Foibe, ma quanti erano i criminali “fascisti”?
Stando agli esiti di una ricerca approfondita dello storico Pierluigi Romeo di Colloredo Mels, la Jugoslavia richiese la consegna di soli otto membri della Mvsn su una lista di ottocento militari circa accusati di crimini di guerra. Un po’ poco per sostenere che la pulizia etnica praticata dai titini sia stata la risposta a presunte atrocità fasciste….
La parola magica a cui ricorre certa storiografia per giustificare le violenze sulla popolazione italiana in Friuli, Istria, Dalmazia e nel Carnaro subito dopo la Seconda Guerra Mondiale è l’antifascismo.
Detto altrimenti, le persecuzioni subite dai civili sarebbero state una conseguenza crudele ma logica della guerra di liberazione condotta dai partigiani titini contro le forze fasciste dell’Asse.
Questo punto di vista, sostenuto sia da esponenti della storiografia accademica (ad esempio Joze Pirjevec) sia dagli autori della memorialistica più militante (sui quali torneremo in seguito) è in realtà piuttosto ambiguo e problematico.
Innanzitutto, perché assimila le popolazioni italiane o comunque italofone (cioè gli slavi italianizzati) al fascismo.
In seconda battuta, perché non distingue bene tra l’aspetto militare e quello politico nelle operazioni belliche sul fronte jugoslavo.
La distinzione, invece, c’è ed è meno sottile di quel che potrebbe apparire a prima vista: è senz’altro vero che gli Stati che guidarono la guerra nei territori dell’ex Regno di Jugoslavia, cioè l’Italia e la Germania, erano Stati fascisti, ma non è altrettanto vero che il Regio Esercito e la Wehrmacht fossero eserciti fascisti. Cioè eserciti composti da militanti dei partiti unici al potere nei due Paesi dell’Asse e gestiti secondo una logica esclusivamente politica.
I confini tra aspetto militare e politico sono invece ben delineati, al punto che questa distinzione ha fatto non poco comodo anche alle autorità dell’Italia repubblicana e della Repubblica Federale Tedesca per evitare la criminalizzazione dei propri eserciti, i cui quadri dirigenti furono assorbiti, al netto delle epurazioni, nelle istituzioni militari postbelliche.
Dice nulla, a proposito, l’espressione italiani brava gente? E dice nulla la distinzione tra il soldato tedesco, duro ma onesto, e il milite delle SS per definizione inumano?
In realtà, ciascuno – eserciti e milizie politiche – ha le sue responsabilità, i suoi eccessi e, a volte, i suoi crimini . E, per quel che riguarda l’Italia, il rapporto risulta decisamente sbilanciato a sfavore dell’esercito.
Lo testimonia, paradossalmente, proprio la richiesta del governo titino.
Stando ai risultati di una ricerca dettagliatissima compiuta dallo storico Pierluigi Romeo di Colloredo Mels nei fondi H8 e Messe dell’Archivio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, su ottocento presunti criminali di guerra, di cui gli jugoslavi avevano chiesto la consegna alle autorità italiane, solo otto erano fascisti, cioè camicie nera della Milizia, che comunque era la quarta forza armata dello Stato.
Ovviamente, identificare come fascisti solo le camicie nere è un criterio un po’ rigido, che non tiene conto del fatto che, magari, vari militari del Regio Esercito potevano essere benissimo fascisti convinti nella vita civile.
Tuttavia, questo è l’unico criterio certo, perché una camicia nera era di sicuro fascista mentre un militare ordinario poteva non esserlo. E ancora: la sproporzione dei numeri è tale da far capire che gli eccessi italiani erano riconducibili più a problematiche militari (la gestione dei territori occupati e l’applicazione dei bandi) che a scelte politiche.
Non è il caso, per motivi di spazio, di soffermarsi su questi ultimi aspetti, cioè di stabilire cosa fossero, secondo il diritto internazionale bellico dell’epoca, crimini di guerra e cosa no, un tema che necessita di ben altri approfondimenti.
Piuttosto, è doveroso concentrarsi sui numeri e sui nomi, che Colloredo ha scovato con precisione chirurgica.
