Dalla Calabria a Milano. Il rap di Pika Dmf
Il rapper cosentino si racconta mentre sta per ultimare il suo album. Dieci anni intensi nella scena hip hop, dagli esordi alla concorrenza dei trappers
Luca Montone, noto come Pika Dmf, è un rapper cosentino. Inizia il suo percorso musicale nel 2009 con i Doppia Misura Family. Un nome non casuale, ma rappresentativo della cultura rap dell’epoca: la doppia misura nel vestire era il tipico look di coloro che facevano parte del mondo hip hop.
Nel 2017 Montone firma il primo contratto discografico con la Redland Music e pubblica i suoi primi progetti ufficiali, tra cui il singolo Hey Ma. Quindi rientra negli otto finalisti nazionali all’evento musicale Calabria Fest 2019 svoltosi a Lamezia Terme, in collaborazione con Rai Radio Tutta Italiana. Un palco importante calcato da Clementino, Dolcenera, Enrico Nigiotti e Chiara Galiazzo. La ciliegina sulla torta è il premio speciale dello sponsor.
Il tuo percorso musicale inizia con i Doppia Misura Family e in seguito intraprendi la carriera da solista. Raccontaci.
Ho iniziato circa dieci anni fa assieme a un amico appassionato di questo genere, all’epoca poco compreso in Italia, figurarsi in Calabria. Noi per gioco abbiamo iniziato a scrivere le prime canzoni e ci siamo esibiti in qualche locale del posto. Solo in un secondo momento si è unito a noi un terzo componente. Sono nati così i Doppia Misura Family, progetto che ha avuto un seguito anche a Milano. La sigla Dmf del mio nome d’arte è il ricordo degli inizi.
Da cosa deriva invece Pika?
Il nome Pika in dialetto vuol dire sbronza. Inizialmente era un nomignolo che non amavo molto e mi era stato dato quando ancora frequentavo le medie. Ma la migliore difesa era ignorare ogni provocazione. Quando ho iniziando a fare rap mi serviva un nome d’arte e quindi ho deciso di usare proprio il nome Pika per dimostrare a me stesso che posso essere forte e fare tutto.
Rifiutare la realtà, specie negli aspetti più crudi, porta necessariamente alla follia e alla violenza? Come rimediare?
Sicuramente il rifiuto può portare alla follia mentale e trovo comprensibile questo processo. La violenza non è mai giustificata ma alcune situazioni potrebbero scatenarla. Penso che la soluzione, oltre che affidarsi a dei professionisti, sia stare insieme alle persone care che il più delle volte sono un forte aiuto in alcune situazioni di forte debolezza.
Il tuo stile è legato all’hip-hop e al rap. Qual è la differenza con la trap? Come mai secondo te questo genere musicale ora spopola tra i giovani?
La trap è parente stretta del rap. In genere basi e testi sono molto ripetitivi. Ma alle volte non sono presenti rime e si mira solo agli effetti nel cantato. Questo genere è in voga tra i più giovani proprio perché è diretto ed esplicito come lo era il rap degli esordi. A me personalmente non mi fa impazzire. Ma dati i numeri ottenuti dai trapper è innegabile che ancora ne sentiremo parlare.
In Hey ma descrivi un sentimento profondo come quello di un figlio per la madre. È così difficile nel rap dar voce a questo tipo di sentimenti?
Bisogna capire quale strada si vuole prendere. Il rapper è sempre stata visto come un personaggio volgare, io ho voluto dimostrare che si possono fare belle canzoni anche senza volgarità. Ognuno si costruisce un suo personaggio e una sua credibilità. C’è chi preferisce parlare di droga, soldi e situazioni che magari non ha mai realmente vissuto, solo perché va di moda. Io preferisco parlare di cose che conosco e sentimenti veri. Quindi il mio personaggio non è altro che lo specchio delle mie emozioni.
La comunicazione secondo Malinowski mette in contatto le persone. Il tuo brano Maledetto potrebbe ricadere sotto questa definizione. Tu come inquadri questo verbo?
Nella canzone Maledetto parlo di me stesso, di un carattere forte che spinge a fare sempre fare di testa propria, anche quando c’è la consapevolezza di poter sbagliare tutto. A volte avere un carattere così forte può creare situazione particolari con le altre persone, sotto il piano lavorativo e personale. Perciò spesso non è proprio una benedizione. Penso sia meglio essere un maledetto che fa le cose di testa propria che fingere di essere ciò che non si è per piacere ad altri.
Quali sono i tuoi progetti futuri in un periodo così difficile per la musica?
Prima che esplodesse la pandemia lavoravo al mio disco. Non nego che starsene chiusi in casa tutti i giorni ha un po’ rallentato tutto. Erano previsti grossi eventi per l’estate insieme a nomi noti della musica italiana, che ovviamente sono slittati a data da definire. Però continuo a lavorare al mio disco ufficiale che spero di pubblicare in estate. Anche se vedo lontana la possibilità di portarlo a breve dal vivo.
(a cura di Fiorella Tarantino, foto di Serena Sapia)
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