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Daniele Barsanti

«Dormo poco e sogno tanto», parla Daniele Barsanti

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Dall’incontro col mitico Saturnino Celani al successo su Mtv. Intervista al giovane, originalissimo cantautore toscano che celebra le commesse nel suo ultimo singolo

«Scrivo canzoni dormo poco e sogno tanto», così recita la sua bio su Instagram. Classe ’90 e toscanaccio doc, Daniele Barsanti ha una personalità esplosiva e bizzarra.

La sua carriera è iniziata quasi per caso, con un tragitto comune a molti: l’amore per la musica (e per la chitarra in particolare) sbocciato sui banchi di scuola, poi le prime produzioni.

Un primo piano di Daniele Barsanti

Questo tragitto ha avuto un’accelerata improvvista grazie a un padrino d’eccezione: Saturnino Celani, il mitico bassista di Jovanotti, che apprezza Lucia, una canzone del giovane livornese, dopo averla ascoltata in versione provino su Soundcloud.

È il 2015 e, da quel momento in avanti, le affermazioni si succedono rapidamente: a settembre dello stesso anno, Barsanti diventa Artista del mese di Mtv, poi, tre anni dopo, il tuor come spalla di Francesco Gabbani e l’ingresso in studio per incidere l’album d’esordio.

A luglio è uscito Le commesse, l’ultimo singolo, che è impazzato in radio e sulle piattaforme streaming, in cui l’artista ha esibito la sua capacità peculiare di raccontare le cose ordinarie in maniera straordinaria. Ce n’è abbastanza per essere curiosi.

Partiamo da Le commesse. Cosa ha ispirato questo brano particolare?

È nato dalla semplice osservazione della realtà. Ero adagiato su uno di quei divanetti che si trovano nei negozi e ho semplicemente visto questa scena, che mi è arrivata dritta nello stomaco. Ho visto lei, la commessa, intenta a piegare e ripiegare la solita maglietta, quasi un automatismo. Lei era distante in quel momento, aveva lo sguardo assente, ma un sorriso stampato in faccia che incrociava lo sguardo dei clienti. Insomma quasi come se labbra ed occhi fossero in due posti diversi contemporaneamente. Da lì mi è arrivata la frase chiave: «Sono una vita che ripiega una vita in uno scaffale». E poi «hanno i sorrisi lunghi i cuori assenti». Un vortice di idee: ho capito che stava arrivando qualcosa, l’ho afferrata al volo. Non mi sarei mai perdonato di perdermi una canzone così.

Un frame dal videoclip di “Le commesse”

Sei un diretto e spumeggiante e sorprendi con le tue composizioni caratterizzate da testi diretti, semplici ed efficaci. Quali caratteristiche deve avere una canzone secondo te?

Per me una canzone deve essere stile riconoscibile, dal testo all’interpretazione. Dalle prime righe devi capire che si tratta di me. Io sono molto attento a questo aspetto.
Poi deve essere sicuramente forte a livello emotivo: se una idea mi smuove, mi emoziona o mi carica mentre la scrivo, la seguo. Altrimenti lascio perdere. E poi deve avere dentro la vita. Per questo il mio linguaggio non è artefatto ma attinge al mio modo di esprimermi. Posso dire che cercare di essere semplici con sincerità è un lavoro che comporta fatica.

A chi rivolgi le tue opere e a chi o cosa pensi per trarre ispirazione?

Le rivolgo a chi come me insegue le emozioni, a chi dà priorità alla vita e alle piccole cose che cambiano i grandi piani. Non ho un metodo per stimolare la mia ispirazione. La scintilla scatta da sola, davanti ad alcuni contenuti ed immagini particolari. Alcune volte capita che il caso ti porti di fronte ad un esperienza che vuoi raccontare, altre volte le idee nascono anche da una scena di un film. Sicuramente l’obbiettivo è raccogliere un istante e gonfiarlo, doparlo di romanzo, dargli una carica emotiva. Per me la vita avrebbe sempre bisogno di una soundtrack. Non mi basta vederla scorrere, voglio rotolare con l’onda.

Insomma, hai un approccio istintivo. Anche la tua voglia di fare musica è nata così, in seguito alla folgorazione di un istante…

Ho iniziato a suonare la chitarra per caso. Sono rimasto, appunto, folgorato da un concerto nel giardino della mia scuola durante il secondo anno di liceo. Allora è nato tutto. È stato un momento rivelatorio in cui ho capito che volevo farlo anche io. Volevo suscitare, inseguire quell’emozione, che la musica mi dava. Col tempo ho capito che riuscivo a soddisfare questa mia esigenza con la scrittura delle canzoni. Da allora è stato un grande amore, una grande scoperta, giorno dopo giorno. Non mi interessava nemmeno di uscire con gli amici: tutto quello che volevo lo trovavo nella scrittura delle canzoni ed è ancora così.

Daniele Barsanti e la sua chitarra

Quali sono stati le tue influenze e quali i tuoi artisti di riferimento?

