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Concorso Dsga, i retroscena che hanno generato il caos

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Secondo i bene informati, l’ex ministro Bussetti avrebbe voluto mettere a bando tutti i tremila posti vacanti di Direttore dei servizi generali e amministrativi delle scuole. Le pressioni politiche e sindacali avrebbero invece imposto il dietrofront…

Anche di fronte al Senato si ripeteranno le polemiche lanciate dai sindacati durante l’emanazione del decreto scuole e rilanciate le scorse settimane durante il dibattito alla Camera per la conversione.

Ci riferiamo alla parte del decreto dedicata ai Dsga (i Direttori dei servizi generali e amministrativi) delle scuole, per il reclutamento dei quali è tuttora in fase di svolgimento un concorso sul quale sono corsi i classici fiumi di inchiostro.

Sindacati in piazza. Secondo i candidati del concorso ordinario per Dsga sarebbero gli artefici dell’attuale impasse

Un inchiostro avvelenato dalle polemiche non motivate dei sindacati, dalle aspettative non molto legittime di parte del personale scolastico e dalla debolezza estrema della classe politica.

Le polemiche sono in buona parte più che note, perciò le riassumiamo a grandi linee: il concorso attuale, bandito a fine 2018, è il primo dopo circa venti anni di attesa. Nel frattempo, il ruolo di Dsga, che è una figura amministrativa apicale delle scuole (per capirci, una categoria d) è stato ricoperto da assistenti amministrativi, che sono categoria b. I cosiddetti facenti funzioni, che continuano a spingere per essere stabilizzati in questo ruolo.

Una richiesta inammissibile a livello legale e costituzionale, come ha già rilevato il Presidente della Repubblica, ma ciononostante sostenuta a spada tratta dai sindacati e accolta da una parte della classe politica, che ha provato a bandire un concorso riservato, prima attraverso il decreto scuole e poi durante il dibattito alla Camera.

Una foto satirica sul contrasto tra candidati ordinari e Dsga facenti funzioni

Questo tentativo, che probabilmente naufragherà anche in Senato, è impraticabile per due motivi almeno.

Primo motivo: secondo la concorde giurisprudenza del Consiglio di Stato – a cui si sono adeguati diversi Tar a partire da quello del Lazio – e della Corte costituzionale i dirigenti possono essere reclutati solo con un concorso esterno. Tale non potrebbe essere (o lo sarebbe difficilmente e per vie molto traverse) quello riservato ai facenti funzioni, che sono già personale interno dell’amministrazione scolastica. Se passasse, questo concorso sarebbe una verticalizzazione sotto mentite spoglie ormai inammissibile per legge.

Secondo motivo: per ricoprire il ruolo di Dsga, che è dirigenziale e non esecutivo, occorrono requisiti ben precisi, fissati dalla contrattazione collettiva (e quindi dagli stessi sindacati che vi hanno partecipato) e dalla normativa: la laurea vecchio ordinamento o magistrale in Giurisprudenza, Economia e commercio, Scienze politiche, Scienze dell’amministrazione o equipollenti.

Scappatoie non ce ne sono. O meglio, non dovrebbero essercene. Ma siamo in Italia, dove la Costituzione, come tutto il resto, è una questione di parte: si interpreta per amici e seguaci e si applica a tutti gli altri.

Infatti, grazie alle pressioni dei sindacati, si è tentato, fin quasi a riuscirci, di mettere sullo stesso piano i candidati al concorso ordinario, che hanno partecipato con le lauree in regola, e i facenti funzioni, molti dei quali privi di titoli.

Candidati in azione

Un atto di giustizia sostanziale contro i formalismi della legge? Proprio no. Le direttive (e la giurisprudenza) europee sui precari delle pubbliche amministrazioni sono piuttosto chiare: niente stabilizzazioni o corsie troppo privilegiate, ma solo equo compenso per le mansioni svolte. E l’Italia si sta adeguando.

E dovrebbe farlo anche in questo caso, visto che i facenti funzioni non tornerebbero in mezzo a una strada, essendo già dipendenti pubblici a tempo pieno e indeterminato.

Ma il pungolo vero di tutta questa faccenda è stata l’emergenza: il funzionamento di molte scuole sarebbe a rischio perché mancherebbero circa tremila Dsga.

