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Chi l’ha vista morire? Uno sguardo cupo sulla pedofilia

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Un thriller “scandaloso” su un maniaco che uccide le bambine dai capelli rossi tra gli isolotti di Venezia…

Chi l’ha vista morire? è il titolo di una filastrocca, tradotta in italiano e musicata in maniera magistrale da Ennio Morricone, che una volta tanto rinuncia alle voci femminili in favore delle voci bianche:

«Chi l’ha visto morire?/Io, dice il moscerino/Con quest’occhio piccino/Io l’ho visto morire».

Così cantano in coro i bambini in girotondo attorno alla piccola Roberta Serpieri (la dolce ed enigmatica Nicoletta Elmi, che sarebbe diventata una mattatrice dell’horror e del thriller tricolore, prima di chiudere la carriera in tv nel ruolo di Benedetta, la dark de I Ragazzi della 3a C). Poi, mentre suo padre, lo scultore Franco Serpieri (l’australiano George Lazenby, emaciato e irriconoscibile coi baffoni, che da lì a qualche anno avrebbe preso il posto di Sean Connery in 007-Al Servizio Segreto di Sua Maestà Britannica) amoreggia con un’amica (interpretata dalla tedesca Rosemarie Lindt, altro volto e corpo famoso del cinema italiano di quegli anni), la piccola viene uccisa.

Chi l’ha vista morire? (1972) è il secondo film di Aldo Lado, ex aiuto regia di Bernardo Bertolucci, reduce dal – meritato – successo di La Corta Notte delle Bambole di Vetro (1971). Rispetto all’esordio, Lado abbandona le suggestioni esoteriche e vira con decisione verso il giallo all’italiana più classico, di cui riprende ed estremizza i canoni. Ad esempio, la follia, che è il movente dell’assassino, come da tradizione argentiana, sulla quale gioca al rialzo, visto che le vittime sono bambine dai capelli rossi, come la piccola Roberta, e tocca il tabù della pedofilia, appena sfiorato lo stesso anno da Lucio Fulci in Non si sevizia un paperino.

indberg (che interpreta Elizabeth, la madre di Roberta) e la fascinosa Dominique Boschero, nel ruolo dell’ambigua e perversa Ginevra.

Anche in questo film Lado ripropone la tesi del complotto, ma senza i riferimenti alle sette e ai gruppi occulti de La Corta Notte…In Chi l’ha vista morire? gli intrighi sono interni a un gruppo di altoborghesi che trescano per coprire uno di loro, il maniaco assassino, appunto. Pure il cast maschile, al riguardo, è di alto profilo: accanto a Lazenby recitano volti notissimi come José Quaglio (il perfido avvocato Bonaiuti), Adolfo Celi (il cattivo Serafian) e Alessandro Haber (padre Jim). Al loro fianco, il veneziano Pietro Vida, nel ruolo di un giornalista amico di Serpieri, e il tedesco Peter Chatel.

Atipica, per l’epoca, l’ambientazione del film: Venezia, che Lado dipinge gotica e crepuscolare grazie alla fotografia magistrale di Francesco Di Giacomo, formatosi con i fratelli Taviani e altro storico collaboratore di Bertolucci.

Altro stilema tipico del giallo all’italiana è il depistaggio continuo, escogitato dai due sceneggiatori, Massimo D’Avak Francesco Barilli (che avrebbe diretto qualche anno dopo il polanskiano Il Profumo della Signora in Nero) e dal regista, che consente di scoprire solo nel finale l’identità dell’assassino, ovviamente il più insospettabile di tutti. Poi c’è la diffidenza verso la polizia e le forze dell’ordine, che non riescono a impedire la sequenza di delitti che trasforma il film in una specie di Grand Guignol e costringono il protagonista a improvvisarsi detective. Infine le sequenze dei delitti, preceduti da riprese in soggettiva che mostrano il punto di vista dell’assassino che, a differenza del prototipo di Dario Argento, non è il classico uomo nero con impermeabile, guanti e cappellaccio, ma è travestito da vecchietta.

Gli ingredienti ci sono tutti e ce n’è qualcuno originale: l’ambientazione veneziana, ad esempio, farà scuola, visto che nel 1973 Nicholas Roeg girerà nella città della Laguna A Venezia… un dicembre rosso shocking, un thriller horror non troppo dissimile dal film di Lado.

Per chiudere, segnaliamo una particolare similitudine tra Chi l’ha vista morire? e Non si sevizia un paperino: la scena finale, carica di violenza catartica. Nel film di Fulci l’assassino precipita da una rupe, in quello di Lado cade da una finestra dopo essersi trasformato in una torcia umana. Segno che solo il sangue può lavare il marciume di certa borghesia ricca, prepotente e corrotta e che solo le fiamme possono sterilizzare l’aria da peccati mostruosi e innominabili. Non aggiungiamo altro: chi vuol guastarsi la visione, cerchi pure su Google, dove la trama di questo bel giallo è raccontata nei minimi dettagli. Noi ci limitiamo a consigliarvelo.

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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