L’Odessa italiana tra nero e rosa della principessa Pignatelli
La nobildonna calabrese, protagonista di una fuga rocambolesca, fonda il Movimento italiano femminile su ordine del duce. È la prima organizzazione neofascista legale e fornisce assistenza ai reduci della Rsi
Non è un romanzo né un film, sebbene questa vicenda abbia tutti i crismi della spy story: anche l’Italia ha avuto un’organizzazione simile alle tedesche Odessa e Die Spinne. E, al pari delle sue omologhe germaniche, questa struttura mirava a proteggere i fascisti in fuga alla fine della guerra.
Fin qui le analogie. Per il resto, l’associazione italiana non è completamente segreta né ha caratteri illegali o, peggio, criminali.
Soprattutto, ha due peculiarità. Innanzitutto, è un gruppo essenzialmente femminile (e, per i parametri dell’epoca, anche femminista). La seconda peculiarità è nella geografia: l’associazione ha la sua base in quella Calabria che, dopo la caduta del regime, si riscopre rossa e in cui iniziano le prime, importanti proteste contadine.
Il Movimento italiano femminile, così si chiama questa struttura, è fondato dalla principessa Maria Pignatelli nell’autunno del ’46 e ha anche il singolare primato di essere la prima organizzazione neofascista legale del Paese, perché precede di poco la nascita ufficiale del Msi (che risale al 26 dicembre 1946)

La strana fuga
È l’estate del 1945. La principessa Pignatelli è prigioniera nel campo di concentramento britannico di Riccione. In città c’è Puccio Pucci, un importante reduce di Salò collegato a Pino Romualdi e ad Arturo Michelini, che nello stesso periodo sono a Roma e cercano di radunare tutti i fascisti sbandati attorno a un progetto politico.
Pucci non è lì per caso: deve recuperare la principessa che progetta l’evasione dal campo. Il piano riesce grazie all’aiuto delle suore di Cesena, che sono le ausiliarie del carcere alleato. Le religiose nascondono la principessa nel furgone della biancheria e la fanno arrivare a Roma, dove trova rifugio in Vaticano, presso monsignor Silverio Mattei, prelato della Sacra congregazione dei riti.
Proprio a casa di Mattei, donna Maria Pignatelli inizia a tessere la trama con cui costituirà il suo movimento di assistenza ai fascisti, grazie senz’altro alla sua formidabile rete di contatti con l’aristocrazia romana e con molti esponenti dell’ex regime. Ma, soprattutto, grazie all’aiuto delle autorità vaticane.

Un personaggio particolare
La fuga a Roma, dove si sono rifugiati moltissimi fascisti in fuga dal Nord, mette la parola fine a due anni di prigionia per la principessa.
Tutto inizia nella primavera del ’44, quando a donna Maria riesce un’impresa spericolatissima: varca il confine di guerra, all’epoca poco sotto Roma, incontra il feldmaresciallo Albert Kesserling, a cui riferisce notizie sensibili sulle strutture strategiche alleate, quindi va a Gargnano sul Garda, dove incontra Mussolini e Francesco Maria Barracu, ex federale di Catanzaro e in quel momento sottosegretario della Repubblica Sociale Italiana.
Stando alle dichiarazioni della principessa e a varie testimonianze storiche, Mussolini in persona avrebbe ordinato alla nobildonna di creare il Mif.
Il duce non ha agito a caso: la principessa Pignatelli sembra la persona più adatta allo scopo.
Fiorentina di origine e figlia dell’ammiraglio Giovanni Emanuele Elia, donna Maria sposa in prime nozze il marchese Giuseppe de Seta, aristocratico siciliano col vizio del gioco. Da lui ha quattro figli, tra cui Vittorio de Seta, che sarebbe diventato un importante regista e documentarista del filone neorealista.
Ma il matrimonio dura poco. Subito dopo la separazione, la marchesa de Seta diventa l’amante di Michele Bianchi. Poi, nel ’42, dopo la morte del marito, sposa il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara.
Il loro è un legame forte, in cui sentimenti e passione politica fanno un mix micidiale vissuto con una certa incoscienza. Anche Valerio, un fascista irrequieto con una carriera militare alle spalle, è legatissimo a Mussolini, per conto del quale crea, alla fine del ’43, la Guardia ai labari, un’organizzazione clandestina ramificata tra la Calabria e Napoli.
L’organizzazione è scoperta e smantellata dai carabinieri nell’estate del ’44. Qualche mese prima, la polizia militare britannica ha scoperto il viaggio della principessa oltre confine e quindi arresta i Pignatelli.

