Morte sospetta di una minorenne. Tornano le baby squillo in un b movie d’epoca
Tra sequestri di persona e scandali di provincia, un poliziesco all’italiana duro e spettacolare che strizza l’occhio a Dario Argento
Un rip off, cioè un rifacimento? Forse non del tutto. Morte sospetta di una minorenne (1975), l’ultimo poliziesco all’italiana di Sergio Martino, richiama sin troppo La polizia chiede aiuto (1974) di Massimo Dallamano. Innanzitutto, per l’ammiccamento al lolitismo, in cui Dallamano si era praticamente specializzato (si pensi anche al bellissimo Cosa avete fatto a Solange? del 1972), poi perché la trama e il protagonista principale, il bravo e compianto Claudio Cassinelli, sono presi di peso dal film precedente.
Cosa cambia allora?
Molto. Perché Sergio Martino, che all’epoca di Morte sospetta… aveva maturato un’esperienza più considerevole nei b movie, si diverte a mischiare le carte e crea – con l’aiuto dell’ottimo Ernesto Gastaldi, che elabora il soggetto e scrive la sceneggiatura assieme al regista – un polpettone in cui c’è di tutto.
L’elemento forte è la prostituzione minorile, che negli anni ’70 creava non pochi scandali nelle cronache e non solo, ma non manca il riferimento ai sequestri di persona, altra piaga dell’Italia di allora. C’è anche l’accusa all’alta finanza, colpevole di riciclare il danaro sporco, giusto per non farsi mancare l’allusione all’impegno sociale, quasi obbligatorio per il cinema italiano (non solo d’autore) di quegli anni.
Difficile contenere tutti questi spunti in un’ora e mezzo e ricavarne un prodotto credibile per il grosso pubblico, a cui i registi smaccatamente commerciali come Martino – che difatti subito dopo si sarebbe dedicato alle commedie sexy, ai film cannibalici e alla fantascienza – si rivolgevano.
Ma, se non ci si aspetta il capolavoro, si può dire che Morte sospetta… sia un film riuscito e godibile. Forse anche perché non si prende troppo sul serio.
Difficile raccontarne la trama, visto che la pellicola si basa essenzialmente sui colpi di scena. Ma come si sarà già intuito, il protagonista, Cassinelli, interpreta di nuovo il ruolo di un commissario di polizia, Paolo Germi, che indaga sotto copertura sull’anonima sequestri. Sarà l’uccisione di una ragazzina, Marisa Pesce (unica interpretazione della bella Patrizia Castaldi, che avrebbe continuato la sua fugace avventura nel cinema come costumista), a mettere Germi sulla pista di un racket di prostituzione minorile.
Sulla sua strada, e grazie all’aiuto di Giannino (il caratterista Adolfo Caruso), un ladruncolo di strada, il poliziotto si imbatte nei personaggi più disparati: Carmela (l’italo-argentina Lia Tanzi, habitué dei b movie), una bella prostituta che lo mette in contatto con il racket, Floriana (l’inquietante e fascinosa mattatrice dell’horror all’italiana Barbara Magnolfi), una procace baby squillo, il pericolosissimo Menga, capo del racket (Franco Alpestre, protagonista di una carriera curiosa, divisa tra ruoli shakespeariani e comparsate nel cinema di genere più trucido e scollacciato) Olga (la bella e sfortunata Jenny Tamburi, a suo agio nei panni della lolita), un’altra baby squillo, e una squallida albergatrice (la brava e sfortunata Fiammetta Baralla, caratterista oversize morta subito dopo aver girato La grande bellezza).
Ma la caccia del commissario Germi punta più in alto: a volte aiutato e a volte ostacolato dai colleghi e dagli altri inquirenti (tra questi l’inossidabile Mel Ferrer nel ruolo del questore, l’astigiano Aldo Massasso in quello del procuratore Listri e il bravissimo Gianfranco Barra in quello del maresciallo Teti) il poliziotto arriva a toccare un giro di finanzieri, tra cui il banchiere Gaudenzio Pesce (Massimo Girotti, uno dei belli per eccellenza del cinema tricolore), zio di Marisa.
Il cerchio si chiude? Sì e no. Ma non è il caso di procedere oltre nel racconto della trama.
La storia è troppo piena di spunti perché se ne possa ricavare una sceneggiatura davvero efficace. E Martino, infatti, supplisce con un gran mestiere, che raggiunge il massimo nelle scene d’azione, in cui mescola citazioni piuttosto sfacciate del giallo all’italiana (da manuale per ritmo e suspense la scena iniziale), a momenti leggeri (il film è infarcito di gag tra una scena truce e l’altra e la scena dell’inseguimento della polizia a metà pellicola sfiora la satira per quanto è volutamente sgangherata).
Come in La Polizia chiede aiuto, non mancano le citazioni argentiane, stavolta ribadite anche dall’efficace colonna sonora del maestro Luciano Michelini, che strizza non poco l’occhio ai Goblin del coevo Profondo Rosso.
Ma il killer non è il classico uomo nero col cappellaccio e i guanti di pelle: è un anonimo e feroce sicario, elegante e con gli occhiali a specchio (il caratterista Roberto Posse). I suoi omicidi sono uno più truce dell’altro: si va dallo sgozzamento della scena iniziale e si culmina in uno strangolamento efficacissimo.
Martino gioca sul ritmo, piuttosto serrato, per supplire ai buchi della trama.
Il risultato è una pellicola valida, sia per il pubblico normale, sia per i palati fini, dato che gialli così in Italia non se ne vedono più.
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