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Muore Geoff Nicholls, il tastierista ombra dei Black Sabbath

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Termina con un tumore un’esistenza artistica vissuta dietro a un palco e sempre a un passo da una gloria mai raggiunta

Se n’è andato in punta di piedi, probabilmente con molto dolore, visto che la sua morte, avvenuta lo scorso sabato, è dovuta a un carcinoma polmonare.

Geoff Nicholls, 68 anni, ha attraversato la grande stagione del rock, tra i ’70 e l’inizio del millennio, senza tuttavia raggiungere la vera fama.

L’apice della sua carriera è stata l’ufficializzazione nei Black Sabbath, avvenuta nel 1984, durante il tour dell’album Born Again, a cui aveva partecipato come turnista in studio. Inutile dire che, cometa pervicace del rock (collaborava con i Sabbath sin dai tempi di Never Say Die, l’ultimo album storico con Ozzy Osbourne e aveva contribuito con le sue tastiere ai successivi tre album della band di Birmingham con Ronnie James Dio), Nicholls fu schiacciato dalle stelle: il palco, su cui poté mettere piede dopo anni in cui era costretto a suonare dietro le quinte, era preso comunque da Ian Gillan l’ex frontman dei Deep Purple.

Né gli andò meglio con Senventh Star (1986), l’album più sottovalutato dei Black Sabbath e il primo in cui l’apporto delle tastiere era diventato determinante: durante il disastroso tour che ne seguì tenne bene il palco e, addirittura, cantò, per aiutare l’altro ex Deep Purple Glen Hughes, che aveva gravi problemi alle corde vocali dovuti a una colluttazione col manager dei Sabbath. Ma la tournee finì anzitempo e addio sogni di gloria.

Dal successivo The Eternal Idol (1988) e fino al 2000 Nicholls visse il paradosso di essere assieme al chitarrista e leader Tony Iommi l’unico vecchio Sabbath in una formazione completamente rinnovata. Iniziava la cosiddetta era Martin, dal nome, appunto, del cantante Tony Martin, un’altra star mancata nonostante le eccellenti doti vocali e la buona presenza sul palco.

L’apporto di Nicholls a questi nuovi Sabbath fu determinante: tra le opposte direzioni del pop metal e del trash, offerte dal mercato dell’epoca, il quintetto di Birmingham optò per un hard rock tradizionale, caratterizzato da una maggiore presenza dei sintetizzatori. Le tastiere, finalmente, erano in prima fila, sebbene il Nostro non ebbe mai l’onore di un assolo. Di più: per riempire il sound sul palco, Nicholls si adattò a suonare anche la chitarra, il suo secondo strumento, e il basso in alcuni brani.

Ciò, tuttavia, non gli valse un ruolo sicuro. Accantonato in occasione di Dehumanizer, (1991) l’album che segnò il ritorno di Ronnie James Dio e della formazione classica di The Mob Rules (1982), il tastierista rientrò con il successivo Tyr e rimase in formazione fino al 2000, quando, sull’onda della nostalgia per l’hard rock classico e per i suoi protagonisti storici, Iommi chiuse l’era Martin e avviò la doppia reunion degli Heaven and Hell (i Black Sabbath dell’era Dio) e dei Sabbath storici, con Ozzy Osbourne dietro il microfono. Il ruolo di tastierista dietro le quinte toccò ad Adam Wakeman (il figlio di Rick, il mitico keybord wizard degli Yes) e per il vecchio Nicholls non ci fu più posto sui palchi che contano.

Un personaggio di secondo piano che, probabilmente, sarebbe stato un testimone di prima grandezza se la stampa musicale gli avesse dato più spazi.

Forse Nicholls (come, del resto, Tony Martin) avrebbe meritato di più. Quando arrivò nei Black Sabbath aveva alle spalle una gavetta solida, iniziata sui palchi della sua Birmingham nei The World of Oz, una formazione psichedelica dei tardi anni ’60, e proseguita nei Quartz, altra misconosciuta metal band dei ’70, che sfiorò la gloria a fine decennio all’inizio della cosiddetta Nwobhm (New wave of british heavy metal).

Stritolato tra le vecchie star e i giovani leoni di una scena che richiedeva sempre più eccessi, musicali e di immagine, Nicholls è stato un musicista serio e onesto che forse ha solo mancato il suo momento.

Per lui solo le frasi di addio degli ex membri dei Black Sabbath e qualche ricordo fugace sulle webzine specializzate. Anche in questo caso, qualcosa di più per uno come lui non sarebbe stata di troppo.

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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