Anche la cultura è roba da spie
A Paestum si è parlato di Intelligence e tutela del patrimonio artistico e culturale. Caligiuri: non solo lotta al contrabbando di reperti ma anche tutela dei valori immateriali delle società
C’è chi ricorda che il protagonista del bellissimo spy movie I tre giorni del Condor leggeva un po’ di tutto per carpire notizie, anche i fumetti. Era un altro modo di fare l’agente segreto: niente fughe rocambolesche e inseguimenti all’ultimo respiro su vetture potenti lanciate a tutta velocita, ma solo un lavoro certosino su libri, carte di vario genere e persino fumetti.
Ecco, parte del lavoro delle moderne spie è così. E non è un lavoro secondario, soprattutto quando riguarda i beni culturali, che sono il patrimonio materiale e simbolico della memoria collettiva dei popoli.
Se ne è discusso a Paestum durante il convegno La tutela del patrimonio culturale, la difesa dell’arte e il ruolo dell’intelligence, che ha concluso la ventesima edizione della Borsa mediterranea del turismo archeologico, organizzata da Ugo Picarelli.
Tra gli ospiti dell’avvenimento, Tsao Cevoli, direttore del Master di Archeologia giudiziaria del Centro studi criminologici di Viterbo, Stefano De Caro, direttore generale dell’Iccrom, Paolo Matthiae archeologo e direttore della Missione archeologica in Siria della Sapienza di Roma, Rossella Muroni presidente di Legambiente, Fabrizio Parrulli comandante del Nucleo tutela del patrimonio culturale dei carabinieri e Mario Caligiuri, direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria.
Caligiuri, in particolare, si è soffermato sugli aspetti politici e geopolitici della tutela dei beni culturali e, ovviamente, sul ruolo che i servizi segreti ma anche le forze militari e di polizia hanno in questo delicato settore. Il caso più semplice è «il traffico clandestino dei beni culturali con cui le organizzazioni criminali finanziano le proprie attività», una forma di terziario inquietante e in espansione crescente. Un altro esempio menzionato dal prof dell’Unical riguarda lo sfruttamento del paesaggio, che spesso si concretizza in una sua deturpazione, come è avvenuto in vari casi attraverso i parchi eolici.
Ma i beni culturali non sono solo materiali (reperti, opere artistiche e architettoniche, e paesaggi). Anzi, Caligiuri ha avuto gioco facile nel ricordare come, durante la guerra fredda, la Cia e il Kgb sostenessero la produzione di opere – musicali, cinematografiche e letterarie – che venivano usate come armi ideologiche nella competizione tra i propri paesi.
La tutela dei beni culturali è una vera e propria attività di frontiera e non a caso l’Italia ha ottenuto l’istituzione, in seno all’Onu, dei Caschi blu della cultura, un corpo multinazionale ad altissima specializzazione in cui un ruolo centrale è svolto dai carabinieri.
Infine il prof ha precisato che «la raccolta, l’utilizzo e lo scambio delle informazioni attraverso i beni culturali si possono sviluppare attraverso diverse direzioni: dal recupero delle opere d’arte alle attività di formazione e assistenza. Tutto ciò potrebbe consentire un punto di partenza per acquisire fonti informative in zone di conflitto coltivandole poi in tutte le direzioni».
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