Tutta l’anti italianità di Angelo Del Boca
Lo scrittore piemontese fu il campione di un certo “gauchisme” in cui l’antifascismo era il pretesto per manifestare idee e concetti anti italiani. Lo conferma l’esame approfondito del suo libro “Italiani brava gente”?
Il giornalista e scrittore Angelo Del Boca è noto soprattutto per la sua pubblicistica di argomento coloniale, ma si è cimentato pure su altri temi come nel libro Italiani, brava gente? Un mito duro a morire (Vicenza 2005), in cui si lancia in scorribande tra argomenti lontanissimi, dalla fortezza alpina di Fenestrelle, da lui definita testualmente «il lager di Fenestrelle» (sic!) sulla scia di Gigi Di Fiore, fino a … Silvio Berlusconi.
Luoghi comuni contro l’Italia
Il primo capitolo del libro, intitolato Fare gli italiani, è introduttivo e vorrebbe descrivere l’Italia prima dell’Unità nazionale.
Esso consiste in buona parte in un elenco di giudizi negativi sugli italiani, spesso ripresi da stranieri, e inizia così: «Gli italiani […] non hanno mai goduto, negli ultimi tre secoli, di molta reputazione. Non c’era viaggiatore straniero che percorresse […] la penisola, che non esprimesse […] giudizi sugli italiani tutt’altro che lusinghieri.»
Del Boca prosegue: «Gli italiani erano definiti, tout court, pigri, scansafatiche, indifferenti. E inoltre ignoranti, creduloni, baciapile, papisti. E ancora: inaffidabili, voltagabbana, servili, imbelli. E anche insensibili a tutti gli ammonimenti, a tutti gli insulti, persino alle pedate. E si potrebbe continuare.»
Spicca l’uso del termine papista, da papismo, così definito nella Treccani: «Nome talvolta usato, per lo più in tono spreg., dai protestanti, spec. anglicani, per designare la Chiesa cattolica.» (Leggi qui).
Del Boca riporta una serie di citazioni di vari autori, in buona misura stranieri, critiche verso l’Italia, come quella del vescovo protestante Gilbert Burnet: «Dominata dall’ignoranza, oppressa dall’intolleranza papista, era sicuramente una delle regioni più povere e sventurate d’Europa. Burnet era anche persuaso che gli italiani fossero pienamente coscienti della loro situazione di inferiorità e della loro passività politica e morale».
Un altro britannico, Joseph Addison, descriveva un’Italia «isolata e immobile» e «particolarmente critico era nei confronti del cattolicesimo romano». Shelley,prosegue ancora Del Boca, invece «considerava gli italiani “una miserabile razza, senza sensibilità e immaginazione, e giungeva a paragonarli a una “tribù di stupidi e inariditi schiavi”». Assai ostili erano i pastori protestanti, di cui «alcuni, come D.T.K. Drummond, rivelavano una marcata intolleranza nei confronti delle popolazioni cattoliche e delle loro funzioni religiose». Al riguardo, Del Boca riconosce che il giudizio di Drummond è di parte, ma aggiunge che «le responsabilità della Chiesa di Roma nella degenerazione italiana erano innegabili».
Mito e realtà dei (pre)giudizi anti italiani
Al di là delle personali elucubrazioni del giornalista su ciò che egli chiama con enfasi retorica «degenerazione italiana», appare evidente che le citate opinioni pesanti formulate dai citati viaggiatori stranieri sugli italiani siano condizionate dalla loro cultura d’origine e, spesso, dall’appartenenza confessionale in un’epoca in cui questa era fortemente sentita e condizionante.
È banale osservare che se si valuta negativamente il cattolicesimo, come hanno fatto in passato numerosissimi protestanti o liberi pensatori, allora la valutazione tende ad allargarsi a tutto il popolo italiano, rimasto sino a pochi decenni addietro quasi interamente cattolico.
Le asserzioni degli autori suddetti e di altri, come Lamartine, citati in Italiani brava gente?, dovrebbero essere valutate con senso critico per la soggettività ed il condizionamento culturale con cui costoro rivolgevano lo sguardo verso l’Italia. Sarebbe facilissimo d’altronde comporre antologie imponenti di autori che abbiano formulato giudizi opinabili o del tutto sbagliati su altri paesi e culture, come sui francesi o sugli inglesi, oppure sugli ebrei o sulle popolazioni africane.
[Ad esempio, gli studi di Léon Poliakov sull’antisemitismo: L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo. Da Voltaire a Wagner, Firenze, vol III, 1976].
Poca scienza, molta faziosità
Alla conclusione del capitolo, Angelo Del Boca respinge l’idea che gli italiani siano cattivi combattenti, mentre «Per gli altri giudizi sugli italiani […] che abbiamo raccolto, alcuni ci sembrano pertinenti, tanto da mantenere ancor oggi la loro validità, altri riportano soltanto luoghi comuni». Pure, egli nella sua pubblicistica sul colonialismo aveva contestato alcuni stereotipi sugli etiopici e certamente sarebbe stato opportuno che avesse formulato obiezioni simili ad alcune osservazioni sugli italiani, che riporta in abbondanza nel suo libro.
Un’epistemologia scientificamente valida deve rifiutare l’attribuzione a priori ed in blocco di un presunto carattere nazionale prefissato a un’intera popolazione: in questo caso si ha a che fare con una specie di archetipo platonico che risulta impotente a spiegare la molteplicità e dinamicità inevitabili in ogni fenomeno storico collettivo. Sociologi ed antropologi sanno bene che anche in comunità relativamente ridotte di dimensioni si rintraccia una notevole varietà di personalità.
