Sette note in nero: la Pasquetta tragica di Ciccio Fred Scotti
Fu un pioniere delle canzoni di malavita e lui stesso pregiudicato di piccolo calibro. Tenne banco con le sue stornellate, spesso composte in galera, finché non fini ammazzato…
È notte fonda. Sono le prime ore del 13 aprile 1971.
Francesco Scarpelli è nel vecchio pronto soccorso dell’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza, dove l’ha portato un operaio a bordo del suo furgone.
L’uomo, un 37enne grande e grosso, è gravemente ferito da quattro proiettili.
« Ci’, chin’è statu?», Ciccio chi è stato?, gli chiede un infermiere che lo conosce. «’nu fissa», uno scemo, un povero coglione, risponde l’omone agonizzante.
Francesco Scarpelli non vedrà l’alba. Operato d’urgenza, spira alle 6,15 del mattino.
«Il ganzo di malavita era stato ucciso dallo scemo del quartiere», commenta Paride Leporace nel suo Cosangeles (Cosenza, Pellegrini 2021), in cui rievoca la vicenda.
Questo ganzo, a modo suo, è una celebrità: molti cosentini ne ascoltano gli stornelli e le tarantelle con cui si esibisce nelle bettole o alle fiere. I più lo conoscono col suo nome d’arte: Fred Scotti.

La riscoperta di Fred Scotti
Confinato a lungo nelle cronache nere e nelle leggende metropolitane, Fred Scotti riemerge all’inizio del millennio grazie all’iniziativa di Pias Germany, un’etichetta indipendente tedesca, che macina di tutto, dall’alt rock al folk.
L’iniziativa è furbesca e mescola ambizioni commerciali e intenzioni colte: la riscoperta degli antichi canti della malavita calabrese.
Consiste in quattro compilation, uscite tra il 2000 e il 2009, che raccolgono i classici di questo repertorio.
Nel primo cd, La musica della mafia vol I-Il canto di malavita, sono contenute due canzoni di Fred Scotti: Tarantella guappa e Canto di carcerato.
Un breve passaggio delle note di commento all’album, curate da Goffredo Plastino, docente di musicologia a Newcastle, si sofferma sul cantautore cosentino: «Molto curiosa è la storia del più grosso interprete del canto di carcerato Ciccio Scarpelli alias Fred Scotti, che finì ammazzato il 13 aprile del 1971, per aver molestato la donna di un mafioso».

È quanto basta per suggerire un parallelismo tra Scotti e una grande leggenda del blues: Robert Johnson, che morì in circostanze non chiarite.
In realtà, la morte di Scotti ha pochi lati oscuri. E la malavita non c’entra.
La Pasquetta di sangue di Ciccio Fred Scotti
Torniamo indietro e a Cosenza. È quasi la mezzanotte del 12 aprile 1971. Sono le ultime ore della Pasquetta di quell’anno e la città è semivuota.
Francesco Scarpelli è al circolo Enal, una specie di cantina, del rione Massa, una zona popolare del centro storico cittadino che sfocia nella piazza Spirito Santo, a sua volta epicentro di leggende metropolitane e di un certo immaginario malavitoso.
Già alticcio, Scarpelli beve una birra dopo l’altra, che accompagna con sarde salate. In quel momento, entra nel locale Giuseppe Bruni, un fruttivendolo. L’uomo, come sempre, chiede al gestore se ha degli avanzi da dare al maiale.
Scarpelli e Bruni si conoscono e sono l’uno l’opposto dell’altro: corpulento e forzuto il cantautore, mingherlino e remissivo l’ortolano. Proprio questa differenza rende Bruni la vittima ideale delle burle di Scotti, che a volte sfociano in gesti di prepotenza violenta.
È così anche quella sera: Scarpelli inizia a prendere in giro il malcapitato e lo fa ruzzolare a terra. Bruni ingoia amaro e cerca di non provocare l’omone, ormai vistosamente ubriaco. Ma non c’è nulla da fare: Scarpelli, che ha perso il controllo e la lucidità, scivola e si lacera il pantalone alle ginocchia.
«’ngulacchitemmuartu! Mò m’è pagare i cavuzi, unn’ha capì, oi luardu!» (ora mi devi risarcire sporcaccione che non sei altro) urla Scarpelli al malcapitato. È l’ennesima prepotenza.

