Most read

Forever Warriors, il ritorno di Doro, la bionda valchiria del metal

Rate this post

La rock queen tedesca sforna un doppio album in cui esplora tutte le sfaccettature dell’universo metal. Tra le chicche, una cover di Caruso di Lucio Dalla e due omaggi a Lemmy

È tornata. E sembra quella di sempre, anche se gli anni passano pure per lei, la valchiria del metal: Sua Altezza Doro Pesch.

Galeotte furono le chiome bionde e l’aspetto longilineo, che ce la fecero sembrare la classica cavallona ai tempi dell’adolescenza, quando era l’icona dei Warlock, che allora promettevano fuoco e fiamme ma si dissolsero dopo cinque album, quando ormai non erano quasi più una band tedesca, ma una multinazionale del metal.

Doro Pesch e la sua band

A rivederla oggi, l’incanto un po’ sparisce, o forse no, perché a 54 anni suonati la Nostra si mantiene bene. Certo, il web, impietoso rivela che è alta solo 1,62. Non proprio l’altezza di una teutone pronta a dare la scalata all’Asgard. E allora, cambiando arte e latitudine, il paragone va a Salma Hayek, un’altra piccolina in grado di sembrare più alta di quel che è (ricordate Dal tramonto all’alba? Allora non eravamo più adolescenti, ma non ci accorgemmo lo stesso della vera statura fisica della star messicana). Ci sono donne capaci di sembrare, per la loro bellezza e per il loro carisma, più grandi di quel che sono.

Ma solo nel fisico, perché il talento, la bravura e la passione non si improvvisano. E Doro, è persino superfluo ribadirlo, canta con la stessa bravura con cui Salma recita. Ma con qualche difficoltà in più rispetto all’attrice: lei non ha dovuto interpretare la vamp o la bella, ma si è dovuta far largo a spallate nel metal, che oggi è pieno di cantantesse, ma allora, nei Roaring Eigthies, era il genere più maschilista.

Non solo: ha dovuto affrontare una carriera solista a dir poco accidentata e resa sdrucciolevole dal riflusso dei ’90 e dall’avanzata del grunge, che ha influenzato in negativo i migliori (i Queensryche, ad esempio) e ha ridimensionato la scena metal.

La copertina di Forever Warriors, Forever United

Una sopravvissuta? Proprio no. Semmai una guerriera, giunta col recentissimo Forever Warriors, Forever United, un doppio album uscito per la Nuclear Blast nel cuore d’agosto alla faccia di tutti i tormentoni, al tredicesimo album in studio come solista. E scusate se è poco.

Se non bastasse, aggiungiamo che la band che accompagna la Nostra in questa nuova avventura è affiatatissima e in gran tiro: il bassista Nick Douglas e il batterista Johnnny Dee, entrambi americani e fedeli compagni di avventura della valchiria sin dai primi ’90, e la coppia di chitarristi, l’olandese Bas Maas e l’italiano Luca Princiotta.

E non mancano gli amici e i fan di ieri, diventati star di oggi, ad omaggiare la guerriera.

Doro in azione sul palco

E lo fanno, eccome se lo fanno: in All For Metal, la canzone bandiera che inizia l’album e singolo apripista, sfilano Mile Petrozza dei Kreator, Johan Hegg degli Amon Amarth, Chuck Billy dei Testament, Warrel Dane, il compianto cantante dei Nevermore, Jeff Waters, il chitarrista leader degli Annihillator, l’ex Manowar Ross The Boss, l’ex Sodom Andy Brings, Rock’n Rolf dei Running Wild, i Sabaton al gran completo e, dulcis in fundo, Tommy Bolan, che militò nei Warlock di Triumph And Agony a fianco della biondona.

Il brano? Manco a dirlo, è il classico anthem da cantare sul palco assieme al pubblico, una specie di All We Are in versione riveduta e modernizzata. Banale? Forse sì. Ma la canteremmo tutti a squarciagola assieme a lei sotto il palco.

Riff serratissimo e tempo veloce con una bella doppia cassa in evidenza in Bastardos, un classico brano che riprende bene i cliché dello speed teutonico alla Accept.

If I Can’t Have You-No One Will è un’allucinante anti-ballad, cantata in duetto con Johan Hegg, che contrappunta col suo growl le urla acute di Doro.

Soldier Of Metal, invece, è una ballad vera dal sapore malinconico, con pianoforte e archi nelle parti più lente e consueto crescendo a base di chitarra.

Si ritorna ai ritmi cadenzati e ai cori da anthem con la tosta Turn It Up, in cui i due chitarristi duellano a suon di lick incendiari tra una strofa e l’altra.

Più spedita nei tempi, Blood, Sweat And Rock’n Roll, richiama i Warlock di Triumph And Agony: riff duro quel che basta, grandi cori e chitarre scatenate nella parte finale.

Don’t Break My Heart Again, ovvero: Doro rilegge gli Whitesnake in chiave metal, visto che il brano è una cover di un classico della band di David Coverdale. Asciutta ed essenziale l’interpretazione, in cui manca l’hammond e le chitarre si fanno più pesanti per compensare, notevole la prestazione della cantante che contrappone il suo timbro potente e, appunto, heavy a quello bluesy dell’originale vocalist britannico.

Doro Pesch in concerto

In Love’s Gone To Hell il sound diventa più moderno e dark: ottimo l’arrangiamento in cui le chitarre creano un tappeto ruvido agli arpeggi di pianoforte, sofferta e piena di pathos l’interpretazione.

