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Francesca Incudine, la modernità che canta in siciliano

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L’artista ennese, reduce dal successo al Mei 2019, racconta la sua carriera e la sua poetica, in bilico tra tradizione e innovazione

Tradizioni e radici siciliane emergono nella produzione artistica di Francesca Incudine. L’artista ennese ha guadagnato l’argento sul podio del Premio dei Premi del Mei 2019.

La cantautrice, che non è certo nuova ai riconoscimenti, ha in attivo due dischi. Il primo, Iettavuci, è un’esortazione a prendere la parola. Anche il più recente, Taraké, rappresenta la resistenza e il coraggio attraverso undici storie di guerriere.

Un bel primo piano di Francesca Incudine

Coniughi l’italiano col dialetto siciliano. Un modo importante di tenere vive le radici. È difficile farlo nel mondo della musica?

 Credo sia indispensabile esserci nel mondo della musica. Equivale ad essere sé stessi nella modalità che più corrisponde al nostro essere autentici. Passa attraverso l’utilizzo di una lingua, un suono dentro il quale rispecchiarsi. Per me avviene nella commistione tra lingua siciliana e italiana, ma sono convinta che qualsiasi lingua che riesca a veicolare quel messaggio di verità possa riuscire a farsi sentire.

 Iettavuci ha sulla copertina una camelia mentre in Taraké c’è il soffione, meglio conosciuto come dente di leone, rappresentato metaforicamente nel volto di una donna. Quale significato hanno questi due simboli nella tua produzione artistica?

Anche per il secondo disco ho scelto di far parlare la natura, di farla dialogare con i contenuti e i suoni delle canzoni. La camelia che sbuca fuori in modo dirompente indica la voglia di farsi sentire, la forza della vita che canta e urla per farsi ascoltare. Il soffione, invece, è il fiore del viaggio, della meraviglia, del sogno che si affida al vento, come i suoi semi. Mi piace pensare che le canzoni possano essere semi sparsi al vento che rendono fertili i cuori di chi li ascolta.

La copertina di Iettavuci

Come molti cantautori racconti storie dal lato interiore e spirituale attraverso metafore. La tua è una visione positiva e ricca di speranza. Quando è importante questo atteggiamento per la produzione artistica?

La speranza è un sentimento testardo, caparbio. La caparbietà è necessaria nel mondo dell’arte. È il motore che ti spinge in avanti anche quando ci sono difficoltà, nell’arte come nella vita.

Gutierrez accompagna Colombo nella ricerca delle Indie. Un dialogo viene scritto da Leopardi. Un viaggio che diventa metafora di un procedere per tentativi nella vita. Forse non è importante il risultato ma il viaggio in sé, perché vivere questa esperienza fa evolvere. L’uomo osa e non teme di cambiare colore. È questo che esprime il tuo pezzo? E in che modo?

 Siamo tutti dei marinai un po’ sperduti quando iniziamo un nuovo viaggio. Anche quando è pianificato, pensato, ci riserva sempre sorprese. In particolare se è un viaggio che facciamo nel profondo di noi stessi, dove c’è sempre qualcosa che grida per venir fuori. Il viaggio ci mette a nudo con i nostri pensieri, le nostre paure, con i nostri desideri, è un salto dalla rupe di Leucade scrive Leopardi. Quando è finito non siamo più gli stessi, e siamo pronti a ripartire.

La copertina di Taraè

 Italo Calvino ha scritto che la leggerezza non è superficialità ma planare senza macigni sul cuore. Comu fussi picciridda mi sembra una metafora sul vivere con semplicità e in modo autentico. Trovi che i due scritti abbiano qualcosa in comune?

Grazie per l’illustre paragone! Comu fussi picciridda è un invito a mantenere un animo bambino, meraviglioso e meravigliato. Un orecchio acerbo direbbe Rodari, capace di ritrovare la strada quando l’ha perduta, di rispondere sempre con la parola amore. È un invito a circondarsi di persone con cuore e occhi sinceri che sanno ascoltare i tuoi silenzi e riportarti a casa, ricordandoti chi sei.

Ti hanno paragonata a Teresa De Sio. Quanto questo paragone può essere un incentivo e quanto, invece, un limite? 

 Sì, è vero, e mi è stato detto moltissime volte e questo mi ha sempre lusingata. Teresa De Sio è una grandissima artista che riesce a mettere tutta sé stessa nelle sue canzoni. La riconosci, sai che è lei perché sa esserci con la sua verità, con la sua voce piena di tantissime sfumature, con la sua storia. Non può che essere un incentivo.

 Nel 2016 hai vinto il Premio botteghe d’autore e il Premio musica controcorrente. Nel 2018 la Targa Tenco nella sezione Miglior album in dialetto e il Premio Bianca d’Aponte, del quale sei stata anche finalista nel 2015. Più due dischi alle spalle. Come vivi questi riconoscimenti all’interno del tuo percorso artistico? E l’esperienza del Mei?

 Questo mio percorso artistico è costellato da tanti premi, da tanti contest che per me sono stati una palestra. Un modo per crescere e per confrontarmi con gli altri, con la critica, con me stessa. Fino ad arrivare al 2018, che sotto questo punto di vista è stato proficuo, con due esperienze che mai dimenticherò, la Targa Tenco e il Premio d’Aponte. Sono riconoscimenti che fanno ben sperare, che mi invogliano a continuare a crescere e a portare agli altri la mia musica, a condividerla. E l’esperienza al Mei mi ha dato conferma che la musica è condivisione. C’è un grande bisogno di tornare a condividere, di tornare a parlare di musica facendola, vivendola non come mero prodotto commerciale. 

(a cura di Fiorella Tarantino)

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