Per Valerio e Maria iniziano la galera e i guai giudiziari. I due, condannati a 12 anni di carcere a testa per spionaggio, sono detenuti assieme nel campo di concentramento di Padula per alcuni mesi. Poi la principessa è trasferita dapprima a Terni e, da lì, a Riccione.
Intrighi internazionali
Il Movimento italiano femminile dispone di due carte vincenti: una struttura diffusa su tutto il territorio nazionale e l’appoggio della Chiesa, grazie al quale la principessa organizza, mentre è ancora latitante in Vaticano, l’espatrio di oltre 15mila fascisti in fuga verso l’Argentina di Juan Domingo Peron.
Come rivela l’inchiesta di Giorgio Agosti, all’epoca questore di Torino, gli espatri sono coperti dai francescani di Genova, che radunano i fuggiaschi e procurano loro i passaporti per lasciare l’Italia.
Assieme ai fascisti sbandati, per molti dei quali è pericoloso restare in Italia, scappano in Sud America non pochi ustascia croati, per i quali la permanenza in Italia significa il rimpatrio e la morte certa.
Ma perché proprio l’Argentina e, soprattutto, qual è il ruolo di donna Maria Pignatelli? La prima risposta è semplice: la comunità italiana di Buenos Aires è filofascista e, grazie a Peron, è diventata molto influente nelle scelte politiche del Paese latinoamericano.
Più nello specifico, Valerio Pignatelli ha un forte legame personale con il presidente argentino. Questo legame, di cui si sarebbe avvantaggiato il Mif, è ribadito in un incontro riservato tra la principessa, le dirigenti del suo movimento ed Evita Peron, che si svolge a Roma nel ’47. Il Mif, inoltre, si occupa della raccolta dei finanziamenti inviati dagli italiani d’Argentina per aiutare la nascita del Msi.

Cose di Calabria
Nell’estate del ’46 la situazione cambia. Grazie all’amnistia di Togliatti, donna Maria abbandona la latitanza e Valerio lascia il campo di Padula.
I due tornano in Calabria, per la precisione a Sellia Marina. E proprio da lì la principessa inizia a gestire il Mif. Soprattutto, inizia a usare la Calabria come rifugio per fascisti.
La storia, a questo punto, assume tratti pittoreschi, che emergono dalle lettere che la principessa indirizza alle dirigenti calabresi del Mif o ai leader del Msi. Donna Maria non parla mai di fascisti o di latitanti, ma si esprime in gergo: a seconda della gravità dei casi, parla di disoccupati, di malati che devono cambiare aria, di falegnami, carpentieri e via discorrendo.
In un caso, il riferimento è esplicito: la principessa chiede aiuto a Luigi Filosa, dirigente del Msi cosentino, perché cerchi una casa in Sila per il fratello e la sorella di Valerio B., cioè del principe Junio Valerio Borghese.
In un altro caso, a dispetto delle tante cautele, qualcosa emerge a Cosenza, dove due ex repubblichini in fuga da Roma, danno un po’ troppo nell’occhio e allarmano i comunisti.
Difficile quantificare quanti fascisti abbiano approfittato degli aiuti del Mif. Secondo un calcolo prudente, potrebbero essere attorno al migliaio.

Fasciste in rosa, femministe in nero
La particolarità principale del Mif è la sua natura di movimento creato e gestito da donne, in cui gli uomini possono avere al massimo due ruoli: quello di legale (che a Cosenza, per fare un esempio, è ricoperto da Ugo Verrina, altro leader del Msi meridionale) o di consigliere religioso.
I rapporti col Msi sono tutt’altro che idilliaci, perché la principessa difende a oltranza l’indipendenza del Mif dalle mire del partito, che vuole trasformare l’associazione in una specie di sezione femminile.
Al riguardo, restano memorabili le polemiche della Pignatelli nei confronti dei vertici missini, di cui non gradisce le ingerenze.
Se le donne votano come gli uomini – chiede la principessa al segretario del Msi Arturo Michelini – a cosa servono le sezioni femminili?
E ancora: noi facciamo assistenza a chi ha problemi, non politica, ribadisce la nobildonna alle sue seguaci che si fanno tentare dalle candidature (anche se, va detto, il Msi è il partito che ha candidato più donne).
Il Mif chiude i battenti intorno al ’53, perché la normalizzazione del quadro politico nazionale ne he reso superflue le funzioni. La principessa sopravvive altri 15 anni. Muore in un brutto incidente stradale, nel momento in cui il ’68 getta le basi di un altro protagonismo per le donne.
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