Salvatore Pati, che all’epoca ha 26 anni, e Antonio Musacco, che ne ha 30.
La prova che manca e l’antefatto
Anche per loro due l’accusa è di concorso in omicidio. Ma a loro carico c’è una sola certezza: aver soccorso (e poi mollato) Nuccio.
Ad ogni buon conto, il guanto di paraffina, negativo per tutti e tre gli indagati, toglie ogni dubbio: gli unici pistoleri di quel maledetto 23 gennaio ’77 sarebbero stati solo Nuccio e Dipignano.
La sera prima Castiglia ha litigato col cognato di Mussari e lo ha preso a schiaffi. I due, quindi si sarebbero dati appuntamento davanti alla Villa Vecchia, anche coi relativi compari, per chiarirsi.
Purtroppo, le cose avrebbero preso un’altra, bruttissima, piega: anziché appaciarsi (far pace), Castiglia e Mussari si sarebbero insultati e poi presi a revolverate a vicenda.
Un duello violento, tipico di certa mala cosentina, finito male.
I compari
Il curioso duplice omicidio della Villa Vecchia è la prima occasione in cui Andretti, Pati e Musacco compaiono nelle cronache giudiziarie.
I loro sono nomi destinati a tornare. Vediamo come.

Andretti, considerato affiliato del boss Franchino Perna, sarà ucciso nel 1985 per un regolamento di conti. Qualche anno dopo, il pentito Roberto Pagano lo accuserà dell’omicidio dell’imprenditore Mario Dodaro.
Musacco finisce in vari procedimenti, tutti dovuti a presunti fatti di mafia, a partire dal celebre maxiprocesso Garden.
Stesso discorso per Salvatore Pati.
«Eravamo “grattisti”, siamo diventati “sgarristi”» (eravamo malavitosi, siamo diventati mafiosi). Con quest’efficace espressione, il boss pentito Franco Pino descrive la trasformazione della criminalità cosentina da malavita in mafia.
Violenti, a volte in maniera vistosa e stupida (come Castiglia e Mussari, appunto), i giovani leoni di una certa Cosenza si preparavano, ognuno a modo suo, al salto di qualità che sarebbe arrivato proprio alla fine del ’77.
Ma questa è un’altra storia…
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