The Damned, un ritorno nel segno del vintage rock
Evil Spirits è l’undicesimo album dei papà del punk. Gli eccessi dei tardi ’70 sono un ricordo e la band civetta col glam, con il rock retrò e il primo Bowie
The Damned, ovvero dell’evoluzione. Sul loro recentissimo Evil Spirits, pubblicato a maggio dalla Spinefarm, ne abbiamo lette e sentite di vario tipo. Qualcuna, a dire il vero, un po’ fuori le righe.
C’è stato, infatti, chi ha rimproverato alla band londinese un’attitudine poco punk, di cui la durata dei dieci pezzi di Evil Spirits (tutti sopra i tre minuti e uno sopra i cinque minuti) sarebbe un’inequivocabile spia. Anche i suoni risultano piuttosto lontani dagli standard passanti, che pure hanno dato al quintetto britannico un grande seguito.
Tutto questo è vero, ma è un falso problema: tra i gruppi punk spuntati come i funghi a partire dalla seconda metà dei ’70 The Damned sono stati i più sperimentali (si pensi alle incomprensioni subite dal loro secondo album Music for Pleasure) e il loro Evil Spirits, che segue di ben dieci anni So, Who’s Paranoid?, il suo immediato predecessore, è il classico album della maturità in cui i Nostri fanno i conti col loro passato e con la loro carriera.
Certo, lo zampino di Tony Visconti, il superproduttore già sodale storico di David Bowie, si sente, eccome (e forse un po’ troppo, se ragionassimo da puristi). Ma il risultato vale sia i dieci anni di attesa, sia il tempo impiegato per ascoltare l’album del ritorno.
La formazione è più o meno quella stabilizzatasi negli anni ’90: alla voce non poteva non esserci David Vanian, al secolo David Lett, leader carismatico e mente pensante della band; così come tiene bene Captain Sensible, al secolo Raymond Burns, storico cofondatore del gruppo ormai inamovibile dalla chitarra, dopo anni passati al basso. Anche il tastierista, Monty Oxy Moron, al secolo Montgomery Gillan, che a partire dai Novanta ha contribuito all’ammodernamento del sound senza snaturamenti, è un membro storico al pari del batterista Pinch, al secolo Andrew Pinching.
L’unica new entry è il bassista Paul Gray, che poi non è proprio tale, perché anche lui ha bazzicato la band a più riprese a partire dagli anni ’80.
Grazie anche a Visconti, che ha optato per l’incisione in presa diretta (in pratica, il live in studio), l’album ha un gran tiro e una certa freschezza, che non fa pesare più di tanto il cambio di stile.
Standing on The Edge of Tomorrow, che tra l’altro è il primo singolo tratto dall’album, apre Evil Spirits con un refrain epico e un bridge arioso che esaltano la voce melodica di Vanian che a tratti fa il verso al vecchio Bowie.
Devil in Disguise è un bel viaggio a ritroso verso certo pre punk (MC5, ad esempio) e glam (T. Rex).
In We’re So Nice è tutto un tripudio di sonorità vintage ammodernate con garbata furbizia, con un’altra strizzata d’occhio al Bowie prima maniera.
Epica e superba, Look Left è un altro tuffo negli anni ’70: bella e a tratti commovente la performance di Vanian che giganteggia su una valida esecuzione d’assieme in cui si segnala il contrappunto del basso di Gray.
Più punkeggiante risulta la title track, in cui i nostri ci ricordano che certi bollori non sono del tutto sopiti e che, come recita il coro, evil spirits going on.
Ancora ritmi sostenuti e refrain epico in Shadow Evocation, mentre l’approccio vintage (con un ammiccamento allo ska) torna a farsi sentire in Sonar Deceit.
Procrastination è un divertente omaggio al glam dei primi anni ’70. Daily Liar, il brano sul banco degli imputati per la lunghezza antipunk è un’incursione selvaggia nel rock ’n roll profondo.
In I Don’t Care che chiude l’album con i suoi stop and go e la sua alternanza tra momenti da ballad e crescendo rockeggianti, mr Vanian dà fondo al suo istrionismo vocale, che lo fa passare dalle morbidezze da crooner ai toni aggressivi del punk.
Evil Spirits è una gran bella prova, segno che la vecchia guardia non solo non molla ma neppure arretra. C’è solo da sperare che The Damned non facciano passare altri dieci anni prima del prossimo album.
Da ascoltare (e da vedere)
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