L’editoria porno nel racconto di Passavini
Primo punto: l’hard sta all’editoria ufficiale e perbene come certe lobby alle istituzioni ufficiali. C’è eccome, ma meglio non vantarsene troppo, non esibire. Tant’è: il primo ha mosso soldi e fatto girare le rotative allo stesso modo in cui le seconde hanno determinato eventi politici importanti dalla loro (non troppo) confortevole penombra.
Secondo punto: è esistita una circolarità perfetta, inconfessabile quanto si vuole ma innegabile, tra l’editoria porno e quella normale. Una circolarità fatta di personaggi, che sono passati, anche più volte e comunque con disinvoltura, dall’uno all’altro settore. Per dirla con un’immagine, dal salotto buono all’alcova più indecente.
Terzo punto: la pornografia ha inciso, dai retrobottega delle edicole, in maniera determinante sull’evoluzione del costume, molto più dei movimenti libertari e radical.
Quarto punto: il porno ha innescato un meccanismo autofago che lo ha portato al declino editoriale proprio nel momento in cui è diventato un elemento normale della cultura quotidiana.
Intendiamoci, non tutto il fenomeno, ma solo quello che Gianni Passavini, giornalista trasformato dal bisogno in pornografo, ha definito Porno di Carta, che è poi il titolo del suo bel volume uscito a novembre per i tipi di Iacobelli.
Passavini parte da sé stesso, cioè dalla propria decennale esperienza presso l’International Press, la casa editrice di Le Ore, per raccontare, attraverso la biografia di Saro Balsamo, l’editore e fondatore dell’International, la storia dell’editoria per adulti.
L’avventura di Passavini, un passato da cronista giudiziario tra gli eskimi delle redazioni militanti, alla corte di Balsamo iniziò nel 1982: «Allora, ancora non sapevo che quella scelta mi avrebbe cambiato così irrimediabilmente la vita. Ma dovevo farla, dopo che, per divergenze politiche, mi erano state imposte le dimissioni da redattore oltre che da direttore responsabile del Quotidiano dei Lavoratori, il giornale militante dove avevo lavorato praticamente gratis negli ultimi tre anni».
Dall’impegno politico e sociale al disimpegno erotico, anzi porno? Certo. Ma quello di Passavini non fu un tradimento dettato da motivi alimentari: nel 1982 quell’ambiente politico in cui lui e tanti altri si erano formati e da cui erano passati al giornalismo era in riflusso. Al contrario, l’impero di Balsamo era fortissimo.
Questione di generazioni e di fortuna: fai il’68 frequenti gli ambienti giusti, che poi sono quelli egemoni, e fai carriera; nasci un po’ dopo, oppure sbagli qualcosa nel tuo percorso, e ti ritrovi da Balsamo, se ti va bene.
Tanto più che il pornomagnate siciliano, che esibiva lauree non verificate e un titolo nobiliare che lo avrebbe apparentato addirittura a Cagliostro, non andava troppo per il sottile, per quel che riguardava la politica. Passavini era di sinistra, come gran parte della redazione dell’epoca. Ma Walter Peroni, cognato dell’editore e direttore di Le Ore, «alla fine degli anni Sessanta era stato uno dei più attivi ragazzotti della destra milanese».
Ma nessun problema, Balsamo accoglieva davvero tutti: «Gente come me, sessantottini, extraparlamentari di sinistra, ex partigiani che avevano sognato di fare la rivoluzione. Ma anche gente che era stata sulla barricata opposta e aveva sperato nel colpo di Stato. Senza dire dell’apporto delle donne: femministe impegnate, madri di famiglia trepidanti per un accenno di tosse dei loro pargoli».
A proposito di politica: quando Balsamo, fresco del successo delle sue riviste giovanilmusicali come Big, decise di tentare il salto nell’editoria per soli uomini (era il ’66 e di porno proprio non si poteva parlare) e fondò Men e Playmen, le prime due testate del settore, pescò alla grande nella redazione de Lo Specchio, settimanale di destra conservatrice e, per usare un termine dell’epoca, atlantica. Facciamo qualche nome: Marcello Mancini, Luciano Oppo, già guastatore e sabotatore della Rsi, Giò Stajano, Pierfrancesco Pingitore (già dirigente universitario del Msi e poi fondatore della compagnia teatrale Il Bagaglino), Armando Stefani, che proveniva da Tabularasa, periodico di eretici del neofascismo, e, dulcis in fundo Enrico de Boccard, il più interessante tra tutti i pornofascisti. Nobile di nascita, già repubblichino e poi missino, de Boccard era riuscito a farsi chiacchierare dalla sinistra in vena di dietrologie perché aveva organizzato nel 1965 il celebre convegno su La guerra rivoluzionaria che si tenne all’Hotel Parco dei Principi, dove aveva invocato, neppure troppo tra le righe, la necessità di un golpe anticomunista. Anche con Balsamo il vizio non se l’era tolto del tutto: nel ’67 andò a Tel Aviv a seguire la guerra dei sei giorni. Tornò con un reportage sui combattimenti, uno sulle prostitute e qualche soffiata per i Servizi. Tra una cosa e l’altra, curò l’edizione italiana della Psychopathia Sexualis di von Kraftt-Ebing e scrisse un Dizionario della letteratura erotica.
Con questa X Mas dell’erotismo convivevano senza problemi Luciano Massimo Consoli, il leader del movimento gay italiano, Milena Milani, autrice del libro scandalo La ragazza di nome Giulio, e l’anarchico-ateo Piero Cimatti. A tacere dell’ex azionista di origine ebraica Franco Valobra, finissimo intellettuale vicino al Partito radicale. Proprio a questa corte si formò Riccardo Schicchi, futuro mentore di Cicciolina, Moana e Eva Henger.
