Disobey, un esordio col botto per i Bad Wolves
Tredici brani al fulmicotone per la superband americana reduce dal disco di platino grazie alla cover di Zombie
No, i Bad Wolves non sono solo quelli che hanno spaccato con la bella cover di Zombie, a cui, come raccontano tutti i media specializzati, avrebbe dovuto partecipare Dolores O’Riordan.
La storia ha voluto altrimenti: la brava e fascinosa cantante irlandese è morta due settimane prima di mettersi davanti al microfono e la band americana ha inciso comunque la cover, tra l’altro eseguita e interpretata benissimo, che ha ottenuto il disco di platino.
I Bad Wolves, non sono né una cover band né, tantomeno, one-hit musicians e la coincidenza tra l’uscita del rifacimento del superclassico dei Cranberries e la scomparsa della O’Riordan è stata solo una tragica coincidenza.
Lo dimostra l’alta qualità di Disobey, l’album d’esordio del quintetto, pubblicato da Eleven Seven Music: tredici brani eseguiti con impeccabile maestria e valorizzati dalla produzione nitida, al limite del radiofonico, che oscillano tra il metalcore, il nu metal e l’hard rock.
Le premesse per fare bene c’erano tutte, perché i Bad Wolves sono il classico supergruppo creato da musicisti di esperienza più che provata: il cantante Tommy Vext, proveniente dai Westfield Massacre e con alle spalle una lunga militanza nei Divine Heresy, il chitarrista solista Doc Coyle, già nei God Forbid, il chitarrista ritmico Chris Cain, ex dei Bury Your Dead e dei For The Fallen Dreams, il bassista Kyle Konkiel, già nei In This Moment e nei Vimic, e John Bocklin, lo storico batterista dei Devil Driver. Con questi popò di curricula poteva uscire una ciofeca?
Certo che no. E lo ribadisce subito la durissima Officer Down, che apre l’album con un riffing serratissimo in stile djent, in cui Vext dà prova di un camaleontismo vocale non indifferente, passando dallo scream al cantato pulito con grande scioltezza. Notevole anche l’assolo di Coyle, che cita i classici del power-speed senza eccedere. Il tema, manco a dirlo, è di protesta: un j’accuse contro gli abusi delle forze dell’ordine Usa.
Sulle stesse coordinate la seguente Learn To Live, che però si snoda su tempi più cadenzati, con un eccellente lavoro alla doppia cassa di Bocklin. Il risultato è a metà strada tra gli Slipknot e i System Of A Dawn.
No Masters ha una piega melodica più marcata e si basa su soluzioni new metal, dal riffing alle soluzioni armoniche, non originalissime ma neppure banali.
E veniamo al superhit Zombie: a prescindere dalla tragica coincidenza, che dà all’iniziativa un retrogusto un po’ necrofilo, c’è da dire che la cover è riuscitissima: anziché inseguire i Cranberries e snaturarsi, i Bad Wolves personalizzano il brano con efficaci (e non eccessive) coloriture metal. Superba la prestazione di Vext e ottimo l’assolo con cui Coyle arricchisce la canzone.
Con Run For Your Live la band torna ai suoi standard stilistici: di nuovo un brano tosto, vario e ultradinamico, carico di cambi di tempo e con un approccio melodico interessante.
Più ariosa e meno pesante (parlare di leggerezza sarebbe troppo) Remember When, dimostra come il metal duro dei Bad Wolves sia capace di un approccio più orecchiabile senza scadere nel pacchiano.
Better Than Devil riassesta la formula sonora sullo schema abituale: cambi di tempo e alternanze tra screaming e voce pulita, con un arrangiamento sofisticato delle chitarre che fa la differenza.
Tempi dispari e riff saltellanti su un giro di basso distorto in Jesus Slaves, dove i Nostri alternano melodie aggressive e sfuriate scream.
Hear Me Now è l’altro brano melodico dell’album, se si vuole l’unico della band, visto che l’altro è una cover, a cui partecipa come corista la fascinosa Diamante, metal queen dai capelli turchini.
Epica e ariosa, Truth Or Dare rivela l’aspetto più radiofonico del gruppo. Intendiamoci, l’ammorbidimento non è eccessivo, anche se c’è: il brano non sfigurerebbe nelle tracklist più pesanti di Virgin Radio.
Simile nell’approccio The Conversation, che però spezza non poco con un’impennata veloce a metà brano.
Le citazioni progressive abbondano invece in Shape Shifter, dove la band dà fondo al proprio repertorio per non farsi mancare nulla, dai controtempi alle parti più violente.
Toast To The Ghost chiude la sarabanda nel segno dell’estrema varietà che è il vero marchio dop della band.
Disobey, in definitiva, è un ottimo esordio, che mantiene tutte le promesse senza cedimenti e tentennamenti, neppure nei momenti più melodici e meno duri (soft è un aggettivo estraneo al vocabolario dei Bad Wolves). Successo pienamente meritato dalla band, che grazie a Zombie ha preso già un disco di platino. C’è da sperare che questi risultati incoraggino i cinque americani a darci dentro. Chissà che la rigenerazione della scena metal non passi anche attraverso le loro scelte future…
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Bad Wolves
Da ascoltare (e da vedere):
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