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Lorenzo del Boca, dai vertici dell’Odg al revisionismo antirisorgimentale

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L’ex presidente dell’Odg, tra gli applausi dei neoborbonici e gli incarichi della Lega

Diciamolo subito: coi neoborbonici, organizzati e non, Lorenzo Del Boca c’entra poco. O, almeno, non c’entra direttamente.

Tuttavia, non si può fare a meno di notare che la corposa produzione dell’ex presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalistiha inaugurato, a partire dal fortunato Maledetti Savoia (Piemme, 1998) il filone del revisionismo antirisorgimentale di cui i neoborbonici si sono nutriti alla grande.

La solfa dei libri di Del Boca è quella consueta: il Risorgimento fu una guerra di rapina ai danni del Sud; i Savoia non solo non erano quel granché ma furono anche un po’ ladri e sperperoni; inoltre, la liquidazione dell’esercito del Regno delle Due Sicilie e la successiva repressione del brigantaggio assunsero le forme e i modi della guerra di sterminio. Per fortuna Del Boca, a differenza di altri, sa almeno scrivere e usa con pudore dei termini su cui altri, ad esempio Pino Aprile e i suoi copycat, non nutrono dubbi: ad esempio, genocidio.

Ciononostante, il Nostro è riuscito a prendere il suo bravo scivolone a proposito del campo di addestramento di San Maurizio, dove venivano inviati i soldati napoletani. A sentir lui, San Maurizio sarebbe stato «un campo di concentramento» e, peggio ancora, «la Buchenwald del regno sabaudo». La geografia concentrazionaria ricostruita da Del Boca non si ferma qui, perché l’ex presidente dei giornalisti cita altri presunti lager: «Uno poco distante da San Benigno Canavese, un altro ad Alessandria e un altro ancora a Fenestrelle».

Circa quindici anni dopo, a incendio revisionista appiccato e divampato, Del Boca si becca la reprimenda dello storico Alessandro Barbero, che nel suo Prigionieri dei Savoia (Laterza, Roma-Bari, 2012) segnala gli svarioni dell’ex presidente dell’Odg. Il primo riguarda il campo di San Maurizio, sul quale, afferma lo storico, «l’autore non conosce nulla e le poche notizie che dà sono sbagliate». Infatti, prosegue Barbero, «Del Boca crede che prima dei napoletani siano stati deportati lì i prigionieri pontifici (tutti liberati, come si è visto, entro il novembre 1860, mentre San Maurizio apre nel 1861)». Su San Benigno, invece, annota sempre Barbero, non senza un pizzico di malignità: «Chi fosse perplesso davanti al riferimento a San Benigno Canavese, deve spere che questo è il nome d’un paese vicino a S. Maurizio, e che Del Boca, evidentemente, s’è confuso col forte di S. Benigno a Genova, anch’esso usato per la custodia dei prigionieri».

Poi arriva l’affondo, pesantissimo: «Uno storico potrebbe essere interessato, a questo punto, alla ricchissima documentazione prodotta dall’amministrazione piemontese, dove ogni singolo individuo è stato registrato con burocratica precisione, ma il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana preferisce tagliar corto: “Certo le vittime dovettero essere migliaia anche se non vennero registrate da nessuna parte”».

Dopo l’affondo, il colpo di grazia: «Sarebbe interessante sapere se questo bel modo di dare le notizie, o meglio di inventarle, sia abituale presso i giornalisti italiani, che si sono riconosciuti così unanimemente e così a lungo in Del Boca».

Non abbiamo citato così a lungo da Barbero per demolire gratuitamente Del Boca, ci mancherebbe.

Ma è chiaro che quel che lo storico torinese non dice ma fa capire è più pesante. In primo luogo, Barbero fa capire che uno studente che presentasse una tesi con gli stessi argomenti usati da Del Boca rischierebbe di non ottenere la laurea neppure oggi che le facoltà umanistiche, già considerate facili quando l’università era difficile, sono arrivate ai minimi termini. Poi fa capire una cosa peggiore e non bella per i giornalisti (e a cui i giornalisti seri e orgogliosi dovrebbero replicare a muso duro): che il potere di firma, avallato dal potere tout court, consente ad alcuni di scrivere ciò che altri non possono.

Sembra proprio il caso di Del Boca, che scrisse Maledetti Savoia quando era presidente della Fnsi e ha continuato la sua carriera di scrittore da presidente dell’Odg.

Val la pena di saperne di più su di lui.

Nato a Romagnano Sesia, nel Novarese, nel 1952, Lorenzo Del Boca è laureato in Scienze politiche e Filosofia. Il cognome fa presumere una parentela con il suo conterraneo Angelo Del Boca, il controstorico del colonialismo italiano. Ma si tratterebbe solo di omonimia, visto che i dati ufficiali reperibili non confermano la consanguineità.

