Islam, se lo conosci lo apprezzi (e non ti uccide)
Aberto Ventura, uno dei massimi esperti in materia al Master in Intelligence dell’Unical: basta con le esemplificazioni, dobbiamo studiare il mondo islamico
«Allah Akbar», Dio è grande. Ma per chi? Lo hanno urlato i kamikaze di Al-Quaeda, ma lo dicono con orgoglio anche migliaia di mussulmani, anche nei nostri paesi, pacifici, civili e capaci di integrarsi e coesistere.
In fondo lo sappiamo: al pari dei cristiani, divisi tra decine di confessioni, e dei buddisti, contesi da varie correnti spirituali, anche i mussulmani non solo la stessa cosa.
Non ce ne accorgiamo solo perché i media, anziché chiarire i dubbi su questo mondo politico, culturale, spirituale e religioso, hanno creato confusione nel tentativo di semplificare problematiche che devono solo essere approfondite.
Quest’ultima è la tesi di Alberto Ventura, tra i massimi esperti italiani in materia e direttore del Laboratorio del Mediterraneo islamico dell’Università della Calabria.
Quella di Ventura, che ha tenuto una densa lezione al Master in Intelligence dell’Unical, diretto da Mario Caligiuri, non è la classica tirata antigiornalisti, in cui si esercitano gli addetti ai lavori di tutto lo scibile di fronte agli svarioni quotidiani degli operatori dei media.
Infatti, Ventura ha approfondito, con un linguaggio cristallino, la storia del mondo islamico, di cui ha scandagliato la complessità e ha fornito una sintesi originale.
Per dare una definizione di fondamentalismo, che è l’aspetto dell’Islam che genera la grande fobia nelle culture occidentali, lo studioso ha fatto una lunga carrellata attraverso i secoli. A partire dalla prima grande divisione nel mondo degli eredi di Maometto (eredi e non seguaci, ma questa è un’altra storia) in sciiti e sunniti.
In questo processo storico, in cui la tradizione ha un ruolo centrale, esistono tre punti fermi per i mussulmani: il Corano, la Sunna, le regole di condotta in origine orali e consuetudinarie, e il Consenso, l’elaborazione dottrinaria nel corso del tempo.
In questo quadro, che si è sviluppato per circa 1.400 anni, il fondamentalismo è davvero l’ultimo arrivato. In particolare quello wahabita, che prese piede in Arabia Saudita negli anni ’20 e da lì si è esteso grazie anche ai rapporti pericolosi di una parte del mondo occidentale con i leader della penisola arabica.
Questi rapporti sono stati di natura economica ma anche militare: si pensi alla partecipazione di Osama bin Laden alla resistenza antisovietica in Afghanistan.
Poi, con la fondazione di Al-Quaeda, il salto di qualità nel terrorismo e nel mondo particolare (e particolarmente grigio) della guerra asimmetrica con l’attentato alle Twin Towers.
Questa prova di forza, ha spiegato Ventura, non ha sortito gli effetti desiderati dai quaedisti. Infatti, il mondo islamico è rimasto sostanzialmente tiepido. E ciò fa capire i limiti strutturali della strategia ideata dal gruppo che si richiama a bin Laden.
Secondo il pensiero quaedista l’Occidente è il nemico lontano. In altre parole, è il mondo degli infedeli da sottomettere. I nemici più prossimi dei fondamentalisti sono invece gli altri paesi islamici, quelli retti da regimi laici (ad esempio, le dittature destabilizzate o rovesciate dalle primavere arabe di inizio decennio) o in cui le tesi fondamentaliste non hanno fatto proseliti (parlare di islam moderato, ha chiarito al riguardo Ventura, è problematico e in buona misura improprio).
Negli stessi problemi è incorsa l’Isis, col suo progetto, al momento in regressione, di creare un grande califfato. Insomma, gli osservatori occidentali non riescono a decodificare, o decodificano a fatica, le dinamiche particolare di un mondo in cui gli estremismi crescono ma non si impongono e, di fronte ai primi contrasti seri, addirittura arretrano.
Ma cosa è questo fondamentalismo tanto temuto, di cui si parla assai e si capisce poco?
A voler porre la questione in termini elementari, è l’interpretazione letterale del Corano e della Sunna. Ma questa chiave di lettura complica non poco le cose: più che una corrente reazionaria, il fondamentalismo, posto in questi termini, sembra una sorta di protestantesimo interno al mondo islamico. Una riforma puritana, tra l’altro recentissima, che, per colpa dell’improvvisazione dei media, rischia di essere identificata con l’Islam tout court.
Ventura, che come tutti gli studiosi non usa le parole a caso, ha distinto tra mussulmani, i religiosi normali, che sono la stragrande parte di quel mondo, e gli islamisti, che invece è quasi sinonimo di fondamentalismo.
Questa non è una categorizzazione astrusa da studioso, ma rende un’autopercezione forte interna al mondo islamico: non sono pochi i mussulmani che si indignano se qualcuno li definisce islamisti.
Morale della favola: le nostre istituzioni culturali avranno un lavoro quasi improbo da fare per capire questo universo spirituale. O, per dirla con Ventura: «Comprendere il mondo islamico è uno dei problemi del mondo contemporaneo e va affrontato con competenza e serietà».
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