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Free, Iggy Pop si dà al jazz (per ora…)

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Potrebbe essere l’ultimo album dell’iconica rockstar, che molla le sue tradizionali sonorità per dedicarsi a sonorità sperimentali e ambient. Un esperimento interessante di un artista che non deve più dimostrare nulla

Su Free, l’ultima iperprovocatoria fatica di Iggy Pop, uscita in autunno per la Caroline, si è letto di tutto e di più.

Ad esempio, si è appreso il parallelo con Blackstar, il canto del cigno dell’amico e maestro David Bowie, che si tuffò in atmosfere jazzate prima di andarsene.

Iggy Pop a dispetto degli anni che passano

Poi si è letto che in realtà l’ultimo album dell’Iguana sarebbe dovuto essere il (meritatamente) celebrato Post Pop Depression.

Non è mancato, inoltre, chi ha alluso alla stanchezza della celebre rockstar, che forse non ce la fa più, a settantadue anni suonati, a salire sul palco a torso nudo e cantare I Wanna Be Your Dog e Passenger a squarciagola, a tacere del fatto che anche la chioma bionda non è più quella di una volta.

Ed ecco che Iggy si sarebbe dato al jazz perché non ce l’avrebbe fatta più a essere la rockstar-simbolo di sempre e perciò avrebbe ripreso alcune intuizioni del passato (Avenue B e Préliminaires) e le avrebbe portate alle estreme conseguenze, ché tanto i critici radical chic pronti ad applaudire e cesellare non mancano mai.

Infine, anche il Nostro ci ha messo del suo con la consueta dichiarazione megalomane, puntualmente ripresa dalla stampa mainstream:

«Volevo essere libero. So che è un’illusione, e che la libertà è solo qualcosa che senti tu, ma ho vissuto la mia vita fino ad ora con la convinzione che quella sensazione è tutto ciò che vale la pena inseguire; tutto ciò di cui hai bisogno – non per forza felicità e amore, ma la sensazione di essere liberi».

Tutto vero. O meglio, è vero anche questo, perché i critici a furia di criticare azzeccano persino qualcosa.

La copertina di Free

Ma forse la sostanza della verità è un’altra, con tutta probabilità più aderente a un personaggio davvero fuori le righe come l’attempato padrino del punk.

E cioè che Free non è altro che il divertissment decisamente fuori genere di una rockstar ormai a fine carriera che rinvia la pensione a botte di trovate più o meno originali. E che c’è di più originale che trasgredire la propria trasgressività reinterpretando roba jazz, melodica, latin ecc, in pratica tutto ciò contro cui è nato il messaggio rock più genuino?

Detto questo, Free si fa ascoltare con piacere, perché c’è tutto ciò che Iggy Pop in fondo non è mai stato: colto (non basta frequentare rockstar colte come Bowie o Lou Reed e vampirizzarli qui e lì per farsi una cultura), elegante (in smoking Pop è più ridicolo che seminudo coi pettorali flaccidi) e realmente ironico (non confondiamo l’ironia con l’autoironia, che è poi l’ironia di chi si prende troppo sul serio).

Ma tutte queste cose l’anziano sex symbol le fa a modo suo. Ed è questa l’arma vincente dell’album che forse è l’ultimo finché non uscirà il successivo.

Quando ci sono la fama e i quattrini non si lesina sui mezzi. E Iggy Pop si è affidato a due artisti di prima grandezza per compiere al meglio quest’ultima bravata: la bella e brava Sarah Lipstate, più conosciuta come Noveller, chitarrista d’avanguardia di una certa bravura, e il fiatista jazz Leron Thomas.

La brava e fascinosa Noveller, al secolo Sarah Lipstate

Il tutto, ben eseguito e amalgamato da una band all’altezza, composta dai chitarristi Aaron Nevezie e Gregoire Fauque, dal bassista Kenny Ruby e dal batterista Tito Brandalise.

I numeri per fare bene ci sono. E che numeri.

«I wanna be free», declama Iggy col suo vocione in Free, la title track posta in apertura dell’album. Un gioiellino minimalista costruito su un tappeto di fiati su cui Thomas si diverte a lanciare fraseggi davisiani con la sua tromba.

Si entra subito nel vivo dell’Iggy postcontemporaneo con la solenne Loves Missing, in cui il Nostro si diletta con timbriche da crooner e accenti ieratici. L’arrangiamento è a dir poco particolare (e infatti si fa prima ad ascoltare il pezzo che a descriverlo): base rock vagamente anni ’60, con chitarre twang e frasi jazzate dei fiati. Mica male come attacco.

I tempi dispari e le atmosfere dilatate di Sonali proiettano Iggy in una dimensione ambient impreziosita dai giochi sperimentali della ritmica che conciliano minimalismo e intensità espressiva.

James Bond è un divertissment garbatamente autoironico. È l’ideale satira su pentagramma del mito cinematografico della celebre spia di celluloide. Il giro di basso ossessivo e l’arrangiamento minimale e ipnotico rendono il pezzo suggestivo e fascinoso. Decisamente qualcosa di più di un bel singolo orecchiabile.

Ma la satira raggiunge l’apice nella deliziosa Dirty Sanchez, una critica alla nuova mercificazione del sesso creata dalla pornografia online declinata sulle note sguaiate di un mariachi rivisto e scorretto in chiave jazzistica e combinato con un crescendo rock dal ritmo tribale.

Leron Thomas

Glow In The Dark è un simpatico pastiche giocato tra ambient e free jazz, in cui Iggy si diverte solo a canticchiare con quella timbrica da crooner che gli riesce bene non appena scorda di essere un rocker i versi iniziali.

Dolcissima e profonda, Page è un altro esempio da manuale sui risultati (ottimi) che si possono ottenere mescolando l’ambient con melodie retrò dal retrogusto hollywoodiano.

Con We Are The People si entra nella parte finale (e più intellettuale) dell’album. Il brano non è altro che una poesia del compianto Lou Reed recitata da Pop con intensità rara su una base ambient-jazz.

La base strumentale diventa ancor più minimale in Do Not Go Gentle Into That Good Night, in cui stavolta la rockstar recita i versi dell’omonima poesia di Dylan Thomas.

Chiude la suggestiva The Dawn, con tutto il sapore di un auspicio. Di sicuro è l’alba (The Dawn, appunto) di un album dai colori notturni. Ma è anche un messaggio sottotraccia: Free, pensato, scritto e interpretato con la leggerezza e il disincanto di un artista a fine carriera che non ha più nulla da dimostrare, potrebbe non essere l’ultimo album di Iggy Pop,

L’augurio di un ritorno, che magari potrebbe non essere più rock. E, a dirla tutta, non dispiacerebbe, perché questo Iggy Pop 4.0 è davvero una sorpresa gradevole.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale di Iggy Pop

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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