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Stay Around, un bel ricordo postumo di JJ Cale

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Il recente album di inediti rinverdisce il fascino della musica del papà del Tulsa Sound e autore della celebre Cocaine

Forse non è l’evento epocale della storia del blues. Ma di sicuro è un bel ricordo di un artista di prima grandezza.

Stay Around, uscito da poco per Because Records, è il quindicesimo album in studio di JJ Cale, chitarrista e cantante (ma sarebbe più opportuno definirlo autore) seminale nella storia del rock-blues contemporaneo e capofila del Tulsa Sound, scomparso sei anni fa. Alzi la mano chi non ha ascoltato neppure una volta la celeberrima Cocaine, magari nella versione cover del suo ammiratore Eric Clapton.

JJ Cale assieme a Eric Clapton

E alzi la mano il chitarrista che non si è dilettato a strimpellare il riff della citata superhit.

Stay Around è una raccolta postuma di inediti, curata da Christine Lakeland, moglie di Cale e a sua volta blueswoman provetta, e da Mike Kappus, manager e amico di una vita.

Ma ricordare non vuol dire speculare né imbastire operazioni furbesche (e un po’ necrofile): Stay Around è un album vero e ben curato a livello produttivo, a dispetto della copertina volutamente blasé, e riassume benissimo la peculiarità compositiva dell’artista.

Cale, infatti, era un grande accumulatore di materiali, componeva ad estro e lavorava le canzoni finché non le giudicava pronte. Quindi, per le canzoni quest’ultimo album valgono le stesse cose dette più volte per la produzione precedente: nessun pezzo riflette un momento specifico dell’evoluzione musicale dell’artista.

Tutti gli album del bluesman dell’Oklahoma sono fatti da canzoni composte in momenti diversi, che l’autore inseriva solo quando le giudicava pronte.

In pratica, JJ Cale ha passato tutta la vita a scrivere un unico grande album pubblicato a più riprese e, probabilmente, non ancora terminato.

Questo per dire che non abbiamo a che fare con i bootleg postumi con cui è stata profanata la memoria di molti grandi.

La copertina di Stay Around

Lights Down Low apre l’album con i riff suadenti e il cantato sussurrato tipici del Nostro, che si diverte qui e lì a infiorettare il ritmo strascicato con frasi slide.

Chasing You si segnala per il ritmo latino pieno di garbati riferimenti al tex mex, altra specialità del compianto chitarrista.

In Winter Snow affiorano i richiami al country, evocato dalla bella melodia vocale cantata a due voci.

Stay Around, la title track, è una bella ballad, acustica per ispirar dolcezza e melodia ed elettrica quel che basta per regalare qualche bella melodia. Piace immaginarla come un piccolo inno alla nostalgia.

Lo shuffle garbato di Tell You ’Bout Her è quel che serve per cantare di rimpianti galanti nelle spianate aride del Sud.

Oh My My ha tutta l’aria di una semplice demo: solo voce e chitarra per un rag gustosissimo, che fa rimpiangere di non avere la possibilità di ascoltare la canzone arrangiata come si deve.

JJ Cale assieme a sua moglie, la chitarrista Christine Lakeland

My Baby Blues, un southern blues torrido e notturno, è un regalo di Cale alla consorte, che è l’autrice del brano, Eppure l’interpretazione risulta così sentita e personalizzata da mettere in secondo piano l’identità dell’autore, a riprova che la storia del rock è fatta anche da interpreti che hanno vampirizzato alla grande le creazioni (e le identità artistiche) altrui.

Girl Of Mine è un esempio rovente di delta blues sporcato dal country quel che basta, giusto per ribadire che uno come Cale i cliché li rende a modo suo.

Go Downtown è un tex mex venatissimo di blues che non sfigurerebbe nella colonna sonora di un film del Robert Rodriguez vecchia maniera.

Con la minimale If We Try (un’altra demo per voce e chitarra) il sound vira di nuovo verso il western. Da ascoltare di notte davanti a un falò.

Tell Daddy è un jazz blues che evoca gli ambienti chiusi e fumosi del club vecchia maniera.

JJ Cale ed Eric Clapton in concerto in una foto di alcuni anni fa

A dispetto del titolo, Wish You Were Here non ha nulla a che fare con la psichedelia e il prog: è un altro bel country blues acustico e minimale tipico del Nostro.

Long About Sundown è un incrocio ben riuscito tra southern e rhytm & blues.

Gli influssi latin tornano prepotenti nella bella Maria, melodia da ballad e ritmo marcato per raccontare emozioni intimistiche (ma non troppo) sulla base degli insegnamenti dei migliori mariachi.

Chiude Don’t Call Me Joe un altro jazz blues carico di toni notturni e armonie ammiccanti.

A sei anni dalla scomparsa, JJ Cale ribadisce di aver qualcosa da dire anche dall’oltretomba, grazie all’affetto di chi lo ha amato in vita e a un carisma inversamente proporzionale alla sua personalità sfuggente e al suo carattere da orso.

Il Tulsa Sound vive ancora in chi lo sa ascoltare. E quest’album postumo è un’occasione irrinunciabile.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale di JJ Cale

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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