Il “nuovo” synth pop secondo i MyOwnMine
Intervista alla band calabrese che ha riattualizzato le sonorità dei migliori anni ’80. Nel loro caso, “pop” non è una parolaccia…
I MyOwnMine nascono da un’idea del cantante Francesco Parise, al quale si sono aggiunti il batterista Yandro Estrada (già nei Camera 237, Kyle e Artico) e il bassista Giuseppe Mazzuca. Il trio cosentino propone una formula musicale orientata verso gli anni ’80: matrice pop internazionale con spunti synth pop e sconfinamenti nel nu soul.
A febbraio 2020 esce l’album d’esordio Everything Is In Perspective con la produzione artistica di Vlad KayaDub Costabile, per La Lumaca Dischi.
MyOwnMine inizialmente consisteva nel solo Francesco Parise. Dopo si sono aggiunti tutti gli altri. Quanto hanno inciso queste aggiunte sull’idea musicale originaria?
(Francesco Parise) All’inizio avevo un’idea totalmente diversa. Io compongo sempre al pianoforte e, in un secondo momento, lavoro sulla struttura. L’ingresso di Yandro e Giuseppe ha aumentato la complessità della composizione e ampliato.il ventaglio delle possibilità e degli ascolti.
Forse definirvi una band anni’80 è un po’ restrittivo. Come definite voi il vostro stile?
(Francesco) Legarci agli anni 80 è di sicuro restrittivo. È mero citazionismo. Invece bisogna analizzare la musica, guardare agli arrangiamenti e ai testi. Forse è più semplice dare etichette e usarle come scappatoia.
(Yandro Estrada) È brutto dirlo ma nella musica esistono categorie di serie A e di serie B. Se parti dal basso vieni descritto in modo diverso rispetto a chi è più avanti di te. È inutile e irrilevante dire che nella nostra musica ci sono elementi anni ’80. Ma questi elementi sono dappertutto: se tu ascolti dischi di Dua Lipa ci sono tantissimi elementi dagli anni 80 ma nessuno pensa di metterli in evidenza.
Everything Is In Perspective è il titolo del vostro disco. Ha un significato particolare?
(Francesco) Nel senso letterale: Ogni cosa ha prospettive diverse.
(Yandro) Sono dei testi, anche personali, che però raccontano un vissuto in un’ottica che può essere felice o triste. Ma indicano modi diversi di vedere la realtà.
Shut The Door è il primo di tre videoclip. Come saranno gli altri?
(Yandro) Possiamo ribadire come sono intrecciati i videoclip. La divisione è in tre tronconi che costruiscono la storia a intreccio. Con un elemento curioso: non ci sono buoni e cattivi. Nel primo videoclip i camerieri vengono arrestati, ma non si capisce bene il perché. È quasi un atto conclusivo. Il giudizio lo si può dare dopo aver visto tutti e tre i video.
(Francesco) Sempre per rispettare il discorso delle prospettive, la storia è letta da diversi punti di vista. Il racconto è slegato dai testi delle canzoni, ma il concept è quello consueto: osservare le cose da più angolature.
La musica in Italia ha un passo diverso rispetto alle altre scene. C’è una mancanza di coraggio delle etichette discografiche oppure è un gap del nostro mercato?
(Francesco) Entrambe le cose: l’etichetta non investe e quindi il mercato risponde sulla base degli input ricevuti. È un po’ il cane che si morde la coda. Negli anni passati non c’era questo gap. Ci sono stati i Cccp, Pino Daniele, Battiato o Battisti. Tutta la scena progressive. Poi, forse, lavorare è diventato più difficile.
(Yandro): Il punto sono sempre le scelte, se si decide di investire o meno. In Italia manca il coraggio. In Inghilterra ad esempio si vive un revival del post punk. Le cose funzionano se c’è un gruppo che ha qualcosa da dire a prescindere dal genere. Negli anni 2000 ci sono state etichette che hanno osato: ad esempio supportando i Marlene Kuntz o gli Afterhours. Poi si è diffusa l’idea che un gruppo che nasce dal basso debba finire per forza su Virgin Radio o su Radio Deejay. In quegli anni c’era un circuito parallelo, c’erano i festival indipendenti e un pubblico che voleva ascoltare musica diversa dall’easy listening. Ma una cosa è certa: ad artisti diversi devono corrispondere circuiti diversi, che un po’ è quel che accade nel resto del mondo. Da noi, invece, c’è una forte confusione dei canali. Quindi non ci sono più troppe possibilità per chi parte dal basso ed emergere per artisti come noi diventa più difficile. Perché c’è questa paura di rischiare? In America o in Inghilterra chi rischia riesce a vincere sempre. Lo scorso anno al Mercury Prize hanno vinto come best act band indipendente i Black Midi. Un gruppo che fa art rock noise, quindi non di facile ascolto. Se le cose stanno così, il problema è culturale.
(a cura di Fiorella Tarantino)
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