Ad esempio, Anthony Wallace aveva classificato un campione d’indiani Tuscarora sulla base di 21 tipi diversi di personalità, riscontrando che un ipotetico carattere nazionale della minuscola comunità era condiviso appena dal 37% del totale.
[A. Wallace, The modal personality structure of the Tuscarora Indians, as revealed by the Rorschach test, Bulletin 150, Bureau of American Ethnology, Washington D.C.].
Prendere per veri certi giudizi su un intero popolo formulati da alcuni osservatori sulla base d’impressioni limitate e soggettive andrebbe quindi evitato.
Inoltre, Del Boca affardella pareri sfavorevoli sugli italiani di alcuni personaggi storici raccattati di qua e di là, omettendo però di fare lo stesso con i moltissimi che invece avevano dato dell’Italia giudizi positivi, talora entusiastici, e considerato questo paese un modello.
Non è vero che gli «italiani […] non hanno mai goduto, negli ultimi tre secoli, di molta reputazione», come egli scrive puntellandosi su brani di viaggiatori del Grand Tour. Tutt’altro, tutt’altro. Restando al solo Grand Tour, il viaggio nella penisola che divenne nel ’700 un’esperienza formativa per l’aristocrazia europea, i suoi protagonisti erano normalmente ammiratori dell’Italia. Ha scritto lo storico Cesare De Seta nel suo L’Italia del Grand Tour: da Montaigne a Goethe (Napoli 1992): «La complessa e aggrovigliata esperienza del Grand Tour, viaggio di formazione della classe dirigente europea, fu un contributo rilevante alla cultura del cosmopolitismo, in cui è stato fondamentale il ruolo assunto dall’Italia come centro di aggregazione della civiltà nell’Europa moderna. L’idea che l’Italia sia una “nazione” in senso moderno è uno degli esiti più rilevanti dei “forestieri” che vi giungono».
L’accurata monografia di De Seta è una dimostrazione, tra le innumerevoli esistenti, di quale ruolo positivo ricoprisse l’Italia nella cultura e nell’immaginario europei.
Errori e fake di Del Boca
Anche la ricostruzione storica di lungo periodo di Del Boca è discutibile, anzi sicuramente erronea.
Egli introduce il capitolo Fare gli italiani scrivendo che dopo «i fasti della romanità era venuto il tempo dei secoli bui, appena interrotto dal miracolo del Rinascimento. Poi, di nuovo, era calata la notte su un’Italia divisa».
È sbalorditivo che un libro pubblicato nel 2005 parli di «il tempo dei secoli bui» riferito al Medioevo, ripescando un’obsoleta concezione demolita e confutata da tempo, nei fatti e nelle interpretazioni, grazie all’opera di generazioni e generazioni di medievisti.
È impossibile qui anche solo accennare all’Età di mezzo, a causa dell’imponenza del tema: basti ricordare che numerose istituzioni, tecnologie, pratiche, discipline, organismi sociali ecc. tutt’ora esistenti risalgono proprio a questo periodo, come ad esempio le università, gli occhiali, l’orologio, i bottoni, le note musicali, la polifonia, e molto, moltissimo altro ancora, a cominciare dal grosso delle lingue nazionali europee oggi in uso e da un buon numero degli stessi popoli.
È inammissibile che si possa definire secoli bui per l’Italia quelli in cui essa fu, quantomeno nel Basso Medioevo, il paese con una posizione di preminenza in Europa a livello economico, culturale e religioso, durante il quale vissero Tommaso d’Aquino e Francesco d’Assisi, Innocenzo III e Federico II, Dante e Giotto.
Il giudizio aprioristicamente negativa su quest’era è ricusato dagli storici quantomeno da molti decenni, sebbene permanga fra i luoghi comuni della vita ordinaria come ricordano espressioni del tipo “non siamo più nel Medioevo” o “barbarie medievale”.
[Sull’insostenibilità dell’idea del Medioevo come epoca di decadenza si rinvia per brevità alla monografia di Régine Pernoud, Medioevo. Un secolare pregiudizio, Milano 1983; un compendio delle invenzioni avvenute nel Medioevo è quello di Chiara Frugoni, Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Roma-Bari, 2001].
Del Boca nel capitolo si sofferma sul ’700, durante il quale tuttavia l’Italia non fu il Paese decadente descritto da alcuni.
Un monumento della storiografia, Settecento riformatore dello storico Franco Venturi, cinque volumi di straordinaria densità frutto del lavoro di più d’un ventennio, è una confutazione di vecchie prospettive e un affresco gigantesco su una società dinamica, la cui classe intellettuale dialogava alla pari con quelle delle altre nazioni europee. [Settecento riformatore, I: Da Muratori a Beccaria, Torino 1969; Settecento riformatore, II: La chiesa e la repubblica entro i loro limiti (1758-1774), Torino 1976; Settecento riformatore, III: La prima crisi dell’Antico Regime (1768-1776), Torino 1979; Settecento riformatore, IV: La caduta dell’Antico Regime (1776-1789), 2 t., Torino 1984; Settecento riformatore, V: L’Italia dei lumi (1764-1790), 2 t., Torino 1987-1990].
Il lettore di Italiani brava gente? potrebbe quindi ricavare dal capitolo introduttivo una visione della storia d’Italia dal Medioevo al secolo XIX sicuramente immotivata nella sua negatività, a cominciare dal parere sbrigativo e radicalmente erroneo sull’epoca medievale e proseguendo con la galleria di ritratti degli italiani dipinti da alcuni stranieri, ambedue luoghi comuni privi di storicità.
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