Welfare Jazz, il caleidoscopio sonoro dei Viagra Boys
L’ultimo album della trasgressiva band svedese supera i confini del post punk e si spinge verso il country, il synth pop e la dance con energia e creatività
Più che un titolo è una battuta: così, almeno, il frontman e chitarrista Sebastian Murphy racconta l’idea da cui è nato Welfare Jazz, l’ultimo album degli svedesi Viagra Boys, uscito lo scorso inverno per la Year0001 Records.
Già, a sentir lui e i suoi compari, i musicisti jazz sarebbero gli unici ad aver bisogno dei sussidi di Stato perché nessuno paga per vederli in concerto. Non sappiamo se le cose stiano davvero così. In compenso, abbiamo la certezza che, scherzi e ironia a parte, Welfare Jazz è un album notevole.
Anche in questo album i Viagra Boys confermano la loro formazione, costituita, oltre che dal menzionato Murphy, dal bassista Henrik Benke Hӧckert, dal batterista Tor Sjӧdén, dal fiatista Oskar Karls e dal tastierista Konie.
Veniamo al disco, di cui tutti i critici hanno sottolineato l’estrema varietà stilistica: infatti, non si può fare a meno di notare l’abilità e la versatilità con cui il quintetto passa dal punk al rhythm and blues passando per il country rock, con puntate nel synth pop e nella dance.
Apre come un bolide Ain’t Nice, in cui la voce sfrontata di Murphy racconta una passeggiata inquietante per le strade di Stoccolma, tra i tappeti del synth su cui spicca il sassofono di Oskar Carls.
Quest’ultimo è protagonista del breve interludio, appena 30 secondi, Cold Play, tutto giocato sui suoni ruvidi e incisivi sel sax.
Segue la più morbida Toad, in cui con voce pacata il frontman racconta di una lite e di una relazione che vacilla, nella cornice di un sinuoso rhythm and blues.
This Old Dog risuona dura e severa: è una sorta di filastrocca concepita per incutere timore. E non a caso, il cane, protagonista della canzone, appare come un guardiano, una spia.
Into The Sun è graffiante e diretta, col basso di Höckert che fa la parte del leone sulle armonie malinconiche tessute dai sintetizzatori.
Una intro più leggera dà il via a Creatures, che racconta attraverso una metafora (la vita sott’acqua) la dipendenza dalle droghe, che generano una specie di esistenza parallela. Il tutto calato in sonorità elettroniche e ritmi dance.
Poche parole e tanto spazio alla musica in 6 Shooter, un punk irruento che si chiude con le frasi di un sassofono, che completano il talking di Murphy.
Best In Show II è il sequel dell’omonimo pezzo contenuto nel primo disco, Street Worms (2018), dedicato alla non conformazione, laddove il primo capitolo conteneva un parallelo divertente tra tipologie umane e razze canine.
Una scarica adrenalinica di batteria lancia la forsennata Secret Agent.
I Feel Alive si regge invece su una trama sonora costruita dai riverberi del sax e del flauto traverso su un tappeto leggero della tastiera contrappuntato dal giro marcato del basso.
Una nota distorta del sassofono introduce Girls And Boys, dalle sonorità notturne e movimentate.
Lenta e struggente, per la tematica e per i suoni, la penultima To The Country, che evoca la semplicità della vita in campagna, al riparo del caos della contemporaneità. Il tutto rivisto e corretto con la lente deformante del sarcasmo.
In Spite of Ourselves chiude l’album nel segno del country rock. La paternità del pezzo appartiene a John Prine, morto lo scorso anno a causa della pandemia. Il brano è arricchito dalla presenza di una guest star: Amy Taylor degli Amyl And The Sniffers.
Welfare Jazz è una tappa importante nell’evoluzione artistica dei Viagra Boys, che si reinventano dopo i recenti successi e si tuffano in un caleidoscopio sonoro in cui emerge la volontà di sperimentare e, allo stesso tempo, di stupire lo spettatore.
Inutile dire che entrambi gli obbiettivi sono stati raggiunti.
Per saperne di più:
Il sito ufficiale dei Viagra Boys
Da ascoltare (e da vedere):
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