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Musica contro le mafie, parla Gennaro De Rosa

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L’ideatore dello storico festival cosentino racconta dieci anni vissuti con impegno contro la criminalità organizzata e in nome della cultura. Fondamentale il rapporto con don Ciotti e Libera

Musica contro le mafie è un’associazione della rete di Libera che porta avanti da anni l’impegno contro le mafie, per la giustizia sociale e la tutela dei diritti.

Un’attività artistica e culturale di promozione della legalità. Non mancano iniziative solidaristiche, come la raccolta di fondi destinati ai soggetti svantaggiati, soprattutto giovani a rischio in realtà complesse e nelle periferie urbane.

Un primo piano di Gennaro De Rose con il logo di Libera

Nella città di Cosenza, l’associazione organizza una manifestazione annuale, composta da proiezioni di documentari, showcase, concerti, che culmina nel Premio Musica contro le mafie, giunto nel 2019 alla decima edizione.

Di queste e altre iniziative parla Gennaro De Rosa, il presidente dell’associazione, che vanta un padrino d’eccezione: don Luigi Ciotti di Libera.

La decima edizione di Musica contro le Mafie si è conclusa con un bilancio positivo. Raccontaci il dietro le quinte di un festival tanto impegnativo e pieno di nomi importanti. 

La cinque giorni di Musica contro le mafie è solo la parte conclusiva di un percorso ben più lungo. Partiamo a settembre con il lancio nel bando. Nell’ultima edizione si sono iscritti 512 artisti. Le finali si svolgono durante la cinque giorni, che è un contenitore di showcase, incontri e tanto altro. Il nostro obiettivo è attrarre i giovani per avvicinarli a contenuti più densi e importanti, come la lotta alla criminalità e la formazione civile. Ed infatti lo scorso anno abbiamo avuto un’utenza di più di 13mila ragazzi provenienti dalle scuole di tutta Italia.

Questo lavoro, come puoi immaginare, dura quasi un anno. Il percorso in questa decima edizione si è concluso con la premiazione a Casa Sanremo.

Ora stiamo lavorando alla prossima edizione. Il primo step di questo percorso organizzativo consiste nel confronto aperto con il nostro Comitato Scientifico sulle attività da svolgere e sugli ospiti da fare intervenire. Seguirà, una volta individuato un macro tema, la parte artistica vera e propria.

Trovo riduttivo definire Musica contro le mafie un festival, perché, oltre all’intrattenimento, consideriamo importante l’approfondimento dei temi a noi cari.

La fase creativa è poi quella più avvincente. Al riguardo, ho già una novità da segnalare: non appena finirà l’emergenza, lanceremo Sound Bocs, un progetto che si svolgerà a Cosenza nei Bocs Art, un quartiere creativo totalmente dedicato alle residenze artistiche. Quattro coach, insieme ad ospiti importanti del mondo della musica e non solo, accompagneranno dieci artisti, scelti attraverso una selezione online, in un percorso di formazione di due settimane. Gli artisti comporranno almeno un brano a testa che sarà inserito, attraverso un qr code, in un libro che raccoglierà anche un diario dell’esperienza personale di ogni partecipante. Questo nuovo strumento ci consentirà di coltivare buone idee e buone pratiche attraverso la musica.

Oggi la cultura è relegata ad un ruolo di comparsa. Come si può darle il ruolo che le spetta, cioè da protagonista attiva, nella quotidianità?

Me lo chiedo spesso. L’istruzione ha un ruolo importante, ci sarebbe bisogno di una scuola costruita più sui ragazzi e meno sui programmi da svolgere. Don Luigi Ciotti ci dice sempre: «È necessario conoscere per distinguere, distinguere per essere più responsabili e avere la capacità di scegliere da che parte stare». Dovremmo rendere la cultura e lo spirito critico che ne deriva i protagonisti di ogni scelta quotidiana, dall’acquisto di un libro, alla scelta di una trasmissione televisiva da seguire, fino addirittura alla scelta di un modello di smartphone rispetto ad un altro.

I giovani sono sempre il pubblico a cui si rivolgono le attività del Festival. Nel corso di dieci anni cosa è cambiato nelle diverse generazioni?

Nei cinque giorni ho poco contatto diretto con i ragazzi. Il cambiamento lo riesco a percepire nel momento in cui incontro i ragazzi durante i progetti realizzati con le scuole . Ed è un cambiamento positivo: i ragazzi di oggi hanno maggior dimestichezza con le tecnologie e capacità multitasking che noi non avevamo.

La città di Cosenza come risponde e come influenza la manifestazione?

