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I Dry Cleaning

New Long Leg, un esordio col botto per i Dry Cleaning

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Suggestioni anni ’80, poesia e spoken words nel primo album delle promesse post punk della scena indie britannica

Forse è presto per dire se le coccole della critica siano davvero motivate, perché le band, come i cavalli, si vedono all’arrivo.

Tuttavia, i Dry Cleaning, formatisi nel 2018 nell’importante brodo di coltura di South London, finora non ne hanno sbagliata una: due ep (Sweet Princess e Boundary Road Snacks And Drinks, entrambi del 2019) e la classica manciata di singoli, che hanno consentito alla band di farsi notare nei circuiti giusti, e di andare in tour a New York. E poi il colpaccio: un contratto con la prestigiosa label indipendente 4AD, che ha permesso al quartetto inglese di avvalersi della produzione di John Parish (per capirci, il mastermind di Pj Harvey) e di capitalizzare al meglio il lockdown incidendo l’album d’esordio New Long Leg, uscito nella primavera del 2021, mentre il Regno Unito stava per riprecipitare nell’incubo della pandemia.

I Dry Cleaning al completo

Che dire? Ad ascoltare bene le dieci tracce che lo compongono, New Long Leg conferma le ottime promesse del gruppo, al quale meglio di tanti altri calza a pennello l’etichetta indie, che in questo caso non sta per pop camuffato alla meno peggio, ma è sinonimo di ricerca sonora, in cui l’omaggio alle proprie radici coesiste alla grande con la reinterpretazione e l’aggiornamento.

La formula musicale del quartetto è il prodotto dell’incontro tra tre musicisti rodati e una giovane poetessa neofita del pentagramma ma piena di ispirazione visionaria.

Il chitarrista Tom Dowse, veterano della scena hardcore londinese, si è rivelato abile a riproporre le sonorità che hanno marcato a fuoco una parte importante della scena anni ’80: nel suo riffing si sente l’eredità dei Television, dei Joy Division e, in parte, dei Sonic Youth. Discorso simile per la sezione ritmica, composta dal bassista Lewis Maynard, autore di linee forti e rotonde, e dal batterista Nick Buxton, preciso e incalzante allo stesso tempo.

Ai tre si deve il sound compatto e duttile, che fa da tappeto alle declamazioni di Florence Shaw, vocalist dal timbro particolare, magnetico e seducente, capace di rinverdire bene la particolare tradizione rock dello spoken word, di cui sono state indimenticabili interpreti la Nico dei Velvet Underground e Kim Gordon dei citati Sonic Youth.

La copertina di New Long Leg

Una sequenza di batteria in loop, su cui si innesta il giro roboante del basso e l’album parte alla grande col singolo apripista Scratchard Lanyard, vero e proprio manifesto artistico della band, capace di grande raffinatezza ed essenzialità: la chitarra e la voce entrano in sincrono dopo poche battute e danno il via a un crescendo pacato, marcato dai riff e dai fraseggi di Dowse.

In bilico tra stoner e noise, la seguente Unsmart Lady, nel cui riffing emergono i trascorsi hardcore del chitarrista, che carica di brutto su un ritmo cadenzato e, a tratti, artificiosamente rallentato. Al riguardo, si potrebbe parlare di Black Sabbath in chiave no wave. Il tutto per accompagnare un testo bizzarro dedicato alla femminilità di tante donne non femminili (cioè fuori dai canoni estetici imperanti).

Strong Feelings è caratterizzata dal contrasto tra il giro ossessivo del basso e gli arpeggi ariosi della chitarra, su cui la Shaw racconta gli effetti devastanti della Brexit sui rapporti umani e sulle relazioni sentimentali.

Una formula simile (che richiama anche i nostri Massimo Volume) si ritrova nella successiva Leafy, dal ritmo più lento, cadenzato e pieno di richiami psichedelici.

Her Hippo è un tuffo nella new wave più cupa degli anni ’80 e non a caso molti critici vi hanno individuato l’influenza dei Joy Division. In questo pezzo il sound delle chitarre risulta più denso e pesante, grazie a una base poderosa dell’acustica, su cui si innestano i ricami elettrici.

Più rimata e ariosa, la title track si lancia su un crescendo a tratti ballabile e denso di chiaroscuri.

Un primo piano di Florence Shaw

Le influenze stoner riaffiorano in John Wick, che attacca con un riff alla Tony Iommi vecchia maniera e si evolve con un arrangiamento stralunato pieno di suggestioni lisergiche.

Decisamente più particolare, More Big Birds è in bilico tra funky (disinterpretato alla grande dalla sezione ritmica che ruota attorno a un basso bizzarrissimo) e reggae, accennato dalle schitarrate cariche di eco e riverberi di Dowse. E non finisce qui, visto che anche l’algida Shaw smette di recitare e accenna una melodia che funziona a mo’ di coro. Insomma, il mainstream rivisto e scorretto in chiave post punk.

Allucinata e psichedelica, A.L.C. apre la parte finale dell’album con il suo sound cupo e scarnificato, marcato a fuoco dalle dissonanze noise della chitarra.

Sempre a proposito di psichedelia, non si possono proprio passare sotto silenzio i sette minuti e rotti della conclusiva Every Day Carry, piena di suggestioni krautrock e space rock. I versi di miss Shaw affogano nelle sonorità dilatate dagli echi e dal flanger (alzi la mano chi ricorda questo mitico effetto per chitarra, tipico degli ’80) e poi spiccano sulle distorsioni dure dell’ultima parte del pezzo.

New Long Leg è un esordio notevole, che conferma l’ottimo stato di salute creativa non solo dei Dry Cleaning ma di tutta la scena indipendente britannica.

I Dry Cleaning in azione sul palco

Creativi quel che basta, innovativi quel che serve, i quattro londinesi consegnano al pubblico una prova matura, che tuttavia in questa maturità può denunciare un limite: per quanto ben curata e vincente, la loro formula musicale risulta a tratti chiusa e insuscettibile di evoluzione.

Detto altrimenti, il quartetto potrebbe trovarsi quanto prima a un bivio non facile: cambiare genere (vi immaginate dieci album tutti recitati e stralunati?) o sciogliersi, come fecero a loro tempo i Rage Against The Machine (giusto per citare dei big che fecero una vera rivoluzione sonora).

Ma tant’è: se non rose fioriranno e al momento godiamoci i dieci boccioli di questo primo album, coi loro petali duri e non ancora chiusi e – perché no? – le loro spine.

Per saperne di più:

Il sito ufficiale dei Dry Cleaning

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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