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Una metafora dell’Italia. Segre racconta la “sua” Marghera

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Il regista presenta durante il MyArt Film Festival il documentario Il pianeta in mare, che descrive le ferite prodotte dalla deindustrializzazione nel cuore della Laguna Veneta

Il MyArt Film Festival è un’iniziativa che vuol contribuire ad abbattere qualche muro e a impedire l’edificazione di qualcun altro.

Il focus dell’edizione di quest’anno è sul ruolo della donna e i suoi diritti, con la connessa critica della mentalità maschilista di impronta patriarcale che ancora persiste nelle nostre società.

La locandina del film di Segre

Per il Festival è importante anche promuovere la fruizione del cinema e delle pellicole come un ritorno alla socialità. Proprio in un momento storico in cui ogni attività è consumata nell’individualità più isolante.

Inaugura la sezione dei documentari fuori concorso della terza edizione del MyArt Film Festival la pellicola di Andrea Segre, dal titolo Il pianeta in mare. Al documentario viene assegnato il Premio Mario Gallo in collaborazione con la Cineteca della Calabria.

Il regista veneto è esperto di analisi etnografica e di pratiche e teorie di comunicazione sociale, in particolare nella solidarietà internazionale. Regista di cinema documentario e di finzione, ha portato il suo ultimo lavoro porta fuori concorso alla Settantaseiesima Mostra Internazionale d’arte Cinematografica.

La proiezione si è svolta a Cosenza presso il Cinema San Nicola il 5 novembre scorso, alla presenza del regista, che per l’occasione ha spiegato cosa significa Il pianeta in mare nella laguna veneta.

Una scena de Il pianeta in mare

Si parla di fabbriche abbandonate, come succede in quasi tutte le zone dello stivale. Il documentario nasce per l’esigenza di raccontare la trasformazione di Marghera, progressivamente abbandonata dalle industrie. Oggi la zona è piena di ferite profonde, prodotte dalla deindustrializzazione, tra cui i tanti morti dovuti alle sostanze nocive. Oggi sono sparite le idee e la voglia di capire le storie e ciò che vi si nasconde dietro. «Il potere del cinema», ha detto Segre, «consiste nel raccontare ciò che è scomparso di cui non si parla più. I fatti emergono solo quando avviene qualche tipo di emergenza. Questo documentario non parla solo di Marghera, ma di tutta l’Italia».

Segre ha imparato a raccontare da autodidatta attraverso il cinema, con la consapevolezza che questo racconto è una vera e propria esigenza. Certo, la sua produzione nel cinema di finzione non è secondaria, ma solo la dimensione del documentario riesce a completare in modo pieno la sua esperienza.

Protagonisti della storia de Il pianeta in mare sono i testimoni degli eventi, le persone del posto, non attori professionisti. Persone capaci di mettersi in discussione come fa per primo lo stesso regista.

Un personaggio chiave del film è Viola, proprietaria di un locale nei pressi della zona industriale di Marghera. Segre ha avuto un rapporto quasi conflittuale con la donna durante le riprese, conflitto terminato alla fine delle riprese, quando la donna gli ha confessato: «Tesoro, non avevo capito che facevi un film così bello!». A riprova che (a differenza di quel che avviene nei film, in cui gli attori sono consapevoli di quel che fanno), nei documentari, le persone, come in parte anche il regista, sono inconsapevoli del risultato finale. Il difficile è far sciogliere le persone davanti ad una telecamera. Molto spesso si nascondono dietro ad una maschera, solo con un po’ di tempo e pazienza si riesce a tirare le emozioni necessarie al racconto. Il regista certo dà input e sollecitazioni ai testimoni degli eventi, ma tutto prosegue in un flusso spontaneo. Ad esempio chiede a degli operai di inscenare la pausa pranzo, ma poi li lascia liberi di chiacchierare tra di loro. 

Segre discute col pubblico del San Nicola

Il pianeta mare si muove tra un passato pesante e un futuro incerto. Oggi come allora vi lavorano persone sempre in bilico, inconsapevoli del proprio futuro. E Marghera, cuore inquinato della Laguna, diventa un non luogo. E vengono mostrati il ventre d’acciaio delle grandi navi in costruzione, i bastioni abbandonati del Petrolchimico, gli altoforni e le ciminiere delle raffinerie, il nuovo mondo telematico di Vega o le centinaia di container delle navi intercontinentali. Tutto il racconto si snoda attraverso le parole di operai, manager, camionisti e della cuoca dell’ultima trattoria del Pianeta Marghera. Mentre le immagini ci aiutano a capire cosa è rimasto del grande sogno di progresso industriale italiano.

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