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Ambient e field recording da Siena

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Aldinucci: cinque cd in quattro anni per dimostrare che il rumore può diventare musica sublime

«New age io? Non amo troppo questa etichetta. Non tanto per l’espressione in sé ma per i significati di cui essa si è caricata negli anni». Come a dire: va bene etichettare i suoni, se proprio è necessario. Ma da qui ad appiccicare etichette esistenziali ed ideologiche ne corre.

Il senese Giulio Aldinucci a 36 anni ha accumulato una discografia consistente, basata su un unico concept sonoro, a metà tra l’ambient e, appunto, la new age. Con in più quel pizzico di sperimentazione che mescola in maniera creativa i suoni della natura con note dilatate.

Grazie a questa ricetta particolare, Aldinucci è riuscito ad imporsi in uno scenario internazionale. Ha iniziato giovanissimo e incide cd regolarmente dal 2012. Dopo cinque album, di cui due (Agoraphonia, assieme a Francesco Giannico, e Goccia) nel 2016, è arrivata la partecipazione a Solchi Sperimentali Italia, il doppio dvd curato dal critico fiorentino Antonello Cresti e dedicato alla scena underground italiana.

Com’è avvenuta questa partecipazione?

Beh, ho letto il libro di Antonello sulla scena sperimentale [Solchi Sperimentali Italia uscito nel 2015 per le edizioni Crac, Nda] e poi ho risposto alla chiamata lanciata su facebook per quest’iniziativa, che tra l’altro trovo molto importante perché, oltre ad offrire una vetrina a noi artisti, potrebbe dare uno stimolo forte e, magari, risvegliare la tradizione italiana di musica sperimentale.

Non trovi che ci sia una contraddizione particolare tra i due termini tradizione e sperimentazione?

Sì e no. Se la sperimentazione fosse episodica, composta da produzioni isolate, non ci sarebbe una tradizione, ma solo dei tentativi di superare un modo ordinario di fare musica. Ma gli sperimentatori, in Italia, sono stati tanti e si continua a sperimentare, come dimostra anche il successo di iniziative come quella di Antonello. Quindi mi permetto di fugare ogni dubbio. E sì, dico che la tradizione c’è.

Tu hai iniziato come musicista acustico.

Il mio primo strumento è stato il pianoforte ma il mio vero amore è la composizione, perciò sono passato al sintetizzatore.

L’etichetta new age, hai detto, non ti appartiene del tutto. E, ad ascoltare i tuoi brani, anche la definizione ambient ti sta stretta. Tu saresti in grado di definire la tua musica?

Quando si sperimenta, i generi sono dei punti di partenza e la sperimentazione consiste nel superarne le regole, anche nel caso tratta di generi piuttosto liberi: ad esempio, qualcuno sa dire quando una composizione cessa di essere ambient per diventare new age e viceversa?

Ma questo non vuol dire che chi faccia new age o ambient sia per forza di cose uno sperimentatore: questi due generi esistono da anni e hanno un loro corpus di regole ben definito.

Infatti, sperimentare non è quel che fai ma come lo fai. Tornando alla domanda, direi che la mia sia musica elettroacustica.

Però i confini tra parte elettronica e parte acustica risultano piuttosto labili per chi ti ascolta.

In realtà sono diventati labili i confini che consentono di dire che, al di qua, c’è un suono acustico, oltre, invece si ha un suono elettronico.

È un po’ complicato, come concetto.

Non direi. Se pensi all’impatto dell’informatica anche nel campo dei suoni sintetizzati, è facile capire come si sia spostata l’asticella su cui basiamo le nostre classificazioni ordinarie. Ad esempio, una chitarra elettrica, magari col distorsore a palla, una volta campionata diventa una fonte sonora acustica come tutte le altre. Questo per dire che considerare acustico tutto ciò che non è elettrico è un criterio superato.

A proposito di campionamenti: tu mescoli con molta abilità i rumori di fondo con le note e riesci ad ottenere un risultato di elevata musicalità.

Per me il field recording non è solo una raccolta di suoni, ma un altro strumento musicale che uso assieme al sintetizzatore. È una questione di approccio: c’è chi forza i suoni per oltrepassare la musica e chi, al contrario, usa i rumori per fare musica. In fondo, quest’ultima non è neppure una concezione nuovissima: i filosofi greci, in testa Pitagora, erano convinti che la natura non solo emettesse dei suoni ma avesse una propria musicalità. Io non so dire, ovviamente, quale delle due concezioni, quella che porta al noise la mia, sia la più valida. Dico solo che ognuno sperimenta a modo suo. Io ho cominciato tendendo al glitch e ho trovato valide molte idee degli Oval. Ma ripeto, è una questione di equazioni personali.

(a cura di Saverio Paletta)

Per saperne di più:

Il sito di Giulio Aldinucci

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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