Dsga, un brutto epilogo per il concorso
Le commissioni di Toscana, Liguria ed Emilia Romagna terminano gli orali con un vistoso ritardo. Ora i supplenti nominati a ottobre per tappare le falle rischiano il licenziamento o il demansionamento in tronco. E, nel silenzio ufficiale dei sindacati, c’è chi annuncia ricorsi…
Demansionati all’istante. Oppure licenziati in tronco. Il tutto sotto Natale.
Chi fa – o sta per fare – queste cose non è Ebenezer Scrooge, il protagonista (visto che siamo in tema) del dickensiano Canto di Natale. Né un imprenditore edile o agricolo che, specie nel Sud profondo, ricorre in maniera massiccia al lavoro nero.
È lo Stato.
E, quel che è peggio, lo Stato fa queste cose nel settore delicatissimo dell’Istruzione, nel quale, al contrario, dovrebbe inculcare i cardini della legalità e della cultura.
Ma parlare di legalità può diventare una chimera, quando le stesse leggi creano confusione.
È il caso del concorso per il reclutamento dei Dsga (cioè i Direttori dei servizi generali e amministrativi) delle scuole.
Un concorso monstre, preparato durante il governo Gentiloni, svoltosi a cavallo dei due governi Conte, non ancora concluso (manca all’appello il Lazio) e che ha pagato sin troppo lo scotto di un’ambiguità di fondo: il suo essere un concorso nazionale gestito a livello territoriale, cioè da commissioni legate a una o più regioni.
Questo vizio d’origine ha creato distorsioni enormi tra regione e regione con effetti pesantissimi, aggravati tra l’altro dallo stesso legislatore che, anziché calmierare le disparità territoriali, ha letteralmente gettato la classica benzina sul fuoco e creato ulteriore caos.
Procediamo con ordine.
La prima disparità si è rivelata nel comportamento delle commissioni giudicatrici. Questo comportamento è stato abbastanza tollerante nel profondo Sud, dove c’è stato un numero congruo di vincitori.
È stato addirittura generoso in Campania, dove il numero di vincitori è risultato superiore di non poco (circa il 140%) rispetto ai posti disponibili.
Al contrario, si è rivelato iperdraconiano nel profondo Nord, grazie alla punta record di bocciature operate dalle commissioni lombarde (circa il 70% di candidati fatti fuori agli scritti). E non sono state molto da meno le commissioni piemontese e friulana che non hanno coperto il fabbisogno di posti delle proprie scuole.
La seconda disparità non riguarda il merito – insindacabile, almeno a livello giornalistico – ma le modalità. Al riguardo, si registrano velocità differenti nell’operato delle commissioni giudicatrici.
Ovviamente non ci riguardano i motivi, che sono senz’altro validissimi, ma ci limitiamo a registrare dei fatti.
È un fatto, ad esempio, che le commissioni settentrionali hanno terminato gli orali entro agosto 2020 e approvato le graduatorie in tempi utili per l’apertura dell’anno scolastico in corso.
È un fatto, ancora, che la Campania ha svolto gli orali in due rate: la prima entro agosto, la seconda subito dopo e comunque in tempo per l’inizio delle attività scolastiche.
È un fatto, inoltre, che la seconda tranche di orali in Campania si sia svolta praticamente in concomitanza con le elezioni regionali di quel territorio. È senz’altro una coincidenza, da cui non è il caso di trarre troppe conclusioni. Ma anche le coincidenze sono fatti e come tali le registriamo.
È un fatto, infine, che la commissione della Toscana (che ha giudicato anche i candidati della Liguria) e quella dell’Emilia Romagna non erano riuscite a concludere gli orali per tempo e che le scuole di queste tre regioni si trovavano sguarnite a settembre.
L’onere del rimedio è ricaduto sugli Uffici scolastici regionali e provinciali, che si sono messi a reclutare supplenti nei modi canonici.
Innanzitutto hanno reclutato tra il proprio personale, affidando più scuole ai Dsga già in ruolo (le cosiddette reggenze) o ricorrendo ai facenti funzione, cioè promuovendo sul campo gli assistenti amministrativi.
In seconda battuta, gli uffici scolastici sono ricorsi agli interpelli, cioè hanno emesso dei bandi con cui hanno chiesto a soggetti esterni alla pubblica amministrazione la disponibilità di ricoprire l’incarico di Dsga fino al 31 agosto. Questi soggetti dovevano avere gli stessi requisiti richiesti per la partecipazione al concorso non ancora concluso: la laurea magistrale o vecchio ordinamento in Giurisprudenza, Economia, Scienze politiche o equipollenti.
Con queste misure d’emergenza le tre regioni sono riuscite a tamponare le falle.
A riaprirle, purtroppo, ha provveduto il legislatore con un’incursione notturna, avvenuta intorno al nove ottobre, nella legge di conversione del cosiddetto decreto agosto, al quale è stato aggiunto, praticamente in zona Cesarini, l’articolo 32ter, che si occupa in maniera specifica dei Dsga delle regioni in questione.
In pratica, il legislatore consente l’immissione in ruolo dei vincitori tardivi (non per colpa loro, ma a causa dei ritardi delle commissioni, sia chiaro) a una condizione: l’approvazione delle graduatorie entro il 31 dicembre. Questa norma ha un suo corollario: la cessazione di tutte le supplenze, cioè delle reggenze, degli incarichi a facenti funzione e degli incaricati che hanno risposto agli interpelli.
