Streets Dogs, riecco i randagi del punk che morde
Undici canzoni di protesta in Stand For Something Or Die For Nothing, il nuovo album dei padrini dell’hardcore americano.
Sono tornati. Più o meno, perché degli originari Street Dogs restano lo storico cantante Mike McColgan, una delle figure chiave dell’hardcore punk americano, e il bassista Johnny Rioux.
Per il resto, il quintetto del Massachussets si è stabilizzato nel 2013, dopo lo stop discografico del 2011, con l’ingresso dei chitarristi Lenny Lashley e Matt Pruitt, un ingresso tra l’altro immediatamente successivo a quello del batterista Pete Sosa.
Tuttavia, il loro recentissimo Stand For Something Or Die For Nothing, pubblicato da Century Media, è il frutto di un songwriting corale, ha specificato Rioux.
A livello contenutistico, Stand For… è il classico album di protesta sociale e politica e forse non è un caso che sia uscito proprio durante la fase più calda della presidenza Trump.
A livello musicale, invece, si capisce benissimo che gli otto anni che separano quest’ultima fatica dal precedente Street Dogs non sono trascorsi invano. La tracklist è meno ingombra (solo undici canzoni al posto delle ventuno del predecessore) e più compatta, segno che maturità e sintesi coincidono, anche nel punk. E la cura formale dei brani è più nitida e precisa, il che non guasta.
Stand For Something Or Die For Nothing, la title track, apre l’album nella maniera più classica: un giro di accordi secco ed essenziale su cui McColgan urla e declama un refrain durissimo che si ammorbidisce un po’ solo nel coro, scanzonato come da tradizione.
Other Ones prosegue sulla stessa falsariga, ma presenta un’impostazione più epica e una dinamica più movimentata che ricorda a tratti i Dead Kennedys.
L’allegra The Comeback Zone è il classico esempio di brano da pogare sotto il palco e da cantare a squarciagola. Stavolta il riferimento è da cercare nei Ramones.
Il punk è anche crossover e gli Street Dogs non sfuggono alla regola: lo conferma la cadenzata Angels Calling, a cui dà il suo bravo contributo Slaine, un rapper di punta della scena di Boston.
These Ain’t The Old Days esprime il lato più satirico e adolescenziale della band, che storpia ed elettrizza un tema tipicamente anni ’60.
Ma è una piccola pausa, perché la seguente Working Class Heroes è un hardcore tiratissimo, carico di sciovinismo sindacal-sinistrista con tanto di bridge martellante e urlato.
Last We Forget prosegue sulla stessa scia e strizza l’occhio alla scuola californiana grazie a un coro allegro e al riff orecchiabile.
Con The Round Up tornano gli influssi ramonesiani, arricchiti da qualche riferimento alla musica celtica, che fa parte del background della band, data la discendenza irlandese di McColgan e Rioux.
Melodica e ariosa, Mary On Believer Street cambia direzione rispetto al resto dell’album e civetta col rock blues alla Rolling Stones nel riffing e sconfina nel rock ’n roll nella parte solista.
I tamburi martellanti di Never Above You Never Below You citano il post punk ottantiano dei Lords Of The New Church, ma il coro riporta il tutto nell’hardcore più canonico.
Turn And Frayed chiude la sarabanda con un omaggio ancora più marcato agli Stones: il ritmo è decisamente più rilassato e McColgan fa il verso in maniera sfacciata a Jagger mentre un piano honky tonk arricchisce il sound senza snaturarne l’impatto.
Otto anni sono lunghi, ma l’attesa è valsa la pena. Sia per i fan degli Street Dogs, che vantano uno zoccolo duro in Usa e in Europa, che hanno percorso in lungo e in largo con numerosi tour, sia per gli appassionati del genere, che in Stand For… possono trovare un piccolo classico, sia, infine, per chi non disdegna le sonorità più abrasive.
Da ascoltare e riascoltare, quest’album condensa bene i canoni del punk, ripetuti con ossequio ma ammodernati qui e lì quel che basta per ricordare che i tardi anni ’70 sono un bel ricordo.
Da ascoltare:
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