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Senza Uscita, un esordio con rabbia per I Tiro

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Dieci canzoni tostissime e drammatiche nel primo album del trio pugliese, una promessa dell’indie rock (e non solo) tricolore

«Abbiamo cercato di amalgamare le nostre esperienze personali con quello che stava succedendo intorno a noi: la politica, il disastro dell’Ilva di Taranto, l’ondata di migranti e le campagne elettorali fasulle che vivevano solo di questo, senza trovare una soluzione vera e propria».

Con questo riferimento al caleidoscopio di eventi letteralmente esploso nell’ultimo biennio, I Tiro raccontano la genesi di Senza Uscita, il loro album d’esordio, completamente autoprodotto come da tradizione indie e registrato tra un concerto e l’altro (circa trenta nel 2018) al Recording Lab di Troia, la cittadina del Foggiano di cui la band è originaria.

I Tiro

Sarebbe un errore, tuttavia, pensare che Senza Uscita sia il classico album politicizzato. Forse lo è in un senso tutto particolare, anarchico ed esistenziale, che richiama un po’ i testi dei vecchi Negazione (avete presente il mitico Lo spirito continua?) e un po’ i Marlene Kunz più qualche spruzzata dei Negramaro meno pop, evidente soprattutto nell’uso delle metriche e nell’impostazione vocale di alcuni passaggi.

La scelta sonora dei troiani è un robusto indie rock con venature post punk e un uso intelligente del noise, che mira più ad esasperare il pathos del sound che non a creare effetti gratuitamente disturbanti.

I Tiro, inoltre, sono fedeli a una concezione del rock tutta impatto e minimalismo: non a caso ripropongono lo schema del power trio, un classico che dagli albori del rock è transitato nel punk. Ciò, tuttavia, non impedisce al cantante-chitarrista Luigi Dattoli, al bassista Celestino Rutigliano e al batterista Francesco Savino di sperimentare – e azzeccare – soluzioni originali e arrangiamenti interessanti. Il che non è poco in un genere, l’indie, in cui è stato detto molto.

La copertina di Senza Uscita

Duri, diretti ma non privi di raffinatezze, a dispetto dei riff a volte pesanti e dei muri sonori decisamente sporchi.

Un esempio di questa poetica musicale è nella open track Fiori di Silva che ruota sul contrasto tra un riff che sembra provenire dai Fucked Up e dai Dead Kennedys e un refrain più minimale ma giocato su un crescendo efficacissimo.

Un fischio Larsen introduce Vuoto, che si snoda su un arrangiamento che strizza l’occhio al post punk e contrasta gradevolmente la marcata melodia della linea vocale, in cui Dattoli fa a tratti il verso a Giuliano Sangiorgi, senza tuttavia eccedere nei falsetti dell’illustre corregionale.

Più movimentata, 11 si muove su un controtempo a tratti pieno e martellante e a tratti minimale, segno che il contrasto tra fortissimi e atmosfere rarefatte è uno dei dop del trio foggiano.

Epica e tosta, Recettore Beta 1 è un omaggio violento e arioso allo stesso tempo al recettore dell’adrenalina. Un inno alla rabbia di rara efficacia.

Seguimi è un crossover ben riuscito tra i Marlene (l’intro minimale) e i Negramaro (il crescendo potente) che racconta una storia d’amore e redenzione molto particolare.

Il Futuro non serve è un curioso esperimento con cui il trio passa dal funky sghembo e spezzettato del refrain alla galoppata rude del coro, per disegnare un urlo di rabbia che cresce nella notte ma si rivolge all’alba.

Aprile ha uno svolgimento più lineare: parte da una linea new wave e sfocia in un pop rock forte e mai banale.

In Esseri Umani, a giudizio di chi scrive il pezzo più interessante, un riff dalla decisa discendenza metal incornicia un refrain dolce e rabbioso che cresce ed esplode con un magistrale controllo della dinamica sonora. Il riferimento ai Negramaro è di nuovo scontato, ma in questo caso si deve parlare non di imitazione ma di interpretazione.

Il Nostro Tempo, il singolo apripista, è forse il brano meno originale, per quanto ben confezionato: motivo pop con arrangiamento duro e testo poco originale, con vaghi riferimenti antipolitici.

Chiusura in grande stile con Liquida, che mescola con un arrangiamento compattissimo riff metallici e melodie sognanti.

Davvero buona la prima per I Tiro, a cui non manca davvero nulla per uscire dalla loro gavetta comunque non avara di soddisfazioni: hanno la freschezza e tutta la rabbia degli anni belli. Soprattutto, hanno i mezzi artistici per esprimere una forza sonora non indifferente. Qualcosa da raffinare forse c’è ancora. Ma la loro freschezza copre tutto.

Sono più che una promessa, se si considera che Senza Uscita lo hanno fatto da soli. Aspettiamoli al varco, allora, con la speranza che la maturazione artistica non ne smorzi l’impeto.

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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