Se le cose stanno così, è lecita una domanda: come mai il concorso è stato bandito solo per 2.004 posti?

Più che le polemiche ufficiali, riprese soprattutto dai siti dei sindacati e delle scuole e rimbalzate male sui media mainstream, soccorrono i retroscena: parrebbe che l’ex ministro Marco Bussetti volesse tagliare la testa al toro e mettere a bando tutti i posti. Lo avrebbero fermato le pressioni dei sindacati, che gli avrebbero imposto il taglio di mille unità.

Che queste pressioni mirassero a favorire i facenti funzioni lo si intuisce dalla parte del bando che riserva il 30% dei posti a questi ultimi anche se privi di laurea e col solo requisito di aver svolto l’incarico di Dsga per almeno tre anni. 

La riserva, evidentemente, non ha funzionato: molti facenti funzioni sono stati falcidiati alle prove preselettive di giugno, che sono state una mattanza per tutti: su circa 40mila candidati, sono sopravvissuti in poco più di seimila.

Pochi, senz’altro. Ma avanzano anche per coprire i mille posti che resterebbero scoperti. E non è un caso che i redattori del bando abbiano previsto una quota aggiuntiva del 20% di idonei non vincitori per rimpolpare le file dei Dsga.

l’ex ministro Marco Bussetti

Sappiamo come sono andate finora le cose: il sindacato ha giocato un’ultima carta, forse più per disperazione che con convinzione. È il famigerato concorso riservato per i facenti funzioni, inserito del decreto scuole ma trombato alla Camera.

La mossa è un azzardo politico, dati i tempi stretti: mancano meno di venti giorni per convertire il decreto e le possibilità di far passare per il Senato ciò che Montecitorio ha rigettato sono minime.

Minime, non nulle: infatti i concorsisti ordinari, hanno preso la palla al balzo e proposto a quattro senatori di Forza Italia, un emendamento che sposta la riserva per gli idonei dal 20 al 100%. Un azzardo? Proprio no. È quello che voleva fare Bussetti. E che forse vorrebbero gli uffici scolastici, che rischiano in effetti il tracollo, perché i guai non si presentano mica uno alla volta: con l’imminente entrata in vigore di quota cento, c’è il rischio che i posti vacanti crescano non poco.

E allora, perché questo tira e molla sindacale, che tra l’altro non è in difesa di posti di lavoro ma di opportunità di carriera per persone non titolate? È una questione di tempi, dopo i quali cesserà tutto il baccano.

Infatti, a quel che risulta, solo in Veneto sarebbero iniziate le correzioni delle prove scritte svoltesi a novembre, mentre tutti gli altri uffici scolastici regionali sarebbero in stand by in attesa di capire come terminerà il braccio di ferro.

Ed è questa, forse, la parte più problematica della vicenda: i tempi tecnici per le correzioni rischiano di slittare di mesi e di far slittare la formazione delle graduatorie e le convocazioni per gli orali. Senz’altro con un grosso danno per i candidati, che resteranno sulla graticola oltremisura. Ma soprattutto per le scuole, che rischiano di trovarsi ancora sguarnite di personale a partire da settembre.

Tutto questo, però, non sembra importare molto a parecchi facenti funzioni che, incuranti delle conseguenze, minacciano dimissioni in blocco o invocano forme di sciopero più o meno bianche sui propri gruppi Facebook.

Tant’è: capita questo e peggio in una situazione in cui tutti sono un po’ vittime. Innanzitutto facenti funzioni, a cui qualcuno ha fatto credere a lungo che sarebbero stati stabilizzati solo sulla base dell’esperienza pratica acquisita. Poi i candidati ordinari, che si sono trovati a competere in condizioni di svantaggio e senza alcuna tutela (politica o sindacale) in un concorso dalle regole non proprio chiarissime. Infine le scuole, che rischiano di finire in impasse perché ridotte a teatro di uno scontro che con l’istruzione e la cultura ha poco a che vedere.

Capita anche questo, grazie a un mondo sindacale in cui i Di Vittorio e le loro grandi battaglie in difesa dei diritti veri sono un ricordo lontano e in cui la caccia alle tessere ha preso il posto di ideali sempre più sbiaditi.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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