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Double Negative, suoni inquietanti dall’America profonda

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Elettronica e atmosfere slowcore nell’ultimo album dei Low, che indicano le vie future alla scena indie con un pathos quasi religioso

Inquietanti. Anzi, più inquietanti che mai. I Low, storico trio di Duluth, prossimo al quarto di secolo di attività artistica, forzano i confini dello slowcore che li ha resi celebri e del quale sono considerati tra i fondatori assieme ai Codeine e ai Galaxie 500, per dirigersi verso sonorità elettroniche contaminate dal noise e dall’industrial.

Quest’attitudine è confermata da Double Negative, pubblicato da Subpop, che conferma la direzione intrapresa col precedente Ones And Sixes (2015).

La copertina di Double Negative

Anzi, la esaspera, visto che stavolta il mago dell’elettronica BJ Vernon non si limita a produrre ma entra nel processo compositivo e rende l’effettistica parte integrante delle composizioni del trio.

Un modo per rinnovarsi e scansare il rischio di una ripetitività altrimenti inevitabile dopo dodici anni? Forse. Ma è certo che la scelta operata in Low è pienamente consapevole, visto che la band presenta una formazione stabile in seguito all’ingresso del bassista Steve Garrington, che affianca da anni i coniugi Alan Sparhawk (cantante e chitarrista) e Mimi Parker (cantante e batterista), probabilmente una delle coppie più affiatate del rock.

Giusto una suggestione prima di procedere: partire da Duluth significa avere a che fare comunque col mito di Bob Dylan, che sviluppò la propria poetica a partire dal conflitto interiore con la propria radice religiosa ebraica. I Low sembrano, invece, aver fatto il contrario: hanno trasformato il proprio credo mormone in cifra poetica e – quindi – musicale.

Lo slowcore come espressione minimalista del millenarismo dell’America profonda? E l’evoluzione elettronica del suono come espressione dell’afflato religioso?

Forse.

Una suggestiva immagine dei Low

Certo è che le superdilatazione dell’iniziale Quorum, in cui le voci di Sparhawk e della Parker emergono dai rumori bianchi di fondo rende perfettamente l’idea di un processo metafisico, oltre che artistico in senso stretto.

E questo processo è sottolineato anche dalla struttura a concept dell’album, in cui i brani sembrano finire l’uno nell’altro. Infatti, il rumore con cui termina Quorum apre la seguente Dancing And Blood (accompagnata tra l’altro da un video surreale e a tratti agghiacciante) che si sviluppa su un poliritmo straniante che fa da sfondo alla nenia intonata dalla cantante.

Il tutto termina con un accordo ostinato del synth che fa da ponte a Fly, che (finalmente) dà tregua all’ascoltatore grazie a un andamento più ambient in cui il cantato in falsetto si integra in un’elettronica non più disturbante ma calda e avvolgente.

Un accordo appena accennato conclude questo trittico, che è un corpo sonoro a sé all’interno dell’album, e introduce la straniantissima Tempest, in cui il tema è retto dalla voce riprocessata e distorta di Sparhawk e sfocia in pause dolcissime, concepite come oasi sonore per ristorare l’ascoltatore sottoposto a uno sforzo non secondario.

Un rumore per chiudere e, contemporaneamente, per aprire la successiva Always Up, dove i suoni minimali e cristallini cullano un cantato delicatissimo. Un’apertura metafisica nel caos? I versi ossessivi («I believe/Can’t You See») sembrano confermare l’intenzione spirituale. Che ritorna in Always Tryng To Work It Out, dove l’armonia altrimenti tenue del cantato a due voci viene distorta dagli switch.

Il tutto sfocia nel rumorismo minimalista di The Son, The Sun, in cui i versi sussurrati su armonie vaghe affogano nell’effettistica.

È chiaro che in un contesto così il rock fatichi a farsi strada. Eppure emerge, sebbene a fatica, negli accordi di chitarra dilatati dagli echi di Dancing And Fire, dove le voci dei coniugi Sparhawk evocano atmosfere bucoliche.

Un ostinato del synth introduce e armonizza Poor Sucker dove la sarabanda elettronica che costituisce il nocciolo dell’album fa da sfondo a un cantato che ricorda una filastrocca inquietante.

Bella, forse la più bella della raccolta, Rome (Always In The Dark) riassume la nuova poetica artistica dei Low: l’elettronica è aggressiva ma non troppo straniante e fa da cornice a una melodia profonda e suggestiva che rinvia ai Pink Floyd più progressive.

Un sequencer percussivo introduce e accompagna la melodia sognante di Disarray, che chiude l’album a mo’ di messaggio di speranza.

I Low in una posa “normale”

Sperimentare è il classico lavoro duro (e a volte un po’ sporco) che qualcuno deve pur fare. E i Low si sono sobbarcati l’onere senza accusare troppa fatica. Certo, Double Negative chiede qualche sforzo in più all’ascoltatore affezionato, ma vale la pena.

L’indie rock, di cui lo slow core è il sottogenere più spinto, ha un senso compiuto solo nella ricerca di strade nuove. Quelle su cui i Low si sono incamminati con grande coerenza e senza tentennamenti.

Da ascoltare con attenzione, perché nelle sue tracce Double Negative racchiude più di una preziosa indicazione sul futuro della scena indie.

Per saperne di più:

Il sito web dei Low

Da ascoltare (e da vedere):

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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