Le scuole rispondono bene, ci sono dirigenti lungimiranti e aperti che ritengono progetti del genere utili per gli alunni. Altri pensano che incontrare un magistrato, un giornalista antimafia o un artista non sia interessante. Anche la città risponde bene: Cosenza è il centro culturale più in movimento della Calabria.

Quali sono i prossimi obiettivi dell’associazione? E come si è sviluppato il rapporto con don Ciotti?

Il rapporto con don Ciotti e l’associazione Libera nasce dopo due anni dalla prima edizione del Premio. Noi nasciamo a Casalecchio di Reno in Emilia Romagna e dopo due anni spostiamo il nostro centro in Calabria. Da lì il rapporto si è intensificato in maniera forte. Don Ciotti, nostro presidente onorario, dice che Musica contro le mafie è un’espressione di Libera, ed è vero. Crede molto nella cultura come veicolo per stimolare la responsabilità, la riflessione e la conoscenza nei giovani.

Un paradosso, che non è proprio piccolo: esiste una cultura musicale che, invece, si nutre dell’immaginario mafioso e a volte lo influenza. Pensiamo, ad esempio, alle polemiche recenti su molti artisti neomelodici. O, con uno sguardo al passato, al successo ottenuto dai cd dei canti della malavita, che qualche anno sono stati popolari in Calabria. O ancora, con uno sguardo più internazionale, alla musica dei narcos in Messico. Esiste una forte subcultura nella musica popolare che, in maniera più o meno indiretta, è contigua alla cosiddetta mentalità mafiosa? 

Il nostro Comitato Scientifico si avvale della competenza del professor Marcello Ravveduto, docente di Public History ed esperto di storia della criminalità organizzata che studia il ruolo cruciale di tutti i mass media nella costruzione dell’immaginario delle mafie. La musica è arte e in quanto tale deve esprimersi in modo libero. Più che ai neomelodici, in questo momento, si sta puntando l’attenzione su un genere più attuale come la Trap, che spesso veicola messaggi ambigui e a volte esplicitamente tesi a diffondere una cultura criminale.

Ritengo che non vada censurata nessuna espressione artistica, compresa questa, ma bisogna invece lavorare sulla capacità critica di chi ascolta, in questo caso i più giovani, affinché non si generi uno spirito di emulazione.

Che caratteristiche deve avere una produzione artistica per aiutare il contrasto alla mentalità mafiosa? 

Il nostro obiettivo è ricercare brani nel panorama musicale italiano che possano diffondere buone pratiche di contrasto alla mentalità mafiosa. La proposta positiva non è mai banale o noiosa, ma accattivante.

L’antimafia è stata a lungo un fenomeno ad alto livello di politicizzazione: quasi un argomento polemico da usare contro l’avversario politico. Questa matrice si è riversata anche nell’arte. Può esistere un’arte indipendente dalla politica e, ciononostante, capace di stimolare il contrasto alle mafie?

Io credo nella politica intesa nella sua accezione più alta di servizio per il bene comune.

Negli ultimi anni, coloro che hanno gestito la cosa pubblica non lo hanno fatto al servizio di tutti e spesso di sono appropriati indebitamente del termine-concetto legalità, usandolo in maniera inappropriata.

Con una una metafora, possiamo dire che la musica e la cultura sono integratori, ma per vincere la battaglia contro il morbo delle mafie c’è bisogno di antibiotici forti: le istituzioni fianco a fianco con la società civile chiamata a fare le scelte giuste e rendersi protagonista del cambiamento.

A tal proposito lo scorso anno abbiamo realizzato un progetto editoriale: Change your step-100 artisti, le parole del cambiamento. Abbiamo chiesto agli artisti tre parole chiave che per loro incarnano il cambiamento. Questo potrebbe essere un esempio concreto di come l’arte può contribuire alla creazione di un modello culturale da contrapporre a quello mafioso.

L’emergenza mafiosa ormai non riguarda solo il Sud. Una manifestazione simile a Musica contro le Mafia potrebbe funzionare anche a Roma o Milano? Raccontaci delle prime due edizioni svoltasi in Emilia Romagna.

Non credo esistano territori immuni dalle mafie come dimostrano, a ulteriore conferma, le recenti inchieste partite dalla Calabria e che si sono estese a tutto il territorio nazionale e sono andate oltre l’Italia.

La vocazione di una associazione come Musica contro le mafie non è legata a un singolo territorio ed è un modello che esportiamo continuamente.

Sono certo che la nostra manifestazione potrebbe funzionare in molte altre città, ma riteniamo importante che si svolga in Calabria, una delle regioni in cui ha avuto origine questa malapianta, perché proprio da questi territori è già partita una rivoluzione culturale in grado di estirparne le radici. 

(a cura di Fiorella Tarantino)

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