Gli otto presunti criminali fascisti di cui il governo jugoslavo aveva richiesto la consegna sono:
- il console Giovanni Fiordiponti (comandante la 137a Legione Monte Majella);
- il console Ivan Scalchi (comandante il Gruppo Battaglioni CC.NN. Squadristi Dalmazia)
- il primo seniore Armando Rocchi;
- il capomanipolo medico Antonio Runco (108a Legione CC.NN. Stamira);
- il primo seniore Corrado Armeni (comandante il LVIII battaglione CC.NN. Trieste);
- il seniore Agostino Fumo (comandante il XXXIII battaglione CC.NN. Imperia);
- il seniore Giovanni Fracassi (comandante il CXXXVII battaglione CC.NN. Lanciano);
- il centurione ? Ferro (Milizia Confinaria di Fiume).
Un piccolo approfondimento lo merita la figura di Armando Rocchi, l’unico nella lista ad aver avuto conseguenze penali per crimini di guerra, c’è da dire non in seguito alle accuse degli jugoslavi.
Rocchi è quel che si dice un personaggione: già eroe decorato della Grande Guerra e invalido civile (portava una protesi alla mandibola in seguito a ferite belliche), si era distinto come volontario nella Guerra Civile spagnola e poi nella Seconda Guerra Mondiale, dove aveva operato nei teatri balcanico (in particolare, Montenegro e Albania) e italiano.
Fascista convinto, ma non antisemita, Rocchi aveva aderito alla Rsi, per conto della quale fu commissario straordinario dell’Emilia Romagna e prefetto di Perugia. Si distinse per lo zelo eccessivo nel contrasto alla Resistenza, che gli procurò una condanna pesantissima nel dopoguerra (trent’anni di carcere per crimini di guerra da parte della Corte d’Assise di Bologna, poi ridotti a venti dalla Cassazione nel 1949). Tuttavia, tutelò come poté i cittadini di religione ebraica residenti a Perugia: li fece rifugiare in una residenza protetta allestita nell’Isola Maggiore del lago Trasimeno e, spesso, li preavvisò di retate e arresti imminenti.
Non è un caso, allora, se (come tra l’altro riporta correttamente la storica Janet Kinrade Dethick) proprio gli ebrei furono i principali testimoni a discarico di Rocchi nel processo del dopoguerra.
Questa è l’unica condanna certa nell’elenco riportato sopra e fu comminata dalla magistratura italiana. Resta perciò un dato incontrovertibile: né Rocchi né gli altri circa ottocento presunti criminali di guerra furono consegnati alle autorità jugoslave.
Lo stesso discorso può essere ripetuto per tutte le richieste di consegna degli altri Stati con cui l’Italia aveva operato durante la guerra: oltre alla Jugoslavia, l’Albania, la Grecia e l’Unione Sovietica.
La lista totale delle richieste ammonta a circa millecinquecento presunti criminali di guerra, tra questi, i fascisti in senso stretto (cioè gli appartenenti alla Mvsn) sono ventiquattro. E c’è da aggiungere che Grecia e Urss richiesero solo la consegna di militari dell’esercito e non di camicie nere.
Questo numero più ampio ribadisce un concetto: per l’Italia si può parlare al massimo di crimini di guerra ma non di crimini fascisti. E in ogni caso le autorità italiane non hanno dato seguito ad alcuna richiesta.
Nel caso specifico della Jugoslavia di Tito il rifiuto italiano si basa su due fattori.
Il primo riguarda l’entità dei presunti crimini: si trattò soprattutto di eccessi nell’applicazione dei bandi che prevedevano il diritto di rappresaglia e la ritorsione sui civili nel contesto di una guerra sporchissima come quella che si sviluppò nel teatro balcanico, in cui la ferocia dei partigiani fu spesso superiore a quella attribuita alle truppe italiane.
Il secondo fattore è propagandistico: il fondo H8 fu curato dal Sim (il Servizio di informazioni militare) per organizzare i dati e i documenti relativi ai crimini commessi da altre popolazioni nei confronti di militari italiani per consentire un’efficace tutela del riformato Esercito Italiano.
Lo scopo di questo archivio particolare era dunque essenzialmente difensivo. Ma ciò non toglie che i suoi curatori agirono con una certa oggettività, perché il loro operato si svolgeva sotto il controllo delle intelligence britannica e statunitense.
Per tirare le somme da quanto detto finora, si può affermare che le richieste jugoslave risultarono senz’altro infondate, tanto è vero che l’Italia rifiutò di consegnare i propri militari anche a dispetto del pesante condizionamento operato dal Pci su vasti settori dell’opinione pubblica.
Con altrettanta certezza, si può dire, inoltre, che l’antifascismo asserito dal regime titino era solo propaganda e che, invece, la portata reale del braccio di ferro tra Italia e Jugoslavia fu di natura geopolitica. Di sicuro l’antifascismo non giustifica la brutale pulizia etnica praticata nelle aree italofone della costa orientale dell’Adriatico.