Non ho un artista di riferimento: quando ho voglia di ascoltare musica spazio molto e ovunque, mi piace scoprire angoli sempre nuovi. Ad ogni buon conto, ci sono quei brani che ti fanno stare bene. Che ne so se ascolto Va bene va bene di Vasco dopo la doccia, mi viene voglia di mettermi seduto, prepararmi un gin tonic e stare li ad ascoltare, a vivere quel momento. È una questione di trasporto, di brividi. Non ho parole adatte a descrivere le emozioni che mi danno alcune canzoni. Anzi, ne uso una sola: godissimo.

Forever Offline è un brano nato via social, un modo originale di collaborare col tuo pubblico per eseguire una sorta di composizione collettiva. Raccontaci questa idea, stimolata dal lockdown…

Forever Offline è una canzone di speranza: sognavo di rivedermi di nuovo nelle «piazze piene e vedere le luci delle case spente». Era un momento buio, non riuscivo a capire, a intuire cosa sarebbe rimasto della vita che fino a quel momento avevo conosciuto. Avevo paura e ho scritto una canzone per esorcizzarla, l’ho scritta insieme a tutti miei follower di Instagram e li ho coinvolti, creando delle storie in cui li facevo interagire su arrangiamento, testo, melodia. Facevo vari video e gli proponevo varie alternative a loro scelta. In base alle loro decisioni io costruivo il tutto. È stata un’esperienza genuina: la canzone non è nemmeno uscita ufficialmente, era solo un modo per stare insieme. Le canzoni restano sempre il più bel posto dove portare le persone.

Daniele Barsanti alle prese con una tastiera

Hai un aneddoto particolare da raccontare?

Partecipavo a Gabbalive18, il tour di Francesco Gabbani del 2018, come opening act. Ricordo che la prima tappa era al Castello Sforzesco di Vigevano. Questa bellissima location ha un unico difetto: l’entrata. Non esiste un entrata di backstage, pubblico e artisti entrano da un unico ingresso. Ricordo che eravamo convocati per le 18 perché, esibendomi per primo, facevo il soundcheck per ultimo. Quindi, arriviamo nei dintorni della location e ci rendiamo conto che non esiste un entrata secondaria e che davanti all’entrata principale si era già formata una folla di persone per entrare al concerto. Ho pensato: «Adesso ci tirano i pomodori». Nella mia testa so che di solito chi apre i concerti è percepito come un riempitivo dal pubblico, che non vede l’ora che finisca e cominci il concerto dell’artista per cui ha pagato il biglietto. Invece è stato uno di quei momenti in cui la vita ti dà una lezione. Appena si sono accorte che in macchina c’ero io con la mia band, le persone hanno iniziato a chiamarmi, come se mi conoscessero già. Al che io sono uscito di macchina, insieme agli altri ragazzi che suonavano con me, li abbiamo salutati e poi siamo risaliti. Insomma, si erano già informati su chi ero e sulle mie canzoni. È stato veramente strano. Sicuramente uno di quei momenti in cui la vita ti prende in giro e ribalta completamente i tuoi preconcetti.

Un primo piano ombroso di Daniele Barsanti

Per concludere, racconta i tuoi esordi professionali. Com’è avvenuto l’incontro con Saturnino?

Lucia, è stata la canzone che ha dato inizio a tutto. Ricordo ancora il momento in cui l’ho scritta: Avevo ventitré anni, ero abbastanza stanco e frustrato, spendevo tutte le mie energie a cercare qualcuno che fosse interessato alle mie canzoni. Niente. Non si muoveva nulla, calma piatta. Credo che questo stato d’animo si rifletta in una frase del ritornello: «Ho confuso per anni il suo autunno e il mio inverno» che, rappresenta l’irraggiungibilità e rispecchiava anche la mia condizione di quel momento. Nel 2014, quasi per scherzo, punto in alto e scrivo un messaggio a Saturnino. Non so perché scelsi di scrivere a lui, credo sia stato l’istinto, mi fido sempre del mio istinto. Scrivo a Saturnino, gli racconto un po’ la mia storia, e gli chiedo se può ascoltare qualcosa dei miei brani solo per capire se ero in una direzione buona o sbagliavo. Lui l’8 dicembre, tra l’altro proprio il giorno del mio compleanno, mi risponde: «Mandami tre brani che vuoi farmi ascoltare». Devo confessare che fui aiutato nella scelta da mo padre. Io cercavo brani dal tiro radiofonico. Lui mi chiese: «Hai messo anche Lucia?». Ed io «Ma no, Lucia è moscia triste lui è tutto groove funk, gli mando dei pezzi tirati e veloci». Lui mi fa: «Allora scegli due brani e poi metti anche Lucia». Siccome mi fido molto di mio babbo, gli ho dato retta. È stata la scelta più saggia della mia vita. Dopo un’ora Saturnino mi risponde: «Interessantissima Lucia! Ti pubblico subito e vediamo che succede». Da lì è nato tutto, ho trovato una produzione e ho firmato il mio primo contratto discografico con Universal. La vita ti prende in giro, anzi ti porta dove vuole lei.

(a cura di Andrea Infusino)

Da ascoltare (e da vedere):

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