Di certo sull’antistorico del Risorgimento (ma secondo alcuni storici di professione antistorico e basta) si sa che è entrato nella galassia della Stampa, la Fiat dell’informazione non solo piemontese: dapprima inizia sotto casa, nella redazione novarese della Stampa, poi passa a Stampa Sera (1979), dove diventa capocronista e, a partire dal 1989, segue i processi al terrorismo a terrorismo finito. Infine approda alla Stampa, per cui fa l’inviato.

Più cospicua, visto che non si ricordano scoop di Del Boca cronista, la carriera di sindacalista: nel 1981 diventa membro del Comitato di redazione di Stampa Sera, poi, nel 1984, entra nel consiglio nazionale della Fnsi, nel 1989 entra nella giunta nazionale del sindacato e, a partire dal 1996, ne diventa presidente. Una breve parentesi, perché nel 2001 approda al vertice dell’Ordine dei Giornalisti.

Tra un libro e un impegno istituzionale, trova il tempo e il modo di occuparsi di politica. Come già il suo illustre corregionale e gigante della penna Giorgio Bocca, anche Del Boca ha subito la fascinazione della Lega. Non quella di Salvini, orientata al sovranismo antieuropeista e caratterizzata da una destrosità piuttosto generica e rozza. Ma la Lega bossiana, pregna di umori e pregiudizi antimeridionali.

Galeotto, per Del Boca, il rapporto con il governatore leghista del Piemonte Roberto Cota, bossiano di ferro. Nel 2012, quando Del Boca aveva lasciato la guida dell’Odg da un paio d’anni, uscì una curiosa polemica su Affari Italiani, che riprendeva le critiche pesanti lanciate dal consigliere regionale piemontese del Pd Nino Boetti. Quest’ultimo accusava Cota di aver speso 75mila euro nel 2011 per affidare un incarico «ad alto contenuto professionale» a Del Boca. Ma i rapporti politici dell’ex presidente di Fnsi e dell’Odg non si fermavano alla Lega: sempre nel 2011, così riporta il giornale online torinese Lo Spiffero, Del Boca avrebbe avuto un incarico al ministero della giustizia dal berlusconiano Nitto Palma, dopo che, ha confermato Diego Novelli su Repubblica, era sfumata l’ipotesi di guidare, con la benedizione di Cota, la Fiera del Libro di Torino: evidentemente l’antirisorgimentalismo e l’antiitalianismo di Del Boca erano troppo anche nel Piemonte leghista, che non poteva comunque scordare di essere stato il forcipe dell’Unità d’Italia.

Peccato, perché il Nostro si era dedicato alla grande alla causa antitricolore, anche con una rubrica a puntate sulla Padania, con cui aveva demolito tutto ciò che sapesse di Risorgimento. 

Ma c’è da dire che l’ex presidente dell’Odg non ha disprezzato neppure una puntatina nel kitch, visto che nel 2010 ha scritto a quattro mani con Emanuele Filiberto di Savoia, reduce dagli spot alle olive Saclà e dal trionfo sanremese, Maledetti Savoia, Savoia Benedetti (Piemme), un’operazioncina commerciale in cui l’ultrarevisionismo scendeva a patti con l’appeal commerciale del principe. 

Di questo impegno resta una cospicua bibliografia messa assieme (così riferiscono le note editoriali ai suoi volumi) utilizzando giornali d’epoca e altri libri. L’ammissione sincera che Del Boca non ha mai, a differenza degli storici veri, frequentato gli archivi. Un limite grosso, se si pretende di rompere con la storiografia tradizionale e di rivelare cose nuove. Che poi così nuove non sarebbero, visto che la storiografia accademica tanto criticata dai revisionisti, leghisti e neoborbonici, abbonda di polemiche e critiche antirisorgimentali.

Ma tant’è: per Del Boca la storia ufficiale dell’Italia sarebbe solo un cumulo di bugie, come lui stesso ha ribadito nella sua produzione più recente, presentata in pompa magna un po’ dappertutto senza che nessuno, tranne pochi addetti ai lavori, abbia levato qualche critica. C’è da chiedersi: il silenzio critico è dovuto al timore di passare per accademici snob e noiosi? Forse no e la verità è un po’ più triste: si è a tal punto a digiuno di letture serie da essere privi degli strumenti critici che consentirebbero di demistificare certe operazioni di antistoria. Cosa peggiore, questo digiuno dilaga anche tra i giornalisti, a cui viene chiesto di consumare le scarpe per trovare le notizie, ma non di consumare gli occhi, per saperle interpretare e scrivere.

Saverio Paletta

 

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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