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Humanicide, il thrash senza nostalgie dei Dark Angel

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Undici canzoni durissime nel nuovo album della band di San Francisco, già punta di diamante del metal estremo della seconda metà degli anni ’80

Si può suonare thrash metal negli XXI secolo e restare credibili a distanza di quarant’anni dal boom del genere (tra l’altro praticamente abbandonato anche dai suoi padri fondatori)?

I californiani Death Angel ci provano e, pur senza troppa originalità, riescono a riproporre bene nel loro recentissimo Humanicide, pubblicato da Nuclear Blast alle porte dell’estate, i cliché del genere senza sembrare nostalgici.

I Death Angel

Il quintetto si ripresenta al pubblico a tre anni di distanza dal valido The Evil Divide con la formazione stabilizzata nel 2009, in cui restano dei membri fondatori il cantante Mark Osegueda e il chitarrista Rob Cavestany. Al loro fianco, continuano l’avventura della band, ricostituitasi nel 2001 dopo dieci anni di stop, il chitarrista Ted Aguilar, il bassista Damien Sisson e il batterista Will Carroll.

Il risultato di tanti sforzi e di tanta tenacia è ottimo: Humanicide, che si basa su un concept apocalittico, è un esempio convincente di come si possa tuttora suonare del buon thrash aggiornandone i suoni senza tradirne le coordinate stilistiche o, peggio, senza scadere nel già sentito.

La copertina di Humanicide

Proprio la title track, posta in apertura dell’album, conferma la determinazione del gruppo a riprendere la lezione degli anni ’80 senza sembrare vecchi: un’introduzione strumentale epica lancia una micidiale sequenza di riff dissonanti e cambi di tempo retti da una ritmica veloce e chirurgica, caratterizzata da un uso superbo della doppia cassa. Canonica anche l’interpretazione di Osegueda, che rifà (e bene) il verso al Tom Araya degli Slayer vecchia maniera (per capirci, quelli di Hell Awaits) ma con un’impostazione vocale decisamente più pulita.

A proposito di pulizia sonora, è obbligatorio il complimento alla produzione dell’eclettico Johan Suecof, a cui va il merito delle sonorità compatte e brillanti dell’album.

Violentissima anche la seguente Divine Defector, in cui i Death Angel incorporano alcuni elementi death, soprattutto negli stacchi cadenzati. Ma il contesto resta ultratrash ed è esasperato dalla performance del frontman, che ci dà dentro con le urla.

Canonicamente trash anche Aggressor, che è introdotta da un arpeggio acustico e si fa notare per il ritmo più cadenzato e qualche apertura melodica ben congegnata negli arrangiamenti.

Con la veloce I Came For Blood la band fa una sortita nell’hardcore punk in stile Suicidal Tendencies e cita un po’ i Motorhead nel riffing.

Decisamente più varia e moderna l’elaborata Immortal Behated, in cui il quintetto sconfina nel metalcore grazie al refrain più melodico.

Alive And Screamig è un raffinato esempio di trash postmoderno, in cui le sonorità violente si mescolano a citazioni industrial e a passaggi orientaleggianti.

The Pack, concepita per la dimensione live, è un omaggio ai fan dal tempo cadenzato e pieno di riferimenti palesi agli Anthrax.

Più spedita e violenta, Ghost Of Me è un’altra lezione di thrash contemporaneo, diretto nell’impatto sonoro e allo stesso tempo elaborato nell’arrangiamento.

Revelation Song è un crossover ben riuscito tra power e trash, grazie all’ottima combinazione tra il refrain melodico e le sfuriate ritmiche delle parti strumentali.

Chiusura al fulmicotone con la tostissima Of Rats And Men, violenta e varia allo stesso tempo e piena di interessanti spunti nell’arrangiamento.

Molto particolare la bonus track The Day I Walked Away, in cui i Death Angel mescolano citazioni new wave, sconfinamenti nel metal core e la consueta violenza trash. Un pezzo decisamente eclettico ed eterodosso, sia rispetto alla produzione tipica della band sia rispetto al resto dell’album e forse per questo è stato inserito fuori scaletta.

I Death Angel dal vivo

Gli anni ’80 sono lontani e per fortuna, loro e di chi li ascolta, i Death Angel lo hanno capito. Humanicide è un ottimo esempio di come sia possibile evolversi in piena coerenza con le proprie, non più attualissime, radici musicali e di come la coerenza non impedisca di sperimentare, anche all’interno di un genere dalle coordinate piuttosto rigide come il thrash.

Gli anni ’80 sono lontani, ripetiamo. Ma citarli non è sempre nostalgia e la nostalgia non è sempre canaglia. E allora, un bentornato alla band di San Francisco, che riesce a convincere e ad emozionare, con la capacità di far rivivere il passato senza sembrare il museo di sé stessa.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei Death Angel

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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