Per fortuna, gli archivi contengono materiali che vanno ben oltre i disegni di una certa storiografia di maniera, che risente sin troppo della vecchia egemonia.
La verità si vendica, diceva Carl Schmitt. Ma chiedere un’ulteriore vendetta per queste vicende significherebbe gettare altro sale su ferite che invece occorrerebbe cicatrizzare il più possibile. Anche così la verità sarebbe rivoluzionaria.
Con buona pace di chi, invece, la verità se l’è messa sin troppo sotto i piedi in nome della sua rivoluzione.
Per saperne di più:
68,536 total views, 4 views today
E’ assolutamente ovvio che la stragrande maggioranza dei soldati italiani non fosse neanche in grado di operare una qualche “distinzione” nelle dinamiche politiche di allora, così come la quasi totalità dei soldati attuali, dei vari paesi, non ha la minima consapevolezza degli scenari mondiali a cui pure partecipa. Come ci insegna George Orwell in “1984”, i popoli sono all’oscuro delle dinamiche socio-politiche in cui sono immersi, e che si muovono, nel mare della storia, come onde trasportate dalle correnti. Non è dunque un caso che le autorità jugoslave avessero fatto una lista con solo 8 fascisti autentici, nonostante la presentasse come resoconto di crimini fascinazisti. Una qualunque lista fatta di persone che abbia partecipato ad un crimine storico, presenterebbe pochissime unità politicamente consapevoli. Eppure, come la legge non ammette ignoranza, a maggior ragione non la ammette la storia, per cui è impensabile che le rappresaglie contro un nemico, che abbia compiuto atrocità, possano colpire esclusivamente i capi. E’ ovvio, per quanto crudele, che ci vadano di mezzo i popoli. Se i popoli, eserciti compresi, non vogliono più essere vittime di atrocità, di vendette trasversali, come accade con la camorra, debbono cercare di diventare consapevoli del proprio ruolo storico. Per dirla alla Marx, devono uscire da quello stato di “alienazione” in cui vivono. Solo così potranno diventare titolari del proprio destino, senza esserne supinamente le vittime o i carnefici, a secondo dei casi.
Egregio Albano,
mi perdonerà se trovo inaccettabile il Suo uso di categorie “ideologiche”, tra l’altro sorpassate.
Sono scettico anche sul fatto che i “popoli” fossero allora e siano oggi completamente “all’oscuro delle dinamiche” ecc ecc. Più, semplicemente, essendo immersi nei fatti li vivono come parte in gioco e non hanno – ne potrebbero averlo – il necessario distacco critico.
La legge non ammette ignoranza, dice Lei. Concordo. Un po’ meno per quel che riguarda la storia, che è cosa ben diversa. La legge si emana, la storia si ricostruisce. La legge riguarda il vivere civile quotidiano perciò non può presupporre l’ignoranza. La storia, al contrario, attiene alla consapevolezza, quindi presuppone l’ignoranza, dato che la consapevolezza è una meta. Ancora: la legge si deve osservare anche se non la si conosce, la storia dovrebbe essere conosciuta e quindi studiata. Come vede, anche questo suo ragionamento non sta in piedi.
A proposito di legge e storia: per capire la questione di fondo dell’articolo che Lei contesta, occorrerebbe una bella ripassatina del Diritto internazionale di guerra, disciplina oggi (per fortuna) in disuso. Se si desse la briga di spulciare qualche vecchio manuale (io Le consiglierei l’ottimo Morelli), si renderebbe conto di come alcune pratiche, senz’altro odiose a livello morale, fossero ammesse dai trattati internazionali. Tra queste, le cosiddette “decimazioni”, contestate dalla Jugoslavia al Regio Esercito. L’Italia praticò le decimazioni come le praticarono tutti i Paesi durante la guerra, Usa, Gran Bretagna e Urss inclusi. Quindi non si trattava affatto di crimini fascisti. Stesso discorso per altri istituti tipici: la ritorsione e la rappresaglia.
Tutto questo per farLe capire due cosucce: 1) non confondere i comportamenti militari con i comportamenti politici; 2) distinguere tra i comportamenti di corpi militari politici (squadristi, ss, e miliziani sloveni e croati) e comportamenti militari tout court.