Bruni prende tempo: fammi andare a casa a prendere i soldi. Poi prega il gestore di accompagnarlo, perché ha paura.
Quando il fruttivendolo e l’oste arrivano a destinazione, trovano Scarpelli davanti all’uscio, impaziente e ancora più arrabbiato. La colluttazione riprende più violenta.
Le urla richiamano la moglie di Bruni, che tenta a sua volta di separare i due. Ma Scarpelli è incontenibile e picchia la donna, che tra l’altro (così riferisce la Gazzetta del Sud) è in stato interessante.
Terrorizzato ed esasperato, Bruni estrae una pistola calibro 38 e spara al torace dell’uomo.
Una tragica agonia
A questo punto, Bruni si dilegua nei vicoli del centro storico. Scarpelli, invece, si rialza e si dirige verso il Lungo Crati, il viale che costeggia uno dei fiumi che attraversano la città. Urla per il dolore, ma la sua fibra robusta ancora non cede.
Quest’agonia tragica è una scena già vista: ricorda la morte di Francesco Giuseppucci detto Er Negro, il capo della Banda della Magliana, che arriva da solo al pronto soccorso, sebbene ferito in maniera letale.
Ma Scarpelli non è solo: l’oste lo segue e cerca aiuto, finché, appunto, non si ferma l’operaio che lo porta in Ospedale.

Ciccio Fred Scotti tra mito e realtà
Nato nel 1933 e cresciuto nei vicoli della Massa, Francesco Scarpelli è la classica persona nota alle forze dell’ordine.
Pluripregiudicato per piccoli reati, entra ed esce dal vecchio carcere di Colle Triglio. Rissa, disturbo della quiete pubblica e ferimenti: tutto ciò che serve a qualificarlo come piccolo delinquente e a creargli una fama da duro negli ambienti di quella malavita che ancora non è mafia.
Proprio in galera compone il Canto del carcerato.
Quando è a piede libero, lavora come operaio al mattatoio comunale e fa anche il custode della Villa Vecchia.

Quest’ultima attività è alla base di un aneddoto. Scarpelli si prende cura di un vecchio leone abbandonato da un circo e chiuso in una gabbia all’ingresso della Villa. E Scarpelli si diverte con l’animale: spesso gli infilava una mano in bocca senza alcun pericolo, perché il felino è praticamente sdentato.
Da questo gioco, probabilmente deriva un detto cosentino: Ammucca liù (imboccalo leone), tuttora usato per dare del fesso al prossimo.
La passione per la musica
Con altrettanta probabilità, il nomignolo Fred Scotti è appioppato a Scarpelli dai ragazzi della Cosenza di allora, che ascoltano l’artista di colore Freddie Scott, diventato una star con la sua Hey Girl.
Il paragone è ingeneroso e un po’ bislacco. Ma ha funzionato sin troppo: non c’è celebrità senza nomignoli e Scarpelli ha il suo.
Lo si vede spesso esibirsi nelle bettole di Cosenza con la chitarra a tracolla e riesce a incidere alcune canzoni, arrangiate dal maestro Luigi Pisciotta, un musicista di Luzzi.
La tragica morte ha alimentato una serie di leggende metropolitane.
Ne citiamo una per concludere: in piena agonia e in attesa di essere operato, Scotti è sistemato alla meno peggio su un letto in corsia. I suoi vicini sarebbero stati dei malavitosi, ricoverati in seguito a una sparatoria svoltasi alcuni giorni prima davanti alla vecchia stazione ferroviaria, alle spalle di Piazza dei Bruzi, in pieno centro cittadino.

Tra questi, un certo Pasquale Garofalo, che Scarpelli ha sfregiato qualche anno prima. E forse il viso segnato di Garofalo è stata l’ultima cosa che Fred Scotti ha visto prima di perdere la coscienza per sempre.
«Ucciso da una mano crudele», recita la scritta sulla lapide di Scarpelli, al cimitero di Cosenza. Già: la crudeltà di cui solo le vittime esasperate possono essere capaci.
Da ascoltare:
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