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Myrath, uno scirocco metal dalla Tunisia

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Shehili è il quinto, entusiasmante album della band nordafricana, che si allontana dal prog e vira con decisione sull’oriental metal

Non ci improvviseremo orientalisti, né tenteremo dotte (e improprie) dissertazioni sulla tradizione musicale del Maghreb.

Non serve nulla di tutto questo per apprezzare Sheili, il quinto album dei tunisini Myrath, uscito per la Earmusic all’inizio dell’estate.

Basta un’osservazione a far piazza pulita di tante, inutili, disquisizioni etnomusicali: se una label internazionale ha puntato le proprie fiche su una band nordafricana, vuol dire che i numeri ci sono tutti e in gran misura.

I Myrath al completo

E c’è da dire che il quintetto tunisino, costituitosi a inizio millennio, ha saputo lavorare ed evolversi dall’originario prog metal pieno di riferimenti etno a un oriental metal squadrato ed efficace, in cui il linguaggio internazionale del rock si mescola bene con i suoni e i retaggi della terra d’origine, a cui la band non riesce comunque a rinunciare (e per fortuna): a partire dal titolo dell’album (Shehili vuol dire scirocco), per continuare col nome stesso del gruppo (Myrath vuol dire eredità, anche in senso spirituale), per finire nel logo di copertina (un amuleto portafortuna della tradizione araba, che equivale ai nostri corni napoletani).

Venti anni di crescita e di impegno, costellati da molti cambi di formazione, hanno fatto decisamente bene ai cinque nordafricani, che si ripresentano al pubblico in piena forma a tre anni di distanza dal validissimo Legacy, con un suono più duro e asciutto che incornicia linee melodiche efficaci e suggestive, ma mai scontate.

Shehili, registrato in Francia sotto la supervisione di tre produttori (Kevin Codfert, Jens Bogren ed Eike Freese) è innanzitutto un validissimo lavoro corale, in cui la compattezza dell’insieme non mortifica, tuttavia la bravura dei singoli.

La copertina di Shehili

Su tutti, spicca il cantante Zaher Zorgatti, dotato di un timbro duttile e di un’estensione notevole, circa tre ottave, che gli consente di gestire con facilità i forti cambi di atmosfera dei brani. E non potrebbe essere altrimenti in un album che si basa sulla forma canzone.

Ma non sono da meno il tastierista Elyes Bouchoucha, che ha curato anche gli arrangiamenti etnici (in particolare i numerosi strumenti ad arco) e il chitarrista Malek Ben Arbia, ottimo nel riffing e preciso e puntuale nelle incursioni soliste, in cui dosa sonorità metal e richiami arabi.

Superba anche la performance della sezione ritmica, costituita dal bassista Anis Jouini e dal batterista Morgan Berthet, un duo dotato di precisione e versatilità notevolissime.

Il risultato di questa fusione – di stimoli, capacità e idee – è a dir poco superbo.

I Myrath in concerto

Asl apre l’album con i suoni suggestivi delle tradizioni locali, su cui Zorgatti intona un canto arabo dalle forti suggestioni sacre.

Questa breve intro confluisce nella favolosa Born To Survive, che si evolve in un power metal potentissimo su tempi cadenzati, in cui le citazioni arabe delle tastiere e dei violini si legano alla grande coi riff durissimi della chitarra.

Notevolissima anche la seguente You’ve Lost Yourself, che parte da una citazione etnica (i tamburi berberi) ed evolve in un brano variegato di matrice power, in cui la linearità del metal occidentale si sposa con le finezze arabe, in un legame strettissimo tra potenza, melodia ed epica.

Una danza araba introduce la melodica e ariosa Dance (si perdoni il gioco di parole), il brano più mainstream del disco, in cui tuttavia i Myrath non si snaturano di una virgola e trasformano la leggerezza del songwriting in suggestione.

Più dura ma non per questo meno melodica, Wicked Dice tesse un altro ponte tra le due coste del Mediterraneo con armonie articolate e cambi di atmosfera arricchiti da un uso non banale del pianoforte, che gioca col riff duro della chitarra di Ben Arbia, autore anche di un assolo rapido e incisivo.

Le armonie arabe sposano di nuovo le metriche metal in Monster In My Closet, in cui l’uso delle percussioni emerge qui e lì nel tappeto melodico e magmatico di chitarra e tastiera, che strizzano a più riprese l’occhio alle sonorità industrial. Ancora una volta si fa notare la grande capacità interpretativa di Zorgatti, sia nelle parti più melodiche e minimali sia nei crescendo carichi di pathos. Ottimo l’assolo di chitarra, giocato tra citazioni orientali e frasi metal.

Un’immagine del live show dei Myrath

Molto particolare Lili Twil, cantata per metà in arabo (nella parte più melodica e leggera) e per metà in inglese, nel crescendo potentissimo del coro e del refrain.

Fiabesca e piena di riferimenti fantasy No Holding Back, che si regge su tastiere epiche e sognanti e su un cantato suggestivo, in cui la lingua inglese si adatta alla perfezione alla melodia orientale.

Stardust, ovvero: la ballad rivista e corretta secondo i canoni dell’oriental metal. È un brano caratterizzato da un forte crescendo carico di atmosfera e suggestioni cinematiche, marcate dai passaggi bruschi tra le parti orchestrali a quelle più minimali, in cui il solo pianoforte si ritrova in primo piano.

Nella sinfonica Mersal ritorna con la consueta efficacia l’alternanza tra il cantato in arabo e in inglese, che disegna un quadro epico pieno di passione.

Decisamente più dura, Darkness Arise si regge sul contrasto tra il riff potente e il grande respiro melodico del canto. Da applausi il duetto tra la chitarra e organo Hammond.

Shehili, la title track, conclude ancora nel segno della suggestione questa bellissima cavalcata nel deserto con una sequenza di immagini in musica che fanno di nuovo da ponte tra nord e sud, oriente e occidente.

Un primo piano di Zaher Zorgatti

Di sicuro, per chi li conosce già e ne apprezza la bravura, i Myrath non sono una rivelazione. Per gli altri, questo album superbo è un invito a tuffarsi nelle composizioni ardite di un oriental metal di grande spessore, concepito bene e suonato meglio.

Difficile aggiungere altro, se non un augurio di buon ascolto.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei Myrath

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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