Il fatto che i fascisti in senso stretto fossero solo otto rispetto alle oltre ottocento richieste jugoslave dovrebbe far riflettere su un altro passaggio non proprio secondario: il regime di Tito, che tentò politiche espansioniste verso il nostro nordest fino ai tardi anni ’50, mirava a decapitare quei quadri del nostro esercito che avevano una certa conoscenza dei territori jugoslavi.
Mi spiace, ma qui l’ideologia non c’entra proprio nulla.
Spero di essermi fatto capire.
Grazie per l’attenzione
Saverio Paletta
La sua risposta è condivisibile, ed infatti la condivido quasi totalmente, ma non riesco a trovarla conforme al mio commento. Mi sembra, in sostanza, che lei non abbia ben compreso ciò che ho inteso dire. Più scherzosamente, è come se lei avesse risposto ad un altro commento rispondendo al mio. Mi riferisco soprattutto al fatto che lei mi abbia contestato di non rendermi conto che la Storia presuppone, per essere assecondata e voluta dai popoli, una consapevolezza delle sue dinamiche, quando io ho proprio posto l’accento su questo, cosa che peraltro ho ribadito nella chiusura del mio commento. L’accostamento tra Storia e Legge rappresentava solo una metafora ironica; lei davvero pensa che io sia tanto sciocco da individuare una reale assonanza tra le due cose?! Ho inteso dire che i “popoli”, almeno fino ad oggi, non hanno, nella stragrande maggioranza di chi li compone, consapevolezza delle dinamiche storiche. Il popolo italiano e quello tedesco si resero rei di aver appoggiato due regimi totalitari, di cui uno retto da un maniaco, e non si può pensare di distinguere tra chi ne fosse più consapevole e chi meno, non perché non ci fosse una tale distinzione, ad esempio, tra le SS e i “semplici soldati tedeschi in merito alla consapevolezza di ciò che si stava tentando di realizzare, ma perché, come nel caso della Legge, la Storia ti fa pagare il conto di quello che hai fatto, al netto del tuo grado di consapevolezza. Oggi, tra l’altro, esiste solo l’illusione di una maggiore partecipazione e consapevolezza dei popoli alle vicende socio-politiche, un’illusione dovuta al fatto che in quest’epoca quasi tutti sappiano scrivere e leggere – e soprattutto parlare di qualunque cosa – mentre, nella sostanza, vi è molta più ignoranza ed inconsapevolezza di prima, proprio perché quell’apparente istruzione implica un atteggiamento molto superficiale verso le cose, come si desse per scontato di conoscerle. Come aveva ampiamente previsto Nietzsche, i popoli si sono trasformati in un esercito di grigi funzionari, dagli operai agli scienziati, un esercito al quale sfugge, anzi, non interessa per nulla, la vera profondità dell’essere. Ritornando al tema da me proposto, quello dei popoli mossi dal vento, basti pensare al capovolgimento di fronte degli italiani, nel giro di pochi anni, se non di pochi mesi, verso il regime fascista e Mussolini. Anche lei, parlando di categorie superate, a proposito delle idee fondamentali sul vivere sociale e sugli scopi dell’uomo, mi dà l’impressione di uno che si è fatto avvinghiare da quel contemporaneo vento invernale che tutto “ingrigia”, parafrasando Nietzsche. P.S. Grazie per i consigli di lettura.
Egregio Albano,
non ne faccia questione di regimi politici: i popoli sono “inconsapevoli” anche in democrazia e nei regimi liberali, finché vi sono immersi.
Sono sempre le generazioni successive quelle che giudicano i fatti e il distacco critico (che non coincide col ruolo di oppositori a un dato sistema) è appannaggio di piccole élite. E non a caso Lei ha citato Nietzsche.
Torno a bomba sulla questione foibe (ma il ragionamento può valere per molte altre tragedie storiche): gli eserciti che commisero atti brutali agirono in qualità di soldati belligeranti, quindi sulla base di logiche quasi esclusivamente militari (ad esempio, la tutela della propria sicurezza nei territori occupati) e gli ordini per i rastrellamenti e le rappresaglie provenivano dagli alti comandi. L’elemento politico (in questo caso “nazifascista”) era dunque minimo.
Cosa ben diversa il comportamento del IX Korpus sloveno nei territori sottratti all’Italia (Istria, Carnaro e nord della Dalmazia) o in quelli occupati (Trieste): in questi casi i titini incrudelirono non poco su popolazioni disarmate e al di fuori di ogni contesto bellico.
Mi scusi se rispondo con esempi concreti e non amo troppo spaziare a sproposito negli iperurani del pensiero forte.
Grazie per l’attenzione
Saverio Paletta