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Romantico e minimale: il ritorno di PJ Harvey

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Dieci tracce dai suoni rarefatti e dalle tematiche oniriche in I Inside The Old Year Dying, il nuovo album dell’artista inglese

Quando tornano in azione big come PJ Harvey, non ci sono storie: gli elogi sono quasi un obbligo, gli intellettualismi ancora di più.

È capitato puntualmente per I Inside The Old Year Dying (Partisan 2023), l’ultima fatica dell’artista inglese, uscita nel cuore dell’estate appena conclusa.

Infatti, la stampa specializzata, soprattutto italiana, ha accolto l’album, il decimo dell’artista, con la consueta selva di applausi e con recensioni più letterarie che musicali.

Il perché è presto detto: I Inside The Old Year Dying, che interrompe un silenzio discografico durato sette anni, si ispira Orlam (2022), un romanzo surreale in versi della cantautrice, scritto nel dialetto del Dorset e carico di suggestioni oniriche.

Questo parallelo letterario permette di definire un po’ meglio I Inside…Che, innanzitutto, è un originale concept album, giocato su immagini e figure (o sarebbe meglio dire personaggi) che ritornano tra un brano e l’altro. E, soprattutto, si basa sul concetto di anno, che è una figura circolare.

PJ Harvey con una copia di Orlam, il suo poema

Poi, a voler parlare (finalmente) di musica, è un disco particolare, nient’affatto rock. Al riguardo, le definizioni si sono sprecate: folk rock, art rock, post punk. In realtà, è più folk e art che rock e più post che punk. È PJ Harvey senza il rock. Più poesia che musica, visto l’estremo minimalismo delle scelte sonore dell’artista, che conferma una volta di più la sua vocazione di anti star a dispetto di trent’anni di successi mainstream.

PJ Harvey: un’artista che spiazza sempre

PJ Harvey ha una capacità unica di spiazzare gli ascoltatori e i fan più affezionati. Non fa mai lo stesso album né la stessa canzone. In parole povere: non ha mai seguito un percorso lineare all’interno dei generi che ha interpretato nella sua lunga carriera.

Si è parlato Orlam come ispirazione di I Inside… È il caso di dire qualche parola di più al riguardo per capire meglio l’album.

Il poema racconta le avventure di Ira-Abel Rawles, una bimba di nove anni protetta dall’agnello e innamorata di Wyman-Elvis, il fantasma di un soldato della guerra civile inglese, incontrato nell’immaginaria foresta di Gore.

C’è il sogno, c’è la poesia, c’è la suggestione romantica.

E Harvey, grazie all’aiuto dei suoi sodali di sempre (Flood e John Parrish) e di Rob Kirwan, ha trovato il modo di mettere in musica queste immagini.

Dodici perle minimali, scritte in tre settimane e registrate ai Battery Studios di Londra in presa diretta, quando nessuno se l’aspettava. La britannica spiazza. Eccome.

La copertina di I Inside The Old Year Dying

Dodici gradini nel sogno di PJ Harvey

I suoni dell’immaginaria Gore, evocati col field recording, sfumano rapidamente nella sequenza di un sintetizzatore. È l’attacco ultra rarefatto dell’open track Prayer At The Gate.

La voce di PJ è un falsetto stentoreo che vibra con tristezza sul delicato tappeto sonoro, che termina

 nei rumori da cui è partito.

Più dinamica, Autumn Term è una specie di danza con le percussioni in evidenza e un elementare fingerpicking di chitarra, su cui si innestano il synth e timidi accordi del piano elettrico. È un brano circolare, che sfuma in altro field recording (stavolta, le voci di bambini)

Ira-Abel è la protagonista di Lwonesome Tonight, che parla di Wyman-Elvis con una citazione presleyana (Are You Lonesome Tonight…) più riferimenti al Vangelo Secondo Giovanni. Il tutto, su una base di percussioni e fingerpicking.

Più consistente a livello sonoro, Seem An I si distingue per l’andamento vagamente jazzato, i synth carichi di eco e i cori sovraincisi. Un modo come un altro per restituire all’elettronica e alla postmodernità i suoi diritti in un contesto folk.

Un leggero accenno di psichedelia emerge nell’ipnotica The Nether-Edge, altro brano dalla struttura circolare che poggia su un tappeto sonoro rarefatto e percussivo allo stesso tempo.

I Inside The Old Year Dying, la title track, è un country stralunato, che poggia su una trama di chitarra elementare (ai limiti della strimpellata da falò, per capirci), colorata da synth e tastiere dal sapore vagamente retrò.

PJ Harvey in concerto a Mosca

Minimalissima e inquietante, All Souls si muove su una sequenza di due accordi di synth dall’effetto gotico.

L’atmosfera si alleggerisce in A Child’s Question, August, tra l’altro singolo apripista, in cui Harvey duetta con Ben Whishaw, celebrità del cinema e teatro britannici.

Altro brano altro duetto: stavolta con l’attore Colin Morgan che partecipa a I Inside The Old I Dying, un country arioso ma più algido rispetto alla quasi omonima title track.

Sognante ed eterea, August strizza l’occhio a certa new age e si segnala per l’arrangiamento decostruito, in cui la traccia di chitarra è ridotta a una serie di riverberi frammentari.

John Parrish si ritaglia un cameo in a Child’s Question, July, una filastrocca inquietante dai toni sulfurei.

A Noisless Noise chiude l’album nel segno della sperimentazione: delicati fingerpicking e arpeggi si alternano a distorsioni pesantissime, prossime al noise industrial. Un continuo saliscendi che termina inghiottito da suoni bucolici campionati simili a quelli usati in apertura.

Giusto per ribadire la circolarità sottesa al concetto di anno.

Ancora PJ Harvey in azione sul palco

Uno strano ritorno

PJ Harvey, s’è detto, non fa mai lo stesso album e la stessa canzone. Ciò vale a maggior ragione per I Inside The Old Year Dying, che cambia del tutto registro rispetto al precedente The Hope Six Demolition Project (Island 2016), pieno di indignazione e di messaggi sociali.

Ma cambiare registro non vuol dire fare l’opposto di quel che si è realizzato in precedenza. Bensì qualcosa di diverso e inaspettato.

Quindi, tornando ad Harvey, non un prevedibile riflusso nell’intimismo, ma la vera e propria fuga nel sogno di I Inside…

Certo, tanto minimalismo alla fine risulta disturbante. E non è detto che la dimensione onirica risulti alla fine piacevole, specie se comparata alle tematiche sociali.

Ma fa niente: PJ, a 53 anni d’età e 30 di carriera, può permettersi il lusso di questi e altri esperimenti. E, alla fine dei conti, le auguriamo di farne molti altri coronati da successo.

Già: se un’artista non per tutti continua a piacere a molti è un buon segno. O no?

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale di PJ Harvey

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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