Across The Meridian, torna il post rock dei Pram
A dieci anni dal precedente album, la band britannica offre ai suoi seguaci dodici brani dal retrogusto psichedelico meno innovativi che in passato ma suggestivi come sempre
Ancora loro, i Pram. Ed è difficile dire, a undici anni e rotti di distanza dall’ottimo The Moving Frontier, se i leader britannici del post rock (o della neopsichedelia, o della club culture: insomma, fate un po’ voi) siano tornati oppure se la loro lunga assenza fosse solo la classica pausa di riflessione.
Certo qualche cambiamento c’è: la storica cantante-tastierista Rosie Cuckston ha mollato e il suo posto lo ha rilevato Sam Owen, brava sia come cantante sia come polistrumentista (se la cava bene con le tastiere, vari tipi di fiati, chitarra e basso).
Per il resto la formazione è ridotta al nucleo di polistrumentisti sopravvissuto ai molteplici cambi di line up, che ha contribuito nel corso degli anni a marcare il sound eclettico dell’ensemble: il chitarrista-bassista-tastierista Matthew Eaton, il tastierista-bassista Max Simpson e il trombonista e addetto al theremin Harry Dowes.
Con il recente Across The Meridian, uscito alla fine della scorsa estate, la band si ripresenta al pubblico nel segno di una continuità duplice: discografica, visto che i britannici hanno pubblicato con la Domino, e stilistica, perché i dodici brani dell’album restituiscono agli ascoltatori quella miscela di kraut rock, chill, elettronica e via discorrendo che ha reso celebri i Pram nei circoli più di avanguardia e nella scena indie.
Shimmer And Disappear apre l’album con una dichiarazione di intenti sull’eclettismo dei britannici, che si districano tra ritmi dispari, cambi di tempo e atmosfera e armonie stralunate che rinviano al Frank Zappa di The Great Wazoo, riaggiornato con dosi massicce ma non invasive di elettronica ed effetti vari.
Con Thistledown i Pram spingono a fondo sull’aspetto più psichedelico e travolgono l’ascoltatore con distorsioni e dissonanze che sembrano uscite dalla colonna sonora di un horror, melodie allucinate, cantate dalla voce fatata della Owen, archi ed effettacci vari, tra cui campanelli e corde strappate. L’aggettivo psichedelico è, per questa canzone, un’approssimazione per difetto.
La Owen è protagonista anche della successiva Electra, dove infioretta una melodia angelica su un contesto armonico tipicamente trip hop.
Piuttosto minimale e glitch, Wave Of Translation si regge sulle delicate trame dei fiati che dapprima giocano su un tappeto di accordi dilatati e poi innescano un crescendo su un ritmo latin.
Notturna e carica di atmosfere retrò, Shadow In Twilight è una breve gemma, forse la canzone più canonica dell’album, in cui la cantante dà una bella prova di delicata bravura.
In Ladder To The Moon i fiati eseguono un tema jazzato vintage su un tempo lento e minimale e su un tappeto elettronico molto efficace.
Con The Midnight Room i Pram insistono nelle evocazioni old fashion con un dixieland canonico fino al caricaturale (e non a caso molti recensori hanno citato nientemeno che Woody Allen).
Footprints Toward Zero è un’incursione nella psichedelia infarcita da trip hop e atmosfere scure in cui le tastiere e l’elettronica sono protagoniste quasi assolute.
Mayfly è una filastrocca graziosa, in cui Sam Owen canta una nenia dolce su un arrangiamento di tastiere dal sapore eastcoastiano.
Con Sailing Stones i Pram cambiano direzione e si danno a un lounge carico di esotismi.
Where The Sea Stops Moving è una ninna nanna allucinata, in cui la Owen evoca Bjork e affoga la sua voce in un’armonia minimale carica di fruscii, effetti e rumore bianco.
Doll’s Eyes chiude l’album con una sequenza di melodie dolci e malinconiche che ricordano un po’ Nick Cave.
Gli anni ’90 sono lontani, soprattutto per quel che riguarda le scene più sperimentali, in cui il Regno Unito è stato a lungo all’avanguardia. E questa obsolescenza tocca anche i Pram, che ripetono sé stessi al meglio ma senza innovare.
Rivoluzionari in gioventù e conservatori nella maturità?
Senz’altro anche questo. Ma a chi ha aperto nuove strade sonore non si può chiedere di sperimentare in eterno. Across The Meridian è un ottimo ritorno ma anche un passaggio ideale del testimone: con quest’album la band britannica riprende i fili di un discorso sospeso dieci anni fa. E non è poco. Ora tocca alle nuove leve la sfida dell’innovazione. Con la speranza che siano all’altezza di quel che il quartetto britannico dimostra di essere ancora in grado di fare.
Da ascoltare (e da vedere):
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