Tuttavia, gli Usr di Toscana, Liguria ed Emilia Romagna avevano già coperto quasi tutti i posti prima dell’inserimento di questa norma. In particolare, moltissimi supplenti laureati avevano firmato i loro contratti addirittura prima del 9 ottobre, quando giravano solo voci.
Com’è noto, la legge 126 che ha convertito il decreto agosto è entrata in vigore il 13 ottobre. E ci fermiamo qui.
Nel frattempo, il riacutizzarsi della pandemia ha costretto le due commissioni lumaca a un ulteriore rallentamento, che si è sbloccato solo a fine novembre, col declassamento dell’emergenza di Toscana (da rossa ad arancione) e Liguria (da arancione a gialla) e dell’Emilia Romagna (da rossa ad arancione).
Il risultato è stato curioso: da lumache le commissioni si sono trasformate in lepri e hanno approvato le loro graduatorie quasi in extremis. La prima è stata la Toscana, che ha pubblicato tutto i primi di dicembre. Poi sono seguite la Liguria, che ha terminato intorno a metà dicembre e, praticamente alle porte di Natale, è arrivata l’Emilia Romagna.
Il rimedio, purtroppo, si è rivelato peggiore del male. Il mix micidiale tra l’articolo 32ter e l’attivismo tardivo delle commissioni ha creato due effetti domino.
Il primo riguarda il personale.
Infatti, conferire gli incarichi ha comportato un dispendio di fondi ed energie non indifferente: si pensi che ogni assistente amministrativo promosso facente funzione ha lasciato un vuoto nel proprio ufficio che si è dovuto colmare con il reclutamento di un assistente amministrativo supplente.
Ed ecco la prima cascata di domino: via, innanzitutto, le reggenze a scavalco. E questo è il danno minore, visto che al Dsga privato della reggenza resterebbe comunque il proprio ufficio di titolarità.
Via, in seconda battuta, i facenti funzione. In questo caso, i danni sono due. Uno di media entità, visto che il facente funzione tornerebbe a fare l’assistente amministrativo, sebbene, c’è da dire, questo provvedimento somiglia sin troppo a un demansionamento senza preavviso. L’altro danno è piuttosto grave: l’assistente amministrativo supplente perderebbe il posto. Nel suo caso, si tratterebbe di licenziamento senza preavviso.
Via, in terza battuta, i supplenti laureati (che nel gergo buroscolastico sono definiti di terza fascia). La maggior parte di loro subisce il danno più grave: hanno risposto a un interpello per un incarico annuale, hanno firmato un contratto annuale, rischiano il classico licenziamento in tronco.
Già: ciò che il Diritto amministrativo ammorbidisce, il Diritto del lavoro svela in tutta la sua crudezza. La revoca, di cui parla l’articolo 32ter è un demasionamento o un licenziamento in tronco.
Lo Stato, per rimediare ai pasticci di alcune regioni, fa ciò che non è consentito agli imprenditori che rispettano le leggi (tranne, come già detto, quelli che ricorrono al nero).
E crea altre disparità, in particolare con le regioni che hanno concluso tutto entro agosto, hanno assunto solo una parte dei vincitori per via delle disponibilità finanziarie e assorbiranno il resto delle graduatorie a partire dal prossimo anno scolastico.
Il secondo effetto domino tocca gli uffici: il Ministero scarica le proprie responsabilità sugli Usr, questi sugli Usp e quest’ultimi sui dirigenti scolastici, a cui spetterà la non piacevole incombenza di prendere le decisioni finali, cioè comunicare le avvenute trombature.
Di ciò offre un esempio il decreto adottato il 12 dicembre dalla direzione generale dell’Usr della Toscana, a cui tocca il poco piacevole ruolo di capofila.
Nel decreto il problema del preavviso non esiste quasi, visto che c’è un avverbio che sembra assorbire tutto: tempestivamente.
Tempestivamente dovranno saltare le reggenze, i facenti funzione e i supplenti laureati.
A questi ultimi e agli assistenti amministrativi supplenti viene offerta una possibilità: restare come assistenti amministrativi fino al 30 giugno.
In pratica, un altro demansionamento, nel primo caso nelle funzioni e nei termini, nel secondo caso solo nei termini.
Certo, il decreto schiva il problema: prevede la risoluzione immediata dei contratti e la sottoscrizione contestuale dei nuovi contratti.
Schiva ma non risolve. Soprattutto, non risponde bene a una domanda: chi paga questo personale in più? E qui arriva la grana: le scuole con i fondi Covid. Peccato che questi fondi sono previsti per altro, cioè per i collaboratori scolastici, che sono gli unici a non poter ricorrere allo smart working in caso di quarantena. E peccato che molte scuole o hanno esaurito i fondi o dovranno fare i conti con le tempistiche ministeriali per ottenerne altri.
La pezza non solo è brutta ma è pure insufficiente.
Logico, in questa situazione, che in non pochi si siano mossi sul sentiero di guerra e, nel silenzio ufficiale dei sindacati, annuncino ricorsi.
I danni peggiori li subiranno le scuole, costrette a privarsi della continuità amministrativa, altrettanto importante di quella didattica.
Infatti, i nuovi entrati si sobbarcheranno l’onere dei bilanci, che devono essere chiusi a metà gennaio, senza avere alcuna familiarità coi sistemi contabili e informatici degli istituti. Intendiamoci, questa non è una colpa dei vincitori ma una responsabilità di chi ha tardato a certificare i loro diritti.
A dispetto della desiderata tempestività, La Liguria e l’Emilia Romagna non hanno ancora deciso nulla. Ma quel poco che trapela non lascia presagire nulla di buono…
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