Freunde Furs Leben è il brano in tedesco che non manca praticamente mai negli album di Doro. Inizio dolce, quasi in sordina, in cui la bionda cita Fur Immer, altro classico dei Warlock. Ma è solo una frase sussurrata, perché la canzone si sviluppa su un ritmo spedito carico di groove.

Backstage To Heaven è decisamente americaneggiante nell’andamento. E la Nostra osa di più: non solo si produce in un coro radiofonico, che rimanda ai primi album solisti prodotti da Gene Simmons, l’eminenza grigia dei Kiss, ma ospita l’attore e jazzista Helge Schneider, che che dà un tocco originale al pezzo coi suoi assoli di sax.

Be Strong è la prima delle tre bonus track del primo cd: un hard rock grintoso dal refrain accattivante e ruffiano.

In Black Ballad, un lento elettroacustico, riemerge la Doro più dark e intimista. Bello l’arrangiamento, che risulta più minimale rispetto agli standard dell’album.

Con Bring My Hero Back Home Again siamo addirittura fuori dal metal: è una ballata epica acustica che evoca scenari celtici. Buona la prova della cantante, a suo agio anche fuori dalle consuete atmosfere rock.

Il secondo disco riparte col botto: Résistance è un brano heavy essenziale, tirato e diretto, in cui Doro civetta pronunciando il titolo alla francese.

Lift Me Up è un lento dalla melodia sognante con un crescendo cadenzato, l’ideale per valorizzare le doti canore della bionda (che riesce a essere romantica senza scadere nella melassa) e per allentare la tensione dell’album.

Heartbroken rialza il livello sonoro con un riffing come si deve su un tempo cadenzato. A impreziosire il tutto, l’assolo tiratissimo e virtuosistico dell’ospite Doug Aldrich, già sodale di Sua Maestà Ronnie James Dio e membro degli Whitesnake e ora in forza nei The Dead Daisies.

Altro brano, altro scenario sonoro: It Cuts So Deep è una ballad ottantiana, che parte acustica, con piano e tappeti di synth, e poi esplode a metà.

Un’altra posa con la band

Love Is A Sin è un hard rock tosto e (volutamente) un po’ pacchiano, dal coro pop, con una voce narrante maschile e tastierone retrò in primo piano.

Living Life To The Fullest è l’omaggio sentitissimo e toccante al compianto Lemmy dei Motorhead, amico e mentore di Doro. Cosa curiosa, il brano è heavy ma non nello stile della band britannica. Una chicca: nella battuta finale della canzone appare la voce campionata dello scomparso bassista che fa una battuta e ridacchia.

Dalla nostalgia alla malinconia il passo è breve. Doro lo compie con 1.000 Years, una ballad dall’andamento circolare, che parte in acustico (chitarra e violoncello), cresce sul classico tappeto d’archi fino alla parte elettrica che culmina nel rituale assolo di chitarra e poi torna acustico. Belli i cambi di atmosfera che rendono il pezzo vario. Troppi lenti nel disco? Può darsi, ma se non li fa Doro che è una femminuccia, chi li fa?

Un’altra posa sul palco

Con Fight Through The Fire si ritorna all’heavy metal: ritmo spedito, riff duri, cambi di tempo e linea melodica graffiante. Serve altro?

Lost In The Ozone, è il secondo omaggio a Lemmy. Stavolta è la cover del classico dei Motorhead contenuto in Bastards. Carino l’assolo di basso con cui Douglas parafrasa lo stile della scomparsa icona del metal.

Fin qui la tracklist ufficiale di Forever Warriors, Forever United, a cui vanno aggiunte altre tre bonus track.

La prima è Caruso, la singolare cover del classico di Lucio Dalla. Al riguardo, l’aggettivo adatto è: simpatica. Per fortuna Doro ha resistito alla tentazione di metallizzare il brano e si è limitata ad aggiungere qualche spennellata rock e qualche chitarra qui e lì. Ma non in maniera tale da snaturare il brano. Certo, il cantato crucco della nostra, pieno di vocali aperte e consonanti marcati (irresistibili le r arrotate) fa sorridere. Ma, dopo aver sentito questa canzone storpiata sino alla nausea in tutte le possibili sagre di paese da improbabili cantantesse, ben venga la versione della nostra metallara, che come tutte le tedesche ha un cuore sensibile ai richiami latini…

Tra Como e Coriovallum è uno strumentale in cui le chitarre di Maas e Princiotta duellano su una base di tastiera.

Chiude Metal Is My Alcohol, un divertissment rock ’n roll in cui la cantante fa l’ennesima dichiarazione d’amore al genere a cui ha dedicato trentacinque anni di carriera, in definitiva la vita.

Doro ancora in azione

Ambizioso, stracarico di sonorità e arrangiamenti, Forever Warriors, Forever United è un album di metal genuino, in cui Doro ripropone ai suoi fan e, più in generale, al mondo del metal, tutto lo spettro sonoro della propria avventura musicale.

È un tuffo negli anni ’80, diretto e senza troppe raffinatezze. Forse, l’album doppio risulta un po’ barocco per le nuove generazioni, abituate ad affrontare la lunga durata solo in presenza di un concept oppure di sofisticati arrangiamenti strumentali.

Ma tant’è: il metal, quello vero, è questo e la Nostra ne ha voluto proporre una specie di dizionario enciclopedico su pentagramma. Prendere o lasciare. E di fronte alla coerenza di Doro lasciare è difficilissimo.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale di Doro Pesch

Da ascoltare (e da vedere):

 14,356 total views,  2 views today

Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

Comments

Be the first to comment on this article

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Go to TOP