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Dal rock al pop passando per l’elettronica: un sardo sfida i Subsonica

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Con il suo secondo album “La Base”, Gianni Carboni riallaccia il filo della sperimentazione interrotta a fine anni ’90 dagli alfieri del pop rock elettronico tricolore

Ci vogliono coraggio ed energia anche per darsi al pop.

È il caso di Gianni Carboni, un giovane cantautore sassarese partito dal rock ma approdato di recente a una sorta di techno-pop con cui cerca di aggiornare la lezione impartita a suo tempo dai Subsonica.

Al riguardo, sorge spontanea una domanda: si può davvero innovare – e, se sì, in che misura – in un genere in cui è stato detto già molto senza perdere di vista l’aspetto mainstream, senza il quale non si può parlare di pop?

La copertina de “La base”

La base, il secondo album del giovane Carboni, preceduto dall’omonimo singolo uscito a settembre, è un tentativo generoso in questa direzione, in cui gli influssi rock del passato riescono a dare spessore alle sonorità prevalentemente elettroniche.

La lezione della band romana emerge con prepotenza sin dalla open track Percorsi incoerenti, in cui il Nostro interpreta bene un testo filosofeggiante su una base elettronica sincopata in cui un po’ di groove in più non avrebbe guastato.

Discorso in parte simile per La base, la title track, in cui la melodia pop sarebbe stata valorizzata meglio da un arrangiamento più arioso e meno minimale.

Con La città che non dorme mai l’album ingrana la marcia giusta: finalmente l’arrangiamento valorizza il brano, perché l’elettronica, usata con perizia e buongusto, dà spessore alla melodia e al testo a cui evitano scivoloni retorici, facili quando si maneggia una maniera sfuggente come il pop (detto altrimenti, senza elettronica, il pezzo somiglierebbe in maniera pericolosa a certe cose dei Pooh). Carino anche il piccolo solo di chitarra prima delle strofe finali.

Diario di un soldato è invece valorizzata dagli efficaci intermezzi di piano e archi che interagiscono bene con il refrain elettronico. Anche qui la sofisticatezza dell’arrangiamento evita che la canzone sembri il prodotto di un Jovanotti 2.0 de’ noartri.

L’approccio pop, l’ispirazione cantautorale e l’elettronica risultano in perfetto equilibrio nell’ottimo Underdog, un bell’esempio di music club sofisticata e sostenuta a livello intellettuale, in cui c’è spazio anche per una chitarra elettrica tosta nella parte finale.

La chitarra elettrica è in primo piano in Il rock è morto (?), grazie a un riff tosto ed essenziale e a un gran bell’assolo che fa capire che il Carboni chitarrista potrebbe dare moltissimo in un contesto davvero rock (e forse nelle sue mani il rock non sarebbe morto).

Evocativa grazie anche alle timbriche più cupe e profonde, Un bambino che sorride concilia bene il pop cantautorale con le inflessioni house del suond.

Una breve intro di chitarra pulita lancia Borderline, un piccolo zibaldone della poetica sonora dell’artista sardo, in cui sonorità elettriche ed elettroniche fanno da cornice a una melodia giocosa.

Vulcano Tascabile riporta il sound nelle coordinate dei Subsonica: gran tiro e ottimo groove. Forse un approccio più sporco non avrebbe guastato.

Oro Verde è il brano più impegnato dal punto di vista civile, con riferimenti espliciti alla mafia e alla droga. Non male l’impatto sonoro, in cui l’elettronica è avvolgente e inquietante allo stesso tempo.

Un bel crescendo epico su un ritmo sostenuto (pardon: un ritmo che pompa) caratterizza Accendo un c’ero, che sfocia in un assolo vagamente metal.

Ottima la lunga cover (dodici minuti di durata), di Message In A Bottle, il classicone dei Police, dilatato, rarefatto ed espanso fino a diventare una suite trance con influssi chill, ballabile quel che basta senza perdere le caratteristiche originali.

Notevole anche la conclusiva Dark Waves, composta ed eseguita assieme ad Andrea Manca, in cui la matrice rock emerge in tutta la sua pienezza.

Gianni Carboni

Ad ascolto concluso, si può consigliare senz’altro La base, in cui Carboni dà prova di ottime intuizioni musicali e di un songwriting fresco e mai banale.

Certo, di strada da fare ce n’è ancora perché l’amalgama sonoro tra elettricità ed elettronica sia davvero compiuto, ma il tratto finora percorso dall’artista sardo è quello giusto.

Buon ascolto.

Per saperne di più:

Il sito web di Gianni Carboni

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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