Già, recitava l’editoriale del primo numero di Men: «Noi non abbiamo santi in Paradiso, la politica non ci interessa se non per quel tanto che ci disturba».
E il porno? Roba innocente, che oggi non stuzzicherebbe nemmeno l’ultimo sito glamour. Ciò non bastò a evitare il sequestro ai primi otto numeri di Men e la galera a Mancini.
Era solo l’inizio di una lunga contesa giudiziaria, tutta giocata attorno alle interpretazioni degli articoli 528 e 725 del Codice penale. Anche Balsamo, che nel frattempo si era rimangiata l’indifferenza politica e si era messo a fiancheggiare il Psi e manifestava nei confronti di Craxi quella simpatia che sarebbe diventata amicizia stretta, passò i suoi guai: si fece la galera e un anno di latitanza all’estero, finito il quale si ritrovò senza giornali né casa editrice: glieli aveva soffiati sua moglie, Adelina Tattilo, stanca delle sue bizzarrie e, probabilmente, delle corna, che i bene informati riferiscono seriali.
A proposito di circolarità con l’editoria ufficiale e di contatti con la politica, val la pena di ricordare una chiacchiera che girò poco prima che Adelina silurasse il consorte: secondo Lo Specchio il Psi si preparava a stringere rapporti più stretti con Balsamo, che aveva dichiarato guerra alla Dc, attraverso Felice Fulchignoni, ex fascista e faccendiere, passato alla storia, oltre che per essere finito in manette durante Tangentopoli, per aver fondato Adnkronos, la seconda agenzia di stampa italiana dopo l’Ansa…
La ricetta di Men funzionava e il Nostro, bon vivant e spendaccione, lontano dal suo omologo americano Larry Flint, la replicò, a partire dal 1971 con Le Ore, che, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, sarebbe diventata sinonimo di pornografia. Dapprima fu il mix di nudi femminili e inchieste giornalistiche, che aveva già fatto la fortuna di Men (e al riguardo possiamo citare i topless di Patty Pravo), poi l’aspetto erotico prese il sopravvento, fino a scivolare, anche sotto la spinta di una concorrenza agguerrita (chi non ricorda Pop e La Coppia Moderna? ) e grazie a una giurisprudenza più benevola, verso il porno.
E qui parliamo di nuovo di donne. Non delle modelle, famose o meno, bensì delle redattrici. Fu Maria Jatosti, nel lontano ’75, a decidere il passaggio all’hard, dopo un lungo braccio di ferro con il direttore Giorgio Colorni. La Jatosti, background sinistrorso ed ex compagna dello scrittore Luciano Bianciardi, rilevò la direzione, mentre Colorni tornò, con tanto di autocritica, nelle file di quel Pci che aveva abbandonato per darsi all’erotismo…
Da allora in avanti, fu tutta una progressione che toccò l’apice negli anni ’80, quando bastava dire Le Ore per evocare zozzerie. E, con grande abilità, la rivista di Balsamo riuscì a bucare l’immaginario collettivo, attraverso due mosse: l’alleanza strategica con i francesi, cioè con Gabriel Pontello (il futuro mentore di Rocco Siffredi), che aveva organizzato una vera e propria factory in un teatro di posa parigino, e l’uso di starlette in declino, che accettavano di posare in servizi più o meno hard per il giornale, nel frattempo diventato patinato e costoso. Alcune, Karin Schubert e Paola Senatore, avevano già sfiorato l’hard senza lasciarsene coinvolgere. Per altre, Lilli Carati, era la prima volta. Per altre ancora, Tina Aumont e Minnie Minoprio, era solo un passaggio fugace, prima del definitivo addio alle scene: semplici pose di nudo in mezzo a figuranti che facevano ben altro. Ma la botta più forte all’immaginario collettivo Le Ore l’azzecca con la definitiva consacrazione di un personaggio: Ilona Staller, in arte Cicciolina. E non c’è bisogno di dire altro.
Il culto creatosi attorno alle riviste zozze creo un business miliardario, che tuttavia si incrinò a partire dalla seconda metà degli anni ’80. Il primo colpo fatale fu inferto dal mercato dell’home video, che mise in difficoltà prima le riviste e poi le sale a luci rosse. La botta finale arrivò nei ’90, quando i pc, i cd rom, poi i dvd e, infine, il web, fecero fuori definitivamente quell’editoria che aveva aperto i giochi a prezzo di durissime battaglie giudiziarie.
Le Ore chiuse, dopo un penosissimo declino, nel 2000. Balsamo sopravvisse al proprio impero di cinque anni, dopo aver anche tentato di riciclarsi nell’editoria normale. Era finita un’epoca.
Dal porno di carta a quello digitale c’è una distanza di anni luce: consumare il primo era trasgressione e prova iniziatica, guardonare il secondo, propinato ai limiti dell’anestesia sessuale, è una banalità.
Niente più collette davanti all’edicola vicino a scuola, niente più giornaletti nascosti nei fondi dei comodini, dietro i termosifoni e tra quei libri che venivano trascurati in nome di quelle – si fa per dire – letture maledette. Eppure, oggi che basta un clic, anzi un tap sul display, l’amarcord di Passavini risulta bellissimo. E non solo per la solita nostalgia, canaglia per definizione, ma perché Porno di Carta racconta, attraverso i consumi erotici, la differenza antropologica tra quegli italiani che certe cose le limitavano ai cessi e quelli che oggi le vedono in tv. Le tette agli italiani? Quando Balsamo cominciò, quasi non ce n’erano. Ora che sono persino troppe, verrebbe quasi il desiderio di una nuova censura pur di trasgredire a qualcosa.
Saverio Paletta
Per saperne di più:
La storia